martedì 17 luglio 2012

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Vettel e il pensiero Ferrari
"Ovvio che mi piacerebbe"

BERLINO (Germania), 17 luglio 2012

Il tedesco alla Bild: "Non ho alcun accordo, ma mi fa piacere che Montezemolo e Domenicali mi considerino all'altezza. Alla Red Bull sto benissimo, magari ci resterò tutta la carriera. Ma chissà, magari le cose cambieranno"

Vettel è legato alla Red Bull fino al 2014. Colombo
Vettel è legato alla Red Bull fino al 2014. Colombo
"Non ho nulla di rosso nell'armadio, non ho firmato niente con la Ferrari. Ma tutti i piloti sognano di guidare per il Cavallino in carriera". Vigilia del GP di Germania, Sebastian Vettel è atteso protagonista. E siccome il futuro del giovane bicampione del mondo tedesco è sempre al centro dell'attenzione, ecco che Sebastian ribadisce ancora una volta che con la rossa non c'è niente di ufficiale ma che il pensiero della Ferrari è sempre un richiamo speciale.
contratto — In un'intervista alla Bild il campione della Red Bull ha parlato della sua situazione contrattuale che lo vede legato al team con licenza austriaca fino al 2014. "Mi fa molto piacere che Stefano Domenicali o Luca di Montezemolo mi considerino un pilota all'altezza della Ferrari - ha detto - la realtà è sempre la stessa: non c'è nessun segnale da parte mia, non ho firmato niente, non ho sancito nessun accordo con una stretta di mano". "Ma... - puntualizzazione importante - se chiedete a tutti i 24 piloti del Mondiale: 'vorreste correre per la Ferrari nella vostra carriera?'. Tutti risponderebbero: 'Sì, ovvio!'. E lo stesso vale per me, è un team fantastico". "Chissà, magari le cose cambiano e io vado a guidare da un'altra parte. Oppure, non mi sposto per tutta la carriera, perché non c'è un pacchetto migliore di quello che offre la Red Bull". In ogni caso, Vettel non ha intenzione di fuggire prima del 2014, quando scadrà l'attuale contratto. "Sono praticamente cresciuto con la Red Bull, mi piace l'ambiente che c'è nel gruppo. Non è proprio possibile andarsene dalla porta di servizio".
Sebastian Vettel, 24 anni. Epa
Sebastian Vettel, 24 anni. Epa
contatti continui — Quindi nessun trasloco in vista? "No, no e ancora no. Devo pensare al Mondiale, che è estremamente equilibrato. Voglio difendere il mio titolo ed è già abbastanza per quest'anno. Non posso distrarmi pensando a quello che forse succederà tra qualche anno. È troppo, troppo presto. Alonso ha detto che nel 2005 si parlava dei primi contatti tra lui e la Ferrari. Per vederlo in rosso, si è arrivati al 2010: sono passati cinque anni". "Contatti con il Cavallino? Abbiamo sempre contatti - spiega il tedesco - perché ci incontriamo nel paddock e parlo con Stefano Domenicali. Ma questo non significa che guiderò presto per lui". Queste voci potrebbero destabilizzare la Red Bull? "Non c'è nessun problema, perchè il mio boss sa esattamente cosa penso. Nel nostro rapporto siamo assolutamente trasparenti. No, la Ferrari non ci rende nervosi".
Gasport© RIPRODUZIONE RISERVATA
 
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Indiani e cinesi i più ecologisti
in Usa i comportamenti peggiori

Indagine del National Geographic su 17 Paesi: gli statunitensi sono anche coloro che se ne vergognano meno. Gli italiani non sono stati analizzati, ma sul sito dell'iniziativa è possibile fare il calcolo del proprio indice Greendex di SARA FICOCELLI

ROMA - E noi che credevamo che i più indisciplinati fossero loro, i Paesi emergenti. E noi che eravamo sicuri che la Cina, l'India e il Brasile, con le loro economie in stato di grazia, rincorressero le superpotenze passando sopra come caterpillar agli interessi ambientali del pianeta. La misura di quanto ci sbagliavamo ce la fornisce oggi il National Geographic con il Greendex 1, uno studio condotto da quattro anni in collaborazione con GlobeScan per valutare il grado di ecologismo di 17mila abitanti di 17 Paesi.

L'ultimo posto della classifica forse potevamo anche immaginarcelo e spetta agli Stati Uniti, con un indice medio di 44,7. La patria del capitalismo e del consumismo sono decenni che involontariamente "educa" i propri abitanti alla filosofia dell'usa e getta. Dunque non solo non stupisce che gli americani abbiano i peggiori comportamenti dal punto di vista ambientale, ma neppure che di questo triste primato non si vergognino affatto. Zero rispetto per l'ambiente e zero rimorsi: questo binomio fa parte della loro cultura.

"Non solo i consumatori Usa hanno l'indice più basso - si legge nel rapporto - ma sono anche quelli che si sentono meno in colpa. Solo il 21% prova questo sentimento, nonostante quasi metà degli intervistati abbia affermato che crede che le scelte individuali possano aiutare l'ambiente". Poco meglio degli Usa fanno Canada (47,9) e Giappone (48,5).

IL RAPPORTO 2


A stupire, semmai, è la testa della classifica: sul podio del virtuosismo ambientale troviamo infatti India (58,9), Cina e Brasile, le economie emergenti che contano di scalzare le superpotenze tradizionali a stretto giro di posta. I loro abitanti, però, a quanto pare sanno che se vogliono farcela devono preservare il contesto in cui vivono, anche perché la tutela dell'ambiente rappresenta il futuro dell'economia.

Secondo l'indagine "Greendex 2012: Consumer Choice and the Environment—A Worldwide Tracking Survey", i comportamenti "environmentally friendly" da parte dei consumatori a partire dal 2010 sono aumentati in cinque Paesi e diminuiti in nove.

L'indice Greendex usato per stilare la classifica è stato realizzato con questionari su consumi e stili di vita, oltre che sul proprio atteggiamento personale nei confronti delle scelte fatte. Uso dei mezzi di trasporto, consumo di energia, scelta del cibo e metodi di smaltimento dei rifiuti: ogni azione quotidiana ha un impatto abientale preciso e dai nostri comportamenti si evince molto bene il livello di educazione che abbiamo.

Certo, sbagliare è umano, specialmente se si vive in un Paese che ha problemi molto seri da gestire e non sempre può preoccuparsi di adottare politiche ambientali efficaci. In India e Cina però il 45 e il 42% degli intervistati ha dichiarato di sentirsi colpevole per ogni gesto poco rispettoso del pianeta, il doppio degli statunitensi. Gli italiani non sono stati analizzati, ma sul sito dell'iniziativa è possibile fare il calcolo del proprio indice.
(17 luglio 2012)

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Squadra di hacker, quasi tutti russi
per la sicurezza digitale degli Usa

Ironia della sorte sono per lo più provenienti da quello che era considerato l'Impero del male, gli uomini e le donne chiamati a comporre il team incaricato di evitare gravi violazioni ai sistemi di difesa americani dal nostro inviato DANIELE MASTROGIACOMO


MOSCA  -  Saranno gli hacker russi a garantire la sicurezza informatica del Pentagono e della Casa Bianca. Perché sono i migliori, i più esperti, i più veloci. Ironia della sorte, scherzo del destino. Ma verrà dal grande Stato nemico, da sempre visto con sospetto, l'esercito di "incursori" nella guerra cibernetica mondiale. Preoccupato dalla serie di gravi violazioni ai sistemi di difesa, il presidente Barack Obama ha incaricato uno dei suoi consiglieri di creare un centro di controllo elettronico che sigilli le porte di accesso alla rete informatica del governo e dell'amministrazione.

Il progetto è già stato ultimato. Almeno sulla carta, visto che viene testato in queste settimane. Lo gestirà il Dipartimento alla Difesa e dovrebbe entrare in funzione nei prossimi mesi. Una enorme struttura, totalmente isolata dall'esterno, automatizzata, con filtri di sicurezza che la rendono praticamente inaccessibile. "Abbiamo pensato a qualcosa simile al centro di crittografia di Bletchley Park", svela al Guardian, poi ripreso dalla Izvetia qui a Mosca, un membro dello staff della nuova struttura. Fu proprio il centro di trascrizione dati e documenti del Regno Unito a decidere le sorti della Seconda guerra mondiale. Guidato dal grande matematico britannico Alan Turing e da uno staff di scienziati, la storica costruzione di Bletchley fornì le chiavi di interpretazione dei documenti strategici che i nazisti diffondevano ai comandi militari.

La guerra cibernetica sarà molto più avanzata. Ma soprattutto più sofisticata. La moderna tecnologia, la ragnatela di strade virtuali offerte da Internet, apre milioni di porte e finestre. C'è uno stuolo di hacker che agisce nell'ombra in tutto il mondo. E sono proprio questi i migliori professionisti del mercato. Pescare tra gli illegali, inseguiti e ammirati dagli informatici ufficiali di ogni azienda o struttura difensiva statale, è stata la scelta più ovvia.

Così, sorretti dalla Cia e dall'Fbi, gli uomini del Pentagono si sono messi all'opera e hanno lanciato un'offerta di lavoro. Questa volta ufficiosa. Tra i canali giusti. Hanno risposto in mille, ne hanno scelti cento. Asiatici e russi, soprattutto. Ma sono questi ultimi ad aver superato le durissime prove della selezione. Tra i prescelti sono la maggioranza. Giovani, tra i 20 e i 35 anni. Moltissime donne. Alcuni hanno dimostrato un talento fuori dal normale. Hanno stupito persino i più scettici: di fronte ai risultati hanno superato i tanti pregiudizi e l'atavica rivalità con il vecchio Impero del Male. Un hacker, molto noto in Russia, ha battuto tutti i concorrenti: in due minuti ha violato il sistema informatico del Dipartimento della Difesa americano.

La Izvetia è riuscita a contattarne alcuni. E i loro commenti, ovviamente anonimi, riflettono il carattere schivo e pragmatico di gente abituata a vivere nell'ombra. "Mi hanno chiamato. Ma sono d'accordo", ammette una hacker donna, Zeus. "Se mi offrono uno stipendio decente e buone condizioni di vita. L'importante è che non debba lavorare contro il mio paese. Non sono una traditrice. Gli Usa offrono molti vantaggi: possibilità di emergere, alto tenore di vita, società tecnologicamente avanzata". "Il lavoro", riflette un altro hacker, Deiter, "è pericoloso. Soprattutto nelle aziende governative. Ti stanno addosso, devi filare dritto. Molti controlli, tante domande. Sono un russo e loro sono americani. C'è ancora diffidenza. Non so, ci devo pensare. Certo, si guadagna ed è un posto stabile".

Fbi e Cia sono perplessi. Tanti cittadini russi, tra l'altro hacker imprevedibili e abilissimi nel loro lavoro, potrebbero creare dei problemi. Ma gli assalti e le intrusioni degli ultimi anni e mesi prevalgono su tutto. Al Pentagono nessuno si è scordato l'incubo vissuto nel 2008. Il sistema di sicurezza violato, i cervelloni impazziti. Per tre ore il sistema di sicurezza era completamente sballato. Chiarissima la firma: erano stati loro, la rete di hacker russi. Brutta storia. Ci vollero settimane di colloqui segreti per placare il rischio di una crisi diplomatica. Stessa intrusione ai tempi della guerra con la Georgia. Il portale del ministero degli Esteri di Tblisi andò in tilt. Rimase paralizzato per tre giorni, mentre le truppe russe si schieravano ai confini dell'Ossezia del Sud. L'ultimo attacco di cui si ha notizia, sempre per mano degli hacker russi, è in Estonia. Anche lì intrusione nel sistema di sicurezza del ministero della Difesa. La sicurezza cibernetica è una priorità. Perché è la guerra del futuro. E per vincerla non ci possono essere ostacoli ideologici. Gli americani restano pragmatici: cercano sul mercato, pescano i migliori.
(17 luglio 2012)

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