sabato 30 luglio 2011

ahahahahhah

Procreazione assistita, a Roma un centro all’avanguardia. Ma manca l’autorizzazione 

L'ospedale Sant'Andrea, dopo un'inaugurazione in pompa magna a inizio 2009, non ha mai iniziato a svolgere gli interventi con le tecniche più avanzate. La Regione Lazio, unica in Italia, non ha ancora rilasciato il nulla osta previsto dalla legge 40 per strutture di questo tipo
Avere un centro pubblico per la procreazione medicalmente assistita (pma) all’avanguardia e non poterlo utilizzare. Tutto perché si trova nell’unica regione italiana che ancora non ha emanato le autorizzazioni ai centri per l’applicazione di tecniche di pma come previsto dalla legge 40/2004. E’ questo lo strano caso del Centro per la fisiopatologia della riproduzione umana dell’ospedale S. Andrea di Roma-Università La Sapienza, inaugurato nel 2009 e sostanzialmente mai utilizzato al pieno delle sue possibilità.

Presentato in pompa magna il 28 gennaio 2009, alla presenza del rettore della Sapienza Luigi Frati, del preside della II Facoltà di Medicina della Sapienza Vincenzo Ziparo, e con la benedizione di Monsignor Fisichella, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, doveva essere il centro pubblico di procreazione medicalmente assistita con i controfiocchi e all’avanguardia del Lazio, il primo in Italia dove poter effettuare la diagnosi pre-concepimento direttamente sull’ovocita. Una tecnica sviluppata nel nostro Paese proprio per superare il divieto imposto dalla legge 40 di fare la diagnosi pre-impianto sugli embrioni, e al tempo stesso offrire alle coppie questa possibilità, che non pone gli stessi problemi morali ed etici sollevati dalle gerarchie cattoliche sugli embrioni.

Ma l’attività del reparto è stata subito bloccata a causa di un esposto fatto ai Nas, si dice da un medico di un centro privato. Dopo i controlli, che non hanno rilevato alcuna irregolarità, si è atteso il nuovo via ufficiale da parte della Regione. Che però non è mai arrivato, nonostante i solleciti da parte dell’azienda ospedaliera, perché la Regione ha rimandato tutto a un tavolo tecnico per la valutazione generale dei centri per la procreazione, mai partito.

Risultato: il Centro non ha mai iniziato l’attività di procreazione medicalmente assistita con le tecniche della fecondazione in vitro e l’icsi (tecnica con cui lo spermatozoo viene iniettato direttamente all’interno dell’ovocita). Esegue solo gli interventi di I livello, come diagnosi e terapia per le patologie della sterilità. In altre parole un reparto nuovo di zecca e all’avanguardia è impiegato per altre funzioni, ma i costosi macchinari ad hoc, costati centinaia di migliaia di euro, sono inutilizzati o sottoulizzati da oltre due anni. Il massimo della beffa si è prodotto lo scorso marzo, quando il reparto è stato utilizzato sì, ma dagli attori della fiction ‘Don Matteo’ che l’hanno scelto come set cinematografico per girarvi delle scene.

Il Lazio, come detto, è l’unica Regione che ancora non ha emanato le autorizzazioni dei centri per l’applicazione di tecniche di pma sulla base della legge 40/2004. “Nel 2004 i presidenti delle Regioni hanno preso un accordo, non vincolante – spiega il sottosegretario alla Salute, Eugenia Roccella – sui requisiti da stabilire e le conseguenti autorizzazioni ai centri di pma. Ma ogni Regione aveva poi ampia autonomia o di usare i requisiti previsti da questo accordo o di stabilirne altri con una propria delibera. La regione Lazio non l’ha mai fatto, anche se il presidente Polverini sta cercando di risolvere il problema”. Di fatto, quindi, i centri di procreazione assistita del Lazio hanno operato finora senza l’autorizzazione della Regione.

Gli altri centri, anche quelli privati nuovi, hanno continuato a operare fino a ora utilizzando quello che si potrebbe definire un meccanismo di ‘silenzio-assenso’. Dopo aver inviato la loro richiesta di autorizzazione e tutta la documentazione per dimostrare di essere in regola, non avendo ricevuto risposte contrarie dalla Regione, lo hanno interpretato come un sì ad operare. Ma i dirigenti del S. Andrea, essendo una struttura pubblica, e quindi finanziata con i soldi dei contribuenti, in una Regione tra l’altro sottoposta a piani di rientro, non hanno voluto prendersi questo rischio e hanno deciso di aspettare il via libera ufficiale dell’amministrazione regionale.

“Il problema – spiega Massimo Moscarini, direttore del dipartimento Ginecologia del S. Andrea, nonché direttore del centro – sta in parte nella Regione, che non forma la commissione né ha la competenza su materie così tecniche. Senza contare che certo non è una delle sue priorità in questo momento. E soprattutto nessuno ha interesse a far funzionare, e bene, un centro pubblico”. Sui 53 centri di procreazione medicalmente assistita presenti nel Lazio, solo 7 sono pubblici e poi ce ne sono altri 4 privati convenzionati. “Ma molte delle strutture pubbliche – continua Moscarini – funzionano poco, nel senso che non offrono tutti i tipi di trattamenti, e hanno liste d’attesa lunghe. Quindi o si va dai privati, o in altre regioni. Io per esempio mando molte mie pazienti ai centri convenzionati della Toscana”.

Nel frattempo il ministero della Salute ha fatto sapere, per bocca del suo sottosegretario Roccella, “che la Regione si è impegnata a sbloccare la situazione entro l’estate”. Ma “sono anni che lo dicono”, chiosa amaro Moscarini. Bisogna dunque aspettare. Tanto per cambiare.
 
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SMARTPHONE

Smartphone, crollo di Nokia
Anche Samsung la sorpassa

La multinazionale finlandese perde sempre più terreno nel settore che aveva dominato per 15 anni. Sopravanzata da Apple e ora anche dal colosso coreano. Colpa del successo dell'iPhone e dell'ascesa di Android  di JAIME D'ALESSANDRO   

ROMA - Continua la discesa della Nokia, un tempo dominatrice assoluta del mercato dei cellulari e sinonimo di innovazione a affidabilità. Dopo il sorpasso da parte della Apple 1, prima in termini di utili poi di smartphone venduti, ora anche Samsung sembra averla sopravanzata. Parliamo ovviamente di cellulari evoluti, quelli stile iPhone per intenderci. Gli stessi che, stando alla società di ricerca International Data Corporation (Idc), cresceranno del 55 per cento entro la fine del 2011: oltre 472 milioni di dispositivi venduti contro i 305 dello scorso anno. Settore strategico quindi, perché rappresenta il segmento di maggior peso nella telefonia mobile del futuro.  

Ebbene, in questa guerra il colosso finlandese sta evidentemente perdendo una battaglia dopo l'altra. Strategy Analytics, altra firma nelle raccolta dati sulla tecnologia di consumo, parla di un mercato in mano alla Apple e al suo iPhone per il 19 per cento nel secondo quarto di quest'anno, rispetto al 14 dello stesso periodo del 2010. Samsung avrebbe invece fatto un vero e proprio balzo, passando dal 5 per cento al 18. Segue la Nokia, crollata dal 38 al 15 per cento, malgrado mantenga il primato fra i produttori di cellulari "normali" con il 25 per cento che era il 35 nel 2010. Merito, nel caso della Samsung, dell'adozione di Android di Google, sistema operativo che dal 2008 a oggi sta diventando lo standard di riferimento. 

VIDEO Il boom di Android 2

"Cambiano le abitudini dei consumatori", spiga Kevin Restivo della Idc. "Non si tratta più di telefonare e mandare messaggi, ma di dispositivi che permettono di navigare sul web, fare shopping, controllare la posta. E la loro crescita è impressiona in particolare nel mercati emergenti, dall'Asia all'America Latina, dove l'ascesa degli smartphone è solo all'inizio e dove il loro numero aumenterà in maniera esponenziale nel breve periodo". Tanto che si parla di poco meno di un miliardo di pezzi per il 2015.

Come spesso avviene a ogni rivoluzione tecnologica (basti pensare a quel che è accaduto nel campo dei televisori con l'avvento degli lcd che hanno segnato la fine del predominio della Sony) l'arrivo dell'iPhone e dei suoi cugini sta mutando radicalmente gli equilibri di questo settore. Con giganti ridotti al ruolo di comprimari (è già successo a Motorola) e cenerentole trasformate in star anche se a caro prezzo.

La Samsung ad esempio in termini di profitti netti è calata del 18 per cento, si legge sul Wall Street Journal, ma è riuscita a conquistare una fetta di mercato imponente con una politica sui prezzi molto aggressiva. Ufficialmente il numero di smartphone immessi sul mercato non è stato comunicato, ma stando alle stime si parla di 19.2 milioni di unità per la multinazionale coreana, contro i 20,3 di Apple e i 16,7 di Nokia. Strategy Analytics, si spinge oltre: Samsung avrebbe venduto fra i 18 e i 21 milioni di smartphone. Stima che, nella migliore delle ipotesi, farebbe dei coreani addirittura i leader di mercato, davanti alla compagnia di Steve Jobs.

A rovinare in parte la festa di Samsung e Android, ci pensa però una nota pubblicata dal sito Techcruch, voce di un certo peso in fatto di tecnologia. Fonti interne a vari produttori di cellulari dotati del sistema operativo marchiato Google, sostengono che il tasso di restituzione nei negozi sfiorerebbe per certi modelli il 40 per cento contro l'1,4 degli iPhone. La spiegazione? Essendo una piattaforma aperta e gratuita, non è sempre ottimizzata a dovere da chi costruisce gli smartphone, e il suo uso risulterebbe troppo complicato per tanti utenti.

Le stime però parlano chiaro. La Gartner, specializzata nell'analisi della telefonia mobile, prevede che Android raggiungerà il 38.5 per cento nel campo dei sistemi operativi per smartphone nel 2011 e il 48,5 nel 2012. Symbian della Nokia calerà dal 19,2 al 5,2 e una lieve discesa è in arrivo anche per iOs di Apple: dal 19,4 al 18,9 per cento. Qualche sorpresa potrebbe arrivare da Windows Mobile 7 di Microsoft, che la Nokia ha sposato 3 di recente dovendo però licenziare settemila persone per mantenere un certo grado di competitività. Oggi Windows Phone ha una quota di appena il 5,6 per cento, ma dovrebbe raddoppiare nel 2012 e raggiungere il 19,5 per cento nel 2015. Un'ultima chance per la multinazionale di Espoo, o qualcosa che le somiglia.
 
(29 luglio 2011)

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Tremonti, difesa imbarazzata
«Temevo di essere pedinato...»

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«Io prima di fare il ministro dichiaravo al fisco 5 milioni, 10 miliardi di vecchie lire all'anno. Devo dire che do in beneficenza più di quanto prendo come parlamentare. Non ho bisogno avere illeciti favori, di fregare i soldi agli italiani. Non ho casa a Roma non me ne frega niente, non faccio vita di salotti». Lo ha detto il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, intervenendo a Uno mattina. «Forse avrei dovuto essere più attento, ma se devi lavorare in questo modo... Gestire il terzo debito ti impegna abbastanza. Ma se ci sono stati illeciti la magistratura procederà. Se ci sono stati appalti commissariamo tutto, abbiamo già commissariato una società e lo rifaremo se serve».

Errori si', illeciti mai. Cosi' Giulio Tremonti interviene sulla vicenda dell'affitto della casa messa a disposizione a Roma dal parlamentare Marco Milanese, che ha detto di aver ricevuto dal ministro dell'Economia pagamenti di 1.000 euro alla settimana in nero. E lo fa con una lettera al Corriere della Sera di replica all'editoriale di ieri di Sergio Romano.


''Signor direttore, ambasciatore Romano, rispondo in questo modo anche ad una legittima pubblica richiesta di chiarimento'', esordisce il responsabile del dicastero dell'Economia, il quale parlando dell'appartamento offertogli dall'ex consigliere indica che ''in contropartita della disponibilita' di cui sopra, basata su un accordo verbale revocabile a richiesta, come appunto poi e' stato, ho convenuto lo specifico conteggio di una somma a titolo di contributo, pagato via via per ciascuna settimana e calcolata in base alla mia tariffa giornaliera' di ospitalita' alberghiera''.


Tremonti aggiunge che ''all'inizio avevo pensato a un diverso contratto, che ho poi escluso per ragioni personali'', ''la ragione del tutto non era di convenienza economica ma di privacy''. ''Comunque nessun 'nero' e nessuna irregolarita' - sostiene -. Trattandosi di questo tipo di rapporto tra privati cittadini - argomenta - non era infatti dovuta l'emissione di fattura o vietata la forma di pagamento''.


Riguardo poi alla disponibilita' del contante, il ministro spiega di ricevere in contanti il suo compenso di ministro, pari a circa 2.390 euro al mese che, rispetto ai 4.000 euro dell'affitto mensile comporta una differenza di circa 1.600 euro, della quale puo' disporre perche' percepisce ''un reddito annuale molto elevato''.


''Pur avendo ora interrotto l'attivita' professionale, ho accumulato titolarita' di altri redditi - prosegue -. E' tutto tracciato e tracciabile''. ''Ho commesso illeciti? Per quanto mi riguarda sicuramente no. Ho fatto errori? Si' certamente'', sostiene il numero uno dell'Economia citando il fatto di non aver lasciato prima l'immobile. ''Con il 'senno di poi'- conclude Tremonti - ripeto, ho sbagliato''.

29 luglio 2011

martedì 26 luglio 2011

già.....

Marina Berlusconi contro Travaglio
“Verso di me troppi attacchi del Fatto”
La presidente della Mondadori annuncia una serie di querele nei confronti del giornalista. E lo fa con un'intervista al settimanale Oggi in edicola domani. "Non è possibile che si insultino e diffamino impunemente persone e aziende”
Niente da fare. Troppi gli attacchi de Il Fatto Quotidiano. Troppi e, a dire dell’interessate, svirgolati e violenti. E l’interessata è Marina Berlusconi che dalle colonne del settimanale Oggi - in edicola domani – annuncia una battaglia legale contro Marco Travaglio. Perché “ben venga la critica: puoi anche non condividerla, ma spesso è un buono spunto per riflettere”. Ma “nel caso del Fatto Quotidiano, però, il termine critiche non mi pare il più appropriato. Tanto è vero che gli avvocati stanno preparando la mia prima azione giudiziaria nei confronti di Marco Travaglio”.

Il presidente di Mondadori quindi chiarisce. “Sarà solo l’inizio perché temo che altre ne dovranno seguire: non è possibile che si insultino e diffamino impunemente persone e aziende”. Quindi prosegue: “Non mi considero una persona aggressiva”, ma “di fronte a certi attacchi, a certe ingiustizie clamorose, la difesa non mi pare sia stata aggressiva, ma determinata e decisa. Non poteva essere altrimenti, e continuerò così. Il problema non è l’aggressività di una reazione, ma è l’aggressione – conclude Marina Berlusconi – a cui siamo continuamente sottoposti”.
 
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A spasso per Google+: ecco come il social network ha già raccolto 10 milioni di utenti
Per ora continua ad espandersi tramite inviti – anche se ogni tanto ci sono delle improvvise aperture casuali in home page. Ma anche se per entrare bisogna aspettare la comparsa dell’agognata mail nella propria casella di posta, secondo alcune stime Google+, il social network lanciato dal motore di ricerca solo dieci giorni fa, conterebbe già 10 milioni di utenti, con una crescita di oltre due milioni ogni 32 ore.

Plus si sta popolando. E sta dettando le sue regole. Man mano, il senso di straniamento tipico del “mi sono iscritto ma non conosco nessuno” si va affievolendo e, come sempre succede con ogni innovazione tecnologica, gli utenti riprogrammano lo strumento inventandone usi e costumi.

Come abbiamo già scritto, Google+ ha fatto tesoro delle “debolezze” di Facebook. Il meccanismo scelto è quello delle “cerchie” che sostituiscono gli amici di Facebook e che, in qualche modo, aprono le porte ad un po’ di sana “ipocrisia digitale”, strumento utile nella vita reale (magari il vicino di casa mi sta antipatico, ma educatamente lo saluto lo stesso) così come in quella digitale (su Google+ aggiungo il vicino di casa alle mie cerchie, ma negli antipatici, tanto lui saprà mai in quale cerchia è stato inserito).

Plus, inoltre, garantisce ai suoi utenti un controllo totale sui contenuti pubblicati: si può per esempio verificare come una singola persona vede il nostro profilo e, novità importante, si può modificare uno status dopo che è stato pubblicato (strumento utile per eliminare i refusi, ma non solo).

Da Google assicurano che questo periodo di interregno tra uno strumento aperto a tutti e un prototipo da testare solo su invito, non risponde a strategie di marketing, ma alle necessità di migliorare in corsa il social network; i “tester” (ovvero i dieci milioni che si sono già iscritti) sono avvertiti: Google+ potrebbe cambiare, e molto, in base ai feedback che Mountain View riceverà. Per questo, nonostante rumors e indiscrezioni che si moltiplicano online, non esiste ancora una data di “varo” ufficiale con le iscrizioni aperte a tutti.

Nonostante ciò, come in ogni ambiente popolato da umani, già una cultura peculiare sta emergendo su Plus. Cosa funziona e cosa no? Per quali fini lo strumento si presta al meglio? Quali forme di ironia peculiare verranno elaborate? – qua c’è già un esempio in italiano sulle possibili “cerchie” del Papa. Proprio in queste ore questi temi vengono sviluppati e rimbalzano di profilo in profilo, di sito in sito, in tempo reale.

Negli Usa è già partito un dibattito: Google+ ucciderà i blog? Sembra una boutade, ma tra le opzioni fon-da-men-ta-li del social network c’è la possibilità di pubblicare uno status di qualsiasi lunghezza (su Facebook il limite è 420, su Twitter 140): alcuni status possono diventare di fatto un post con tanto, udite udite, di permalink, di riferimento unico in rete (si ottiene cliccando sull’orario di pubblicazioni dei post).

Kevin Rose, prodigio della cultura digitale e già fondatore di Digg, è convinto che Plus può essere più performante dei blog e lo ha annunciato senza tanti giri di parole: “Ho deciso di reindirizzare il mio sito kevinrose.com sul mio account Google+ – scrive, manco a dirlo, sul social network -. G+ mi da molto più feed-back in tempo reale e occasioni di coinvolgere i lettori, di quanto il mio blog mi abbia mai dato”.

Curioso anche che su Plus sia ricomparsa una vecchia conoscenza della rete. Bisogna tornare con la memoria a qualche anno fa, quando spopolava MySpace. Allora, appena aperto un account sul portale, ogni iscritto si trovava “un amico” di default: era Tom Anderson, che di MySpace era uno dei fondatori (e che poi sarà tra quelli che venderanno il portale a Murdoch per oltre 300 milioni di dollari). Tom, che ha nel profilo la sua foto “amatoriale” già famosa in tutto il mondo, è entusiasta di Plus (ha già oltre ventimila followers) e pubblica sul suo profilo novità, segnalazioni, riflessioni e non si tira indietro nel delineare scenari futuri: l’uso delle Gif animate, ne è sicuro, vietate su Facebook e su Twitter, sarà un punto di forza di Plus (guardate questo esempio).

Infine, interessante capire chi sul social network sta raccogliendo più follower, più seguaci. Posto che tutti possono seguire tutti (anche se ognuno poi decide con chi condividere cosa), sulla vetta della top ten si trova, a grande sorpresa, proprio lui: Mark Zuckerberg, il fondatore e proprietario di Facebook che ha aperto fin da subito aperto un suo account per studiare le contromosse del rivale (Mark è seguito da 134,328 followers). In seconda e terza posizione, inseguono i due fondatori di Google Larry Page (73,319 follower) e Sergey Brin (56,015) – ambedue pubblicano foto delle loro imprese spericolate in paracadute. Quindi Vic Gundotra, vicepresidente di Google (38,302); il blogger e “technical evangelist” Robert Scoble (37,105); il giornalista “tecnologico” Leo Laporte (36,577); Kevin Rose, inventore di Digg che abbiamo già citato (31,947); Matt Cutts, personalità di riferimento nel mondo del software; (27,921); il portale Mashable (27,390); infine il programmatore di videogioci Markus Persson (25,894 follower).

Un ultima cosa: va segnalato come Plus abbia cancellato per ora i profili aperti da aziende, associazioni e comunque tutti gli account non legati a persone (anche se alcuni sono riusciti a salvarsi dalla mannaia). Da Google assicurano: le aziende avranno presto un loro strumento a disposizione “estremamente” potente per entrare in contatto con gli utenti su Google+.

Anche su questo piano Plus sfida Facebook e Twitter. Ce la farà? In rete i commenti sono orientati più al “Sì” che al “No”. E l’ha detto recentemente anche il presidente Google Eric Schmidt: “Penso proprio che nel mercato dei social network ci sia spazio anche per noi”.

Naturalmente, l’avete capito, da queste parti lo strumento convince. Ma voi che ne pensate? Se volete, continuiamo la discussione nei commenti. O su mio account Google+.

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Petrolchimico Mantova, battaglia sulle perizie
Adesso è a rischio il processo Montedison
Il dibattimento è iniziato nel 2010. 
Ma solo da qualche mese è entrato nel vivo. Alla sbarra i vertici del gruppo industriale accusati di non aver fatto il possibile per evitare la morte per tumore di settantadue lavoratori
C’è una polemica in corso a Mantova che potrebbe avere gravi ripercussioni. È un contenzioso fatto di lettere e articoli sui giornali locali, querele e contro-querele per diffamazione, sentenze di tribunale. Una diatriba tutta interna all’Asl della città in riva al Mincio e che contrappone i vertici dell’azienda sanitaria da una parte a un uomo solo dall’altra: il direttore dell’Osservatorio epidemiologico, Paolo Ricci. A farne le spese un processo per sospette morti sul lavoro, messo a rischio almeno nella serenità della sua prosecuzione. Su tutto l’oscura presenza di un petrolchimico tra i più grandi e produttivi d’Europa.
Nel 2006 Paolo Ricci, prima ricercatore borsista per l’epidemiologia dei tumori all’Università di Verona e poi direttore del dipartimento di prevenzione della stessa Asl di Mantova, viene nominato responsabile dell’Osservatorio epidemiologico mantovano. Ricci – come ha ricordato nella sua testimonianza al ‘processo Montedison’ – fu il primo medico che ispezionò, nella veste di ufficiale di polizia giudiziaria, il polo chimico di Mantova nel febbraio del 1989. Allora ebbe modo di registrare tutte le carenze sul fronte della sicurezza sul lavoro riscontrabili in azienda. Ecco perché oggi, nel dibattimento in corso, riveste per la Procura il duplice ruolo di teste per l’accusa e consulente scientifico per la stessa.
A questo punto succede qualcosa. Nel giugno del 2011 la Procura della Repubblica, a processo Montedison in corso, affida ai Servizi competenti della Asl, tra cui l’Osservatorio Epidemiologico di Ricci, una ricerca per verificare lo stato di salute dei lavoratori della vicina raffineria Ies. Viceversa l’Asl, diretta da Mauro Borelli, nomina immediatamente un consulente esterno. Con delibera del 24 giugno demanda alla Clinica del Lavoro dell’Università di Milano, guidata dal professor Alberto Bertazzi, uno studio del tutto simile. Come mai questa sovrapposizione? Al professor Bertazzi viene chiesta in aggiunta una re-interpretazione rigorosa e scientifica dei dati del Registro Tumori. Ciò giustifica i 100 mila euro che questo tipo di consulenza costerà alle casse della sanità mantovana? Non era forse questa una funzione che l’Osservatorio di Ricci, come pensato molto probabilmente dalla Procura, avrebbe svolto con adeguata professionalità in via istituzionale e senza costi aggiuntivi?
Questi fatti hanno certamente delle ripercussioni, se non altro emotive, sul processo Montedison in svolgimento. I vertici che hanno retto l’azienda chimica dagli anni ’60 ai ’90, devono difendersi dall’accusa di non aver fatto quanto fosse concretamente possibile per impedire la morte per tumore di 72 lavoratori, esposti a varie sostanze cancerogene: amianto e benzene, in assenza di adeguate misure di prevenzione e di informazione.
Il dibattimento è iniziato a fine 2010, ma solo di recente è entrato nel vivo con le testimonianze più significative. Paolo Ricci s’è seduto di fronte alla corte il 24 maggio scorso. Sotto giuramento ha ribadito che il suo sopralluogo del 24 febbraio 1989 costituì di fatto un atto di “disobbedienza” verso la direzione di allora della Ussl 47 di Mantova. “Fino a quel momento – ha sostenuto Ricci davanti ai giudici – i vertici sanitari locali non avevano esercitato i propri poteri ispettivi in materia di igiene del lavoro verso la Montedison, conferiti in forza della legge e diversamente da quanto accadeva per tutte le altre imprese del mantovano”. Solo dopo quella ispezione, al polo chimico più grande del centro storico di Mantova, è arrivata la prima diffida affinché le condizioni di lavoro fossero migliorate.
Ma si diceva di una polemica che dura da anni. Nell’agosto del 2004 Ricci fu destituito sine causa dall’allora direttore generale della Asl di Mantova, Maria Cristina Cantù. All’epoca Ricci era titolare di un progetto epidemiologico che evidenziò nei quartieri a ridosso del polo chimico un rischio di ammalarsi di tumore 30 volte maggiore rispetto allo stesso pericolo occorso ai mantovani residenti altrove. Successivamente Ricci diventa direttore dell’Osservatorio epidemiologico e succede un periodo di relativa calma. Sino al 2011, quando l’arrivo del nuovo direttore Borelli non riaccende le micce. Ricci va su tutte le furie quando il suo Osservatorio viene privato della cosiddetta “Banca dati dell’assistito” – cioè del luogo informatico in cui confluiscono tutti i dati che, opportunamente incrociati, descrivono la storia clinica di ogni residente – per essere affidata ad un collega di altro Servizio addirittura privo della laurea in medicina.
Questa telenovela si arricchisce poi di articoli di botta e risposta sui giornali locali. Ricci riceve decine di lettere di solidarietà e di stima professionale da parte dei più autorevoli epidemiologi italiani, ma quel che preoccupa di più è il sereno proseguimento dei lavori del dibattimento in corso.
Temono per quello le 19 associazioni ambientaliste della provincia di Mantova che si sono costituite parte civile, ma l’eco della polemica raggiunge anche la classe politica. Attraverso tre interpellanze parlamentari – bipartisan: una della Lega Nord, una del PD ed una della IdV – ci si domanda a che punto stiano le diverse indagini epidemiologiche richieste e se tutti stiano lavorando a favore di un medesimo obiettivo: la ricerca della verità e la salute pubblica. Che non può risentire della guerra in corso nell’Asl mantovana.

sabato 23 luglio 2011

hahahhahaahah

Apple vuole anche la tv
nel vivo l'asta per Hulu

Il servizio di streaming di telefilm e film, che vale due miliardi di dollari, potrebbe essere acquistato dall'azienda di Cupertino per completare l'offerta di iTunes. Ma in gara ci sono anche altri giganti del web, come Yahoo e Google di ALESSIO SGHERZA

NEW YORK - Se c'è qualcosa che ancora mancava alla Apple era la televisione. Ecco quindi che la compagnia fondata da Steve Jobs sta pensando di risolvere il problema comprando Hulu, il sito di streaming (legale) che ha rivoluzionato - insieme a Netflix - la vita dei telespettatori negli Stati Uniti, l'unico paese dove è disponibile.

Hulu è il paradigma della tv on demand: il suo motto è infatti 'ovunque, a qualsiasi ora'. Basta un pc e una connessione a internet per avere un piccolo schermo a propria immagine e somiglianza. L'utente al potere, sceglie il programma o il film e subisce un po' di pubblicità e qualche limitazione (cinque episodi dell'ultima settimana, ma accesso libero a tutto l'archivio). Chi vuole può anche sottoscrivere un abbonamento, a 7,99 dollari al mese, se vuole avere accesso illimitato e utilizzare anche telefonini e tablet.

Fondato nel 2007, è una joint venture fra tre grandi network statunitensi (Nbc, Abc e Fox) ed è stato il primo sito a offrire lo streaming, legalmente e gratuitamente, agli utenti. Quello di Hulu è un sistema i cui introiti sono basati in gran parte sui messaggi pubblicitari, ma negli ultimi tempi ha sofferto enormemente la concorrenza di Netflix, l'altro grande protagonista di questo mercato. Netflix nasce come servizio di noleggio a domicilio di vhs e dvd, ma da quando ha iniziato a puntare sullo streaming ha messo in crisi la compagnia di Jason Kilar.

Sono arrivate quindi le difficoltà, il calo di appetibilità sul mercato e addirittura i piani di stravolgerlo: a gennaio c'era un progetto per trasformare Hulu addirittura in una compagnia di servizi via cavo. Poi la decisione di metterlo in vendita, al modico prezzo di due miliardi di dollari. E qui, tra gli altri, entra in gioco la Apple. Che potrebbe acquistare Hulu con gli spiccioli, visto che nel suo ultimo bilancio la compagnia di Cupertino ha dichiarato liquidità per oltre 76 miliardi.

Ad annunciare l'interesse dell'azienda di Steve Jobs è il Wall Street Journal: "Apple sta pensando di fare un'offerta nell'asta per Hulu", scrive il giornale. E per rendere l'acquisto più appetibile - viste le evidenti difficoltà del sito di fronte a Netflix e al recente lancio di un analogo servizio da parte di Amazon - i tre network Nbc, Fox e Abc offrono un prolungamento degli accordi per i prossimi cinque anni, di cui i primi due di esclusiva.

Per la Apple un servizio come quello di Hulu sarebbe la ciliegina sulla torta, il perfetto complemento della vendita di film, musica e serie tv su iTunes. Jobs non può che essere intrigato dall'idea di offrire una doppia possibilità agli utenti: comprate su iTunes, fate streaming su Hulu. Va bene tutto, tanto i soldi degli utenti finirebbero sempre nelle casse di Cupertino.

Ma l'asta è ancora aperta e dentro ci sono quasi tutti i big. Ad esclusione di Microsoft che si è tirata indietro pochi giorni fa. Yahoo! è interessata, ma vuole il prolungamento degli accordi per cinque anni in esclusiva. Amazon ha appena lanciato un suo servizio di streaming, ma secondo gli esperti potrebbe partecipare all'asta. E poi c'è l'immancabile Google, che ha la sua Google Tv 1, ma forse a Mountain View stanno pensando di comprare Hulu per guidare la rivoluzione di Youtube, annunciata per la fine dell'anno.
(23 luglio 2011)
 
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Dopo la marea nera E.On investe nell’immagine sarda.
Su Mediaset
La multinazionale da 93 miliardi di fatturato annuo dà seguito ad un accordo per ripristinare l'immagine del sassarese dopo lo sversamento di migliaia di litri di olio combustibile in mare a gennaio: 54mila euro di investimento nelle reti Mediaset, per realizzare un servizio sulle bellezze marine locali
I risarcimenti per i danni della “marea nera” di Porto Torres? Per ora non finiranno nelle casse della Regione Sardegna, ma solo in quelle di Publitalia ‘80 spa, la concessionaria pubblicitaria delle reti Mediaset. Per alcuni è solo un primo passo, per altri una beffa: “Il territorio avrà un ritorno in termini di immagine?”, si chiedono dal giornale locale Sassari Notizie. È ancora è presto per dirlo, ma “per ora a guadagnarci sarà Mediaset”. E’ il risultato della convenzione tra il Comune di Sassari e la multinazionale petrolifera E.On, che fattura miliardi ma per ora verserà solo 54mila euro per un servizio televisivo dedicato al territorio del Sassarese e alle sue risorse marine, per compensare il danno d’immagine all’apertura della stagione turistica.

L’accordo nasce dalle richieste della giunta Cappellacci di “un intervento per il consolidamento dell’immagine turistica delle zone della Sardegna interessate dal fenomeno dello sversamento di olio combustibile che si sostanzia in finanziamenti per la promozione del territorio”. Istanze che la multinazionale responsabile del disastro dello scorso 11 gennaio – quando per un errore vennero riversati in mare migliaia di litri di olio combustibile – ha iniziato a soddisfare in primavera. Già a maggio, infatti, E.On Italia aveva finanziato “Primavera in Romangia”, una campagna pubblicitaria per promuovere una serie di appuntamenti per valorizzare il patrimonio artistico e naturalistico del territorio del Comune di Sorso.

Ora, invece, a sperare di beneficiare della pubblicità finanziata da E.On sarà la città di Sassari. Il denaro verrà infatti destinato al contratto pubblicitario che il Comune sardo siglerà con Publitalia per la messa in onda di un servizio dedicato alle risorse marine del sassarese e destinato alla trasmissione “Pianeta Mare“, un programma eseguito in collaborazione con il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali in onda ogni domenica su Rete 4.

Ignorata invece dalla multinazionale tedesca la richiesta del sindaco di Sassari, Gianfranco Ganau, di contribuire alla sponsorizzazione della Dinamo, storica squadra di basket cittadina, impegnata ai massimi livelli ma ad un passo dal fallimento finanziario. Un gesto che, secondo il primo cittadino sassarese, oltre a rappresentare un “primo parziale risarcimento dei gravi danni ambientali subiti”, avrebbe portato E.On ad aiutare molto di più il territorio e la sua immagine.

In Sardegna sono in molti a pensare che 54mila euro, per una società che nel solo 2010 ha fatturato circa 93 miliardi di euro, non siano un grande sforzo. Ma, soprattutto, che non debbano essere l’unica forma di indennizzo. Lo fa ben presente Antonio Cardin, capogruppo del Partito Sardo d’Azione e già promotore in Consiglio comunale di iniziative “volte ad ottenere per il litorale sassarese un congruo risarcimento” per l’inquinamento subito: “Pensare di liquidare con un piatto di lenticchie un danno simile, che ha avuto ripercussioni economiche enormi in tutte le attività commerciali e di servizi, rappresenta uno schiaffo per tutti i sardi”.
 
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mercoledì 20 luglio 2011

hahahahaha

Rai-Agcom, Berlusconi indagato per abuso d’ufficio 

Silvio Berlusconi indagato per abuso d’ufficio in concorso con l’ex commissario Agcom Giancarlo Innocenzi e l’ex direttore generale della Rai Mauro Masi per le pressioni esercitate dal premier nel 2009 affinché venisse sospesa la trasmissione ‘Annozero‘ di Michele Santoro.

E’ la novità istruttoria decisa dal procuratore Giovanni Ferrara, dall’aggiunto Alberto Caperna e dai pm Ilaria Calò e Roberto Felici cui il tribunale dei ministri aveva restituito il fascicolo aperto a Trani, dichiarandosi incompetente a giudicare il caso sul presupposto che Berlusconi, nel momento in cui telefonò a Innocenzi e Masi, non agì nelle sue funzioni di presidente del Consiglio.

E così i magistrati della procura di Roma hanno preso atto delle conclusioni (benché non vincolanti) dello speciale collegio per i reati ministeriali che ha di fatto archiviato le accuse di minacce e concussione attribuite a Berlusconi, unico indagato finora, con Innocenzi e Masi persone offese. Per il tribunale dei ministri, come anticipato dal Fatto, dall’esame delle intercettazioni relative a diciotto telefonate sarebbe configurabile un’ipotesi di abuso d’ufficio per tutti e tre i protagonisti della vicenda. Nei prossimi giorni i pm di piazzale Clodio si riuniranno per fare il punto della situazione e decidere se concludere gli accertamenti con il deposito degli atti (passo che prelude a una richiesta di rinvio a giudizio), salvo una integrazione dell’attività istruttoria, o con una richiesta di archiviazione al gip.


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INTERNET

Nella Silicon Valley trevigiana
così nasce l'accademia digitale

Nella campagna veneta un centro di formazione destinato a far crescere i nuovi Zuckerberg. Il progetto sviluppato da H-farm, l'incubatore di start-up, e finanziato da una cordata di imprenditori del Nord-Est di FLAVIO BINI

LÀ DOVE c'era l'erba, oggi, c'è una scuola digitale. Nasce infatti - in mezzo al verde della campagna agricola di Ca'Tron, in provincia di Treviso - la prima digital academy d'Italia. Passeranno da qui i futuri Zuckerberg e Dorsey, padri di Facebook e Twitter, Sean Parker o Andrew Mason, creatori di Napster e Groupon? Lo spera sicuramente Ricardo Donadon, ideatore di H-Farm, l'incubatore di start-up che ha promosso il nuovo centro.

I numeri. La scuola ha già aperto i battenti e a fine settembre darà il via al master in Digital enterpreneurship con due corsi semestrali da 30 studenti ciascuno. Durante il periodo, gli studenti svolgeranno tre mesi di lezioni e tre mesi di stage in imprese del Nord-Est. Il tutto sotto la supervisione del direttore scientifico della nuova scuola: Luca De Biase, ex responsabile del settimanale Nova24 ed esperto di nuove tecnologie.

Corsi per studenti, imprenditori e famiglie. "L'obiettivo della scuola è formare giovani imprenditori digitali -  spiega Giuliamaria Dotto, 28 anni, coordinatrice della Digital Accademia - ma la struttura non è rivolta soltanto a studenti. Accanto al master l'Accademia promuoverà anche diversi corsi più brevi, rivolti a professionisti e aziende, e iniziative per bamabini, genitori e anziani".

Nessun requisito. Le iscrizioni per il master partiranno ad agosto e saranno aperte anche a chi non è in possesso di una laurea. "Non vogliamo porre limiti di alcun tipo, stiamo anche mettendo a punto un sistema di borse di studio per agevolare l'accesso di chi non se lo potrà permettere", spiega la coordinatrice.

Un po' campus, un po' università, l'accademia ospita anche 24 posti letto. "Vogliamo creare un'esperienza nuova, diversa dalle forme tradizionali di insegnamento e diventare un punto di riferimento della cultura digitale". Ancora da definire l'elenco dei docenti ma saranno coinvolti anche giornalisti, imprenditori ed esperti internazionali.

La sede. Ex casa colonica dell'ottocento, l'Accademia ospita al suo interno tre workroom, due aule corsi e un ristorante interno. Uno spazio, quasi 12mila metri quadrati, coperto ovviamente da una rete senza fili e connesso con banda larga per garantire l'accesso ad alta velocità al web.

H-Farm. L'Accademia è soltanto l'ultimo tassello messo a punto da H-Farm, la piccola Silicon Valley che si sta sviliuppando nella campagna di Treviso. Un incubatore di idee che dalla sua nascita, sei anni fa, ha dato il via a 26 start-up. Una piccola multinazionale radicata soprattutto nel nostro Paese, ma che vanta progetti anche nelle altre sedi di H-Farm: cinque a Seattle, due a Londra e uno in India, a Mumbai.

I dipendenti in tutto il mondo sono 250, con l'obiettivo di raddoppiarli entro il 2015. A credere nel progetto e fare da finanziatori una cordata tutta veneta di imprenditori. Da Renzo Rosso a Ferragamo, passando per Marzotto, Riello, Buoro e tanti altri. Così l'impresa cerca di rilanciare il Nord-Est dei miracoli, investendo nell'unica risorsa che non si può spostare altrove e produrre a costi più bassi: le idee.
(19 luglio 2011)
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Rossi sfoglia le... Ducati
"Useremo entrambe le GP11"

MILANO, 19 luglio 2011

Valentino ammette di non sapere ancora quale versione della Desmosedici utilizzerà a Laguna Seca: "Venerdì nelle libere vedremo qual è la più adatta". Sul circuito: "Una pista che mi ha sempre dato grandi emozioni"

Gazzetta TV
 
Il GP di Germania, domenica scorsa, ha lasciato più incertezza al Team Ducati su quale sia la 800 al momento migliore per i suoi piloti. Com'era prevedibile, nelle casse che sono state spedite in California, ci sono entrambe le versioni della GP11 che saranno a disposizione di Valentino Rossi e di Nicky Hayden. "Penso che venerdì proveremo ad usare entrambe le versioni della Desmosedici - afferma Valentino Rossi in una nota della Ducati - per compararle e fare un lavoro sia per l'immediato, sia per il futuro, perchè vogliamo capire più cose possibili. Siamo consapevoli che può essere difficile perchè dobbiamo preparare nel contempo la gara ma pensiamo sia giusto provare tutto il possibile per migliorare la nostra moto".
Dobbiamo essere competitivi in gara, ma nello stesso tempo guardiamo al futuro
IL PIACERE DELLA LAGUNA — "Laguna per me - aggiunge Rossi - vuol dire una curva fantastica, il Cavatappi, e tanti bei ricordi, tra i quali una delle gare più belle della mia carriera, nel 2008. È sempre un gusto correre negli Stati Uniti perchè il motociclismo qui è un mondo diverso, molto bello".
Gasport© RIPRODUZIONE RISERVATA

sabato 16 luglio 2011

hahahahah

Manovra, spunta perfino il condono

di Bianca Di Giovanni | tutti gli articoli dell'autore
copertina 16 luglio
Pagano solo alcuni, altri no. La stangata da 45 miliardi, di cui quasi 30 di maggiori entrate (tra ticket, bolli e nuove tasse) non chiede prezzi speciali ai grandi patrimoni. E non solo: contiene anche i «soliti» sconti fiscali per chi non è a posto con l’erario. Insomma, ancora un condono, mentre ai dipendenti si chiedono lacrime e sangue. Sulle famiglie piomba la «tassa sulla salute», un ticket pesantissimo che colpirà le fasce più deboli. Su questo punto il Pd alza le barricate: le Regioni Emilia Romagna e Toscana hanno deciso di non applicare la disposizione, preferendo ricavare i risparmi equivalenti da altri capitoli. Intanto in Parlamento Dario Franceschini annuncia una proposta di legge che prevede la soppressione della norma sul prelievo per le ricette e per le visite al pronto soccorso, in vigore già da lunedì.

La manovra d’emergenza passa a tempo di record il vaglio del Parlamento. Dopo il Senato, anche la Camera ieri ha dato l’ok alla fiducia posta sul provvedimento con 314 sì, 280 no e 2 astenuti. Le opposizioni, che si sono assunte la responsabilità dell’iter veloce, hanno comunque confermato compatte il loro dissenso sulle misure. Giorgio Napolitano ha emanato il provvedimento dopo mezz’ora dal voto.
 
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2011, fuga dalle università: iscritti a picco

di Mariagrazia Gerina | tutti gli articoli dell'autore
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Figlio di un operaio o figlio di un petroliere fa lo stesso», scrive Roger Abravanel, già consulente della McKinsey & Company e ora consigliere del ministro Mariastella Gelmini: quello che conta è il merito. Vallo a raccontare a Girolamo, figlio di un camionista e di una casalinga, nato e cresciuto a Palmi, Calabria. Girolamo ha vent'anni, è perito informatico e vorrebbe laurearsi. Lo scorso settembre, appena diplomato, si è messo a inseguire la chimera di una borsa di studio e di un alloggio alla Casa dello studente di Cosenza. Alla fine, anche se aveva superato il test a numero chiuso, si è scoraggiato. E non si è più iscritto. Quest'anno ci riproverà, in proprio: «Facendo un po' il cameriere, un po' il meccanico ho messo da parte 700 euro». Per mantenersi all'università da fuori sede, in un anno ce ne vogliono 7mila. Storie di ordinaria esclusione dall'università italiana.

Sempre più ragazzi rinunciano in partenza. Se nel 2002, il 74,5% degli Under 20, presa la maturità, correva a iscriversi all’università, sperando in un futuro e un lavoro migliore, nel 2009 (ultimo dato disponibile) quella percentuale è scesa al 65,7%, facendo passare da 330mila a 293mila le matricole under 20. Nove punti percentuali persi in 8 anni: 38mila ragazzi che, usciti dalla scuola superiore, non ci hanno neppure provato. E la parabola discendente precipita letteralmente in certe province del Sud. A Catania, per esempio, dove appena il 46,4% dei maturi si iscrive all’università. Oppure a Cagliari, dove la percentuale è del 56,8%.


Ma anche il Nord ha i suoi abissi. A Sondrio, il rapporto tra diplomati e matricole è del 46,7%; a Bolzano, non va oltre il 37,3%. E chi si iscrive spesso resta indietro fin dal primo metro. In più, una buona fetta delle matricole - circa il 13,3% -, al termine del primo anno non ha superato neppure un credito e da matricola finisce direttamente nel limbo degli «inattivi». Mentre ancora di più, il 16,7%, sono quelli che gettano la spugna dopo il primo anno. Cronaca di un’emorragia che dovrebbe essere in cima alle preoccupazioni di chi governa il paese.


Chi sono questi ragazzi che rinunciano all’università? Perché invece di proseguire gli studi decidono di fermarsi? L'ultimo rapporto Almalaurea lo dice esplicitamente. Tra le cause del calo di immatricolazioni, c'è «la crescente difficoltà di tante famiglie a sopportare i costi diretti e indiretti dell'istruzione universitaria» unita a «una politica del diritto allo studio ancora carente». Una sorta di tenaglia che si stringe attorno ai ragazzi. Da una parte, la crisi rende più severo il bilancio delle famiglie che non ce la fanno più a sostenere le spese universitarie. Dall'altra, il bilancio dello Stato, invece di potenziare le scarse risorse destinate alle borse per gli studenti, taglia i fondi per il diritto allo studio.


Mentre in Germania o in Francia uno studente su quattro riceve una borsa di studio, in Italia nemmeno 1 su 10 riesce ad ottenerla. Su una popolazione di 1,8 milioni di iscritti, appena 150mila nel 2010 ne hanno beneficiato. E peggio ancora va per gli alloggi universitari che sono appena 41mila in tutta la penisola. Gli sbarramenti di reddito sono molto bassi, escludono non solo il ceto medio, e variano da regione a regione: sotto gli 11mila euro in Abruzzo, meno di 14mila in Molise, fino a 19mila in Piemonte. E anche tra gli idonei, 1 ogni 6 resta fuori. Gli esclusi nel 2010 erano 29mila su 179mila aventi diritto (il 16,3%). Un’ingiustizia anche qui diversamente distribuita. Più di 2mila esclusi in Abruzzo, dove solo il 55% degli idonei ottiene la borsa; 7mila in Campania, dove la percentuale è del 56%; 4400 in Calabria, dove è beneficiato della borsa solo il 59%, etc.


La domanda dovrebbe essere: come includere almeno loro? E invece il governo ha stanziato appena 26milioni per il prossimo anno, reintegrate a 97 milioni, dopo le proteste, per l'anno in corso. Comunque meno della metà dei 246milioni di euro stanziati nel 2009 e 50 milioni in meno della media degli anni precedenti. In compenso 10 milioni li ha destinati alla "Fondazione per il merito", istituita sulla scia dell'Abravanel-pensiero. Ma chi se la merita un’università così. se non chi può permettersi di sostenerne i costi anche senza borsa? A questo proposito sono illuminanti i dati Eurostudent. I laureati tra i 45 e i 64 anni sono appena l'11% della popolazione generale (il 10% tra le donne) ma se guardiamo alla popolazione universitaria il 20% degli studenti universitari ha un padre laureato (il 17% una madre). Mentre appena il 35-6% degli studenti hanno un padre o una madre con un titolo di studio medio-basso, percentuale che sale al 62% nella popolazione generale. E solo il 28% ha un padre operaio (44% della popolazione tra i 45 e i 64 anni).


D'altra parte la laurea ha perso attrattiva anche, anzi, forse soprattutto per le classi più svantaggiate. La disoccupazione, per chi ha la laurea triennale, è passata dall'11,3% del 2007 al 16,2% del 2009. E chi trova lavoro in un caso su due è precario. Mentre gli stipendi passano dai 1210 euro del 2007 a 1149 euro del 2009. Il deterioramento della condizione occupazionale dei laureati, insomma, è l'altro grande fattore che rema contro quello che è stato fin qui uno dei principali obiettivi di crescita del paese: estendere la formazione universitaria anche alle fasce di popolazione che ne erano tradizionalmente escluse. Trent'anni fa i figli della «classe operaia» (così nella classificazione di Almalaurea) tra i laureati erano l'1,5%, nel 2004 erano il 22,4%, nel 2010 sono il 25,8%. Una tendenza che, a leggere i dati delle immatricolazioni, sembra destinata a invertirsi di nuovo. E mentre in Europa i figli di genitori con un titolo di studio basso che si laureano sono il 17%, in Italia la percentuale è ancora all'8%. Che vadano a scaricare la frutta ai mercati generali, ha suggerito Brunetta, a quanti tra i giovani sono esclusi dal mercato del lavoro. La riforma Gelmini, rispetto agli esclusi dall'università, non fa di meglio: non ha neppure provato ad analizzare il problema.


1-continua

16 luglio 2011
 
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ENERGIA

Rinnovabili, visione 2030
nuovi impianti e investimenti

Gli scenari fotografati dal rapporto Greenpeace "Revolution: the battle of the grids". "Nel complesso dell'Europa è ipotizzabile che arrivino al 68% nell'arco di vent'anni. Ma per andare oltre bisogna fare delle scelte di ANTONIO CIANCIULLO

ROMA - Siamo nel 2030. Le fonti rinnovabili dominano ormai la scena fornendo gran parte dell'energia elettrica. Ma bisogna compiere l'ultimo passaggio della transizione energetica: i combustibili fossili sono diventati improponibili sia per il prezzo che il costo ambientale reso evidente da una lunga serie di disastri climatici. E' meglio investire ancora su impianti di rinnovabili o puntare sulle supergrid, come la rete che collega il vecchio continente con il Nord Africa?

Sono i due scenari previsti dal rapporto Revolution: battle of the grids elaborato da Greenpeace. "In Spagna oggi le fonti rinnovabili forniscono già il 40% dell'elettricità, in Danimarca superano il 28%, l'Italia è oltre il 23%, in Germania il Parlamento ha deciso di compensare la chiusura delle centrali nucleari con un aumento dell'energia fornita dal sole e dal vento", ricorda Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace. "Nel complesso dell'Europa è ipotizzabile che le rinnovabili arrivino fino al 68% nell'arco di vent'anni. Ma per andare oltre bisogna fare delle scelte".

Nell'ipotesi low grid si continua a puntare soprattutto sui nuovi impianti, mentre gli investimenti sul miglioramento della rete sono pari a 74 miliardi di euro nel periodo 2030-2050, in linea con la programmazione attuale dei vari Paesi.

Nello scenario hi grid invece il numero dei nuovi impianti di rinnovabili diminuisce e gli investimenti sulla rete intelligente, e allargata fino
al Nord Africa, aumentano arrivando a un massimo di 581 miliardi di euro. Questo vuol dire che si potrà trasportare in Europa l'energia accumulata nei deserti e che la rete migliorerà sensibilmente sia per estensione sia per qualità.

Sarà possibile accumulare l'energia in eccesso caricando le batterie di milioni di auto elettriche, riportando in alto l'acqua dei bacini idroelettrici, utilizzando nuove generazioni di batterie e accumulatori, producendo idrogeno. Inoltre la rete intelligente sarà in grado di far scattare milioni di micro interventi di adattamento, ad esempio spegnendo per pochi minuti i condizionatori o rinviando il funzionamento di qualche migliaio di lavatrici in modo da abbassare il consumo nel momento di un picco anomalo.

"Il vero punto debole del sistema delle smart grid sono carbone e nucleare perché hanno una produzione poco flessibile", aggiunge Onufrio. "Se la loro quota dovesse rimanere al livello attuale, in Europa si rischiano di perdere 32 miliardi l'anno di energia prodotta dal sole e dal vento: non potrebbe essere utilizzata. Invece usando come stabilizzatori del sistema gas, geotermia, biomasse, cioè fonti flessibili, si può ottenere il massimo della convenienza economica in uno scenario di rinnovabili molto avanzato".
(07 luglio 2011)

venerdì 15 luglio 2011

già.....

Twitter, una app per i disabili
per "cinguettare" con un soffio

Breath Bird permette a chi non può usare le dita e la voce di partecipare all'attività online. Attraverso il soffio si controlla una tastiera su schermo. Il programma, gratuito, è per ora solo su iPad

ROMA - Si chiama "Breath Bird", il respiro dell'uccellino, ed è un'applicazione al momento solo per iPad, realizzata da Techfirm, sviluppatore giapponese, che consente anche ai portatori di handicap di utilizzare Twitter. L'importanza dei social network è tale anche per chi non può usare una tastiera, e Breath Bird in particolare è dedicata a chi non può utilizzare le dita e ha difficoltà di parola. E per utilizzarla basta un soffio.

Come funziona. Al lancio, Breath Bird mostra nella parte sinistra gli aggiornamenti di Twitter, e nella parte destra la sua interfaccia tutta particolare. Quando si vuole inviare un messaggio, si utilizza la tastiera illuminata, nella parte destra dello schermo. Le file delle lettere della tastiera vengono evidenziate in un ciclo automatico, e l'idea di Breath Bird è tutta qui: per scrivere è sufficiente soffiare verso l'iPad quando la tastiera si illumina sulla fila di lettere che contiene quella che si cerca. Successivamente, si illuminano le lettere di quella particolare fila: un altro soffio, ed ecco che la lettera compare. Certo scrivere i messaggi è un procedimento più lento, ma ora anche i portatori di handicap possono partecipare all'attività del social network.
inviare un messa

Gratis. L'applicazione si può scaricare gratuitamente 1 dall'App store. Dopo qualche tentativo, l'utilizzo diventa piuttosto naturale. Un tentativo lodevole e particolarmente creativo, anche se al momento solo in in lingua inglese e giapponese. Ma non si tratta di un'applicazione difficile da usare, anzi. Ed eventuali difficoltà di linguaggio saranno un problema minore. (t.t.)
 
(14 luglio 2011)
 
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I senatori nella notte si salvano i privilegi
“Si produce disaffezione, non parliamone” 

In seduta notturna e lontano dalle telecamere la commissione bilancio boccia i tagli ai costi della politica. Con motivazioni diverse. Per Pastore del Pdl: "La dignità dei parlamentari è lesa da campagne diffamatorie che non rappresentano la realtà"
Come i ladri nella notte. A telecamere spente e in seduta notturna i senatori hanno bocciato i tagli ai privilegi della Casta. Il giorno prima che la manovra finanziaria arrivasse a Palazzo Madama, la commissione bilancio ha analizzato i provvedimenti da adottare per ridurre i costi della politica annunciati dal ministro Giulio Tremonti. E li ha bocciati. Escluso Francesco Pancho Pardi dell’Idv, che ha invocato dei tagli sostanziali an agli stipendi, tutti gli altri componenti della commissione sono intervenuti per non cambiare nulla. Marilena Adamo del Pd “ritiene che la definizione del trattamento economico debba tenere conto del costo della vita che è diverso da un Paese all’altro dell’area euro”. Tradotto: non si può portare lo stipendio dei parlamentari italiani (il più alto nella Ue) ai livelli medi degli altri Paesi membri. Anche Francesco Sanna del Pd si dice contrario, ma giustifica la sua posizione invitando a “tenere conto dei necessari fattori di ponderazione, con particolare riguardo alla consistenza demografica dei diversi Paesi”.

Di fatto, sarà una coincidenza, il testo approvato questa sera dal governo recita esattamente così:

“Il trattamento economico di titolari di cariche elettive e i vertici di enti e istituzioni non può superare la media, ponderata rispetto al PIL, degli analoghi trattamenti economici percepiti dai titolari di omologhe cariche negli altri sei principali Stati dell’area euro”.

E qui sorgono i dubbi: cosa deve essere ponderato? La retribuzione del parlamentare rispetto al Pil del singolo stato? O il peso del singolo paese nel concorrere a creare la media delle retribuzioni? E il Pil di riferimento è quello nazionale o quello pro-capite? E poi ancora: quali sono i sei principali stati europei? Quelli con più abitanti o quelli con il Pil (Pil pro-capite??) maggiore? Insomma, un guazzabuglio talmente interpretabile da risultare aperto a qualsiasi futura determinazione.

La notizia – terribilmente bipartisan – è stata riportata da Libero, nell’edizione di stamani. Nel resoconto del Senato si trovato gli interventi integrali. Raffaele Lauro del Pdl “per quanto riguarda la questione dei costi della politica, lamenta come tale questione sia affrontata con modalità improprie, così alimentando la pubblicistica antiparlamentarista che produce una pericolosa disaffezione dei cittadini nei confronti delle pubbliche istituzioni e dei suoi rappresentanti”. In linea con Andrea Pastore, sempre del Pdl, che invoca “che si levino voci in difesa del prestigio del parlamento e della dignità della funzione parlamentare, gravemente lesa da campagne diffamatorie che non rappresentano la realtà e alimentano sfiducia nelle istituzioni e in chi le rappresenta”. Perché, spiega: “L’indennità parlamentare è infatti un istituto necessario per assicurare a deputati e senatori autonomia e indipendenza, e per scongiurare il rischio che alla vita politica accedano soltanto i titolari di redditi particolarmente elevati”.

Integralmente merita di essere letto l’intervento di Barbara Saltamartini del Pdl. La senatrice “ritiene che ciascuno debba assumere con senso di responsabilità i compiti ai quali è chiamato, nell’interesse esclusivo della Nazione. In primo luogo occorre ribadire, di fronte all’opinione pubblica, la legittimazione storica e giuridica dell’istituto dell’indennità parlamentare, nato per assicurare ai rappresentanti del popolo l’autonomia e l’indipendenza necessarie per svolgere con equilibrio – e senza condizionamenti – il mandato politico. Inoltre, l’indennità parlamentare serve al deputato e al senatore per poter svolgere con la massima efficacia la propria attività politica. Ciò che, a suo avviso, rappresenta un intollerabile onere a carico della finanza pubblica, difficilmente giustificabile davanti ai cittadini, è da una parte l’attribuzione di ulteriori indennità ad alcuni parlamentari in ragione di particolari cariche ricoperte all’interno della Camera di appartenenza e, dall’altra, l’insieme delle spese e dei costi per gli apparati burocratici, i quali spesso godono di trattamenti privilegiati. Di fronte all’esigenza di ridurre il debito pubblico, che grava ormai da diversi decenni sull’Italia, occorre a suo avviso dare piena attuazione al combinato disposto degli articoli 53 e 81 della Costituzione, responsabilizzando coloro che amministrano la cosa pubblica, a tutti i livelli di governo, ad un uso virtuoso delle risorse. Ciò anche al fine di rendere quanto più credibili gli interventi di contenimento della spesa, con gli inevitabili effetti a carico dei cittadini e delle famiglie”.
 
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IL CASO

La scomparsa dei predatori
scacciati dalle mandrie

In poco più di trent'anni il Masai Mara ha perso oltre due terzi della sua fauna selvaggia. Un paradiso della biodiversità a rischio estinzione. Crescono, invece, i capi di bestiame dei pastori: sono aumentati del 1.100%

di PIETRO VERONESE
MASAI MARA (kENYA) - La radio dei ranger porta una notizia ghiotta: avvistato un leopardo laggiù, in un angolo della pianura di solito poco battuto. Venti minuti dopo, il più elegante, elusivo, solitario dei grandi predatori del Mara è accerchiato a debita distanza dai fuoristrada dei lodge turistici, pieni di occhi sgranati, bocche spalancate e teleobiettivi. Unica novità apparente, in questo spettacolo della natura che si ripete ogni anno nell'alta stagione, è la presenza crescente di occhi a mandorla. I cinesi, nuovi padroni dell'Africa, sono arrivati fin qui in numeri sempre maggiori.

Insieme al leone, all'elefante, al bufalo e al rinoceronte, il leopardo era uno dei mitici Big Five, i trofei più pericolosi e per questo più ambiti dai cacciatori bianchi in un'Africa che non esiste più. La caccia, tanto per dire, è bandita in Kenya dal 1979. I bianchi, semmai, hanno investito fortemente nel turismo e costituiscono oggi una schiera di accaniti conservazionisti. Ma la fama dei Big Five sopravvive nella pubblicità dei tour operator e il loro avvistamento è sempre il preferito.

Specie dei più rari: il ri noceronte, minaccia tissimo dai bracconieri che ne rivendono a caro prezzo il corno dalle presunte virtù afrodisia che, e appunto il leopardo. La pianura dei Masai, che va per dendosi a sud in direzione della Tanzania in un susseguirsi infinito di verdi colline, è una delle grandi meraviglie del mondo. La sua fauna selvaggia non cessa di attrarre visitatori. Ma questo paradiso della biodiversità, dicono gli scienziati, oggi non è soltanto minacciato: è a rischio di estinzione. Non c'è soltanto l'allarme lanciato da uno studio dell'uni versità dell'Oregon apparso sull'ultimo numero della rivista Science, secondo il quale il numero dei grandi predatori  -  tra di essi il leone  -  è ovunque in declino. La vera sorpresa è venuta dal Journal of Zoology, che ha pubblicato di recente una ricerca dell'università tedesca di Hohenheim capeggiata da un ricercatore keniano, il dottor Joseph Ogutu.

In trent'anni o poco più, dice in sostanza la ricerca, il Masai Mara ha perso oltre due terzi della sua fauna. Impala, giraffe, antilopi africane (Alcelaphus buselaphus cokei), facoceri, zebre sono diminuite del 70 per cento. La grande migrazione annuale degli gnu dalle piane tanzaniane del Serengeti è crollata anch'essa di quasi due terzi. E la popolazione di gnu residente nel Mara, secondo il Journal of Zoology, sarebbe addirittura quasi estinta, ridotta a un misero 3 per cento. Non tutte le specie stano subendo questa sorte, dice il dottor Ogutu: gli struzzi, per misteriose ragioni, non se la passano male; e nemmeno le gazzelle di Grant e il mitologico Eland (Taurotragus oryx). Ma i veri vincitori di questa battaglia sono altri animali, assai più banali e domestici: le mandrie dei Masai, i cui capi, in trent'anni, sarebbero aumentati nell'area protetta del Mara di oltre il 1.100 per cento. E' la pressione dei bo vini sui pascoli, insomma, a costituire la vera minaccia, restringendo inesorabilmente l'habitat della fauna selvatica e condannandola al declino.

Cent'anni fa, qui non c'erano umani e i primi cacciatori bianchi cominciavano appena a scoprire questo immenso miracolo della natura. Oggi il Mara è punteggiato di lodge, alcuni molto esclusivi, e soprattutto circondato da villaggi Masai. Come in tutta l'Africa, come in tutto il Kenya, anche quaggiù la popolazione continua ad aumentare e con essa le greggi di pecore e capre e le mandrie di manzi dei Masai, che prima o poi finiranno al macello di Nairobi e sulle tavole della sua crescente classe media.

E' l'"influenza umana", dicono i ricercatori dell'università Hohenheim di Stoccarda, la causa fondamentale della contrazione della popolazione animale. I bracconieri, l'uso della terra, la pressione del bestiame sui pascoli. Marc Goss, capo dei ranger della Mara North Conservancy, è d'accordo solo in parte. Sì, la fatica quotidiana dei suoi trenta uomini è respingere i mandriani, invitarli a non invadere le distese d'erba che secondo gli accordi spettano agli ungulati selvaggi e non a mucche e vitelli. Sì, i bracconieri arrestati in flagrante e consegnati alla polizia di Narok, il capoluogo, non restano in carcere più di quindici giorni. Poi escono e ricominciano. Ma non crede ai numeri della ricerca. Pensa che i dati odierni siano affidabili, ma non quelli del '77. Soprattutto è cambiato il territorio, quella che il rapporto chiama "regione del Mara": "Di certo in trent'anni una parte del Mara è stata occupata dagli uomini e abbandonata dalle bestie selvagge. Ma in altre, forse più piccole ma ben protette, il numero degli animali è in aumento".

Intorno alla grande National Reserve istituita giusto mezzo secolo fa sono andate sorgendo negli ultimi anni vaste riserve private, le conservancies, ideate dagli operatori turistici. L'idea è collaborare con i Masai, convincendoli che l'ambientalismo può rendere più dell'allevamento e della pastorizia messi insieme. Migliaia di ettari vengono presi in affitto ai Masai e gestiti dalle conservancies. La formula sta dando ottimi frutti per tutti. Forse è la strada.

Anche gli anziani Masai dico no che non è vero che ci siano meno animali selvaggi nel Mara. Appoggiato al suo bastone il vecchio Ole Naimadu, magrissimo settantenne, precisa: "Dipende dalle specie". Licaoni non ce ne sono più; i rinoceronti sono pochissimi. Ma zebre, elefanti, gnu stanno benone. "E i leoni", aggiunge il suo amico Ole Ketere, di vent'anni più giovane, "Sono più di prima e vengono a cacciare le nostre mucche". Per i capi perduti la conservancy paga un indennizzo. E i Masai, lentamente, imparano a convivere con i leoni.

Chi sbarca nel Mara con la fotocopia del Journal of Zoology nella valigia non crede a quello che ha letto. Decine di ippopota mi affrontano il caldo sbuffando nelle basse acque del fiume. Antilopi e gazzelle di ogni specie  - i minuscoli dik-dik, le elegantissime impala, damalischi, eland, gazzelle di Thomson e di Grant -  muovono a interi branchi. Gruppi di giraffe, famiglie di elefanti brucano una vegetazione verdeggiante. Appartati ma non invisibili, i leoni si accoppiano ruggendo o dormono sfiniti dalle fatiche amorose o dai pasti.

Migliaia di gnu e di zebre galop pano in ogni direzione o sguazzano nelle pozze d'acqua. Il numero degli animali sembra, all'occhio umano, incalcolabile, inesauribile. È un inno al creato e alla vita che comunica un silenzioso senso di perfezione, un equilibrio che trasmette col vento una pace profonda. È bello essere. Terrestri nel Masai Mara.
 
(15 luglio 2011)
 
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Vale, caduta e noie: 12°
Al Sachsenring vola Sic

SACHSENRING (Germania), 15 luglio 2011

In Germania, nelle libere, a terra anche Stoner e Pedrosa nella stessa curva di Rossi, che si procura un'abrasione al braccio e due taglietti sotto il mento. Simoncelli il più rapido, davanti a Lorenzo, staccato di 95/1000. 3° Pedrosa, poi Stoner e Dovizioso

Stoner e Rossi, autori di brutti voli nelle libere al Sachsenting. Ap
Stoner e Rossi, autori di brutti voli nelle libere al Sachsenting. Ap
Al Sachsenring, nella MotoGP, Marco Simoncelli (Honda Gresini) chiude in testa la prima giornata di libere, dopo una mattinata funestata da tante cadute eccellenti. Stoner, Valentino Rossi e Pedrosa volano a terra nella stessa curva, una delle poche a destra del circuito, evidenziando chiari problemi con il pneumatico anteriore, non ancora in temperatura su quel lato della gomma. Tanta la paura, ma nessun danno. Il più veloce alla fine delle due sessioni è stato il Sic, che di pomeriggio migliora il crono della mattina e fissa il limite a 1'22"225, dopo un gran duello con Lorenzo (Yamaha), staccato di soli 95/1000. Terzo Pedrosa, poi Stoner, Dovizioso e Hayden. Giornata no per Valentino Rossi, cha alla caduta della mattinata somma un guasto nel pomeriggio alla Desmosedici, che lo abbandona a bordo pista, ne rallenta il lavoro e lo fa chiudere al 12° posto a 1"3 di ritardo.
curva pericolosa — Al mattino, dopo pochi minuti di libere, l'australiano della Honda ha perso il posteriore della sua RC212V, ha cercato di tenerla restando aggrapato al manubrio, come in un rodeo, ma è stato sbalzato a terra: per lui nessun problema, infatti ha ripreso poco dopo la pista chiudendo al secondo posto nella lista dei tempi. Pochi minuti dopo è stata la volta di Valentino Rossi, che nella stessa curva, ha perso l'anteriore della sua Desmosedici ed è scivolato, strusciando duramente l'avambraccio destro sull'asfalto e strappandone la tuta. Ducati distrutta e Valentino che passa dalla Clinica Mobile per dei controlli: per lui un'abrasione all'avambraccio e due taglietti sotto il mento. Poco dopo una nuvola di terra, sempre nella curva 11 , fa capire che ne è caduto un altro: è Dani Pedrosa, con le stesse modalità di Stoner e Rossi. Per lo spagnolo un brivido in più, vista la sue recente frattura alla clavicola che gli ha fatto saltare 3 GP, ma per fortuna nessuna conseguenza fisica. Ad allungare la lista, anche Elias, che scivola due volte, una nella 'solita' piega a destra, l'altra alla prima curva dopo il traguardo.
La caduta di Rossi nelle prima libere al Sachsenring. 4press da tv
La caduta di Rossi nelle prima libere al Sachsenring. 4press da tv
suppo: "pericoloso" — Così Livio Suppo, della Honda Hrc, ha commentato la travagliata mattinata: "È chiaro che la gomma anteriore alla prima curva a destra fa fatica, Casey è caduto con un pneumatico nuovo e ho visto che anche altri hanno avuto dei problemi. Abbiamo proposto di sospendere le prove per far parlare i piloti al riguardo: speriamo venga fuori il sole, altrimenti così è pericoloso". Guareschi, team manager della Ducati: "Valentino sta bene, ha rimediato un'abrasione all'avambraccio e due taglietti sotto il mento. È andata bene ma è stata una brutta botta. Problemi con le gomme? Ne servirebbe una più morbida, con queste si fa fatica".
Marco Simoncelli, 24 anni, seconda stagione in MotoGP. Ansa
Marco Simoncelli, 24 anni, seconda stagione in MotoGP. Ansa
la seconda sessione — Nella seconda sessione, con il sole e la pista più calda, il primo a battere il tempo della mattinata di Simoncelli è Lorenzo, con 1’22”804, ma il pilota di Gresini, che su questa pista ha vinto in 250 nel 2008 e 2009, è in gran forma e proprio sotto la bandiera a scacchi scalza il maiorchino dalla vetta dei tempi, staccandolo per soli 95/1000. In buona forma pure Pedrosa, 3° a 207/1000, che precede i compagni in Honda Hrc, Stoner, 4° a 317/1000, e Dovizioso, 5° a 429/1000. 6° chiude Hayden, il compagno di squadra di Valentino, staccato di 657/1000. Dopo la caduta della mattinata, nel pomeriggio Rossi ha noie con la moto, che lo abbandona a bordo pista e lo costringe al frettoloso rientro ai box con lo scooter guidato dal team manager Guareschi: la sessione è compromessa, come indica il suo 12° tempo a 1”3 dal leader Simoncelli.
125, ok terol — In 125 il più veloce di giornata è stato il leader del Mondiale, Nico Terol, che con l'Aprilia del Team Aspar ha preceduto tutti con il tempo di 1'28"483. Alle sue spalle il compagno di team, Hector Faubel, staccato di 7/1000 e Maverick Vinales, a 172/1000 con l'Aprilia del team Paris Hilton. Quarto Sergio Gadea a 488/1000. Il primi degli italiani è Simone Grotzkyj, 12° a 1"024.
luthi vola nella moto2 — Sessione molto serrata in Moto2, con ben 5 piloti racchiusi in meno di un decimo. Il miglior tempo, staccato nella sessione del pomeriggio, è di Thomas Luthi, con la Suter, che ha fermato i cronometri sull'1'25"458, precedendo di soli 2/1000 Aleix Espargaro, con la Kalex del Team Pons, e di 10/1000 il giapponese Yuki Takahashi (Moriwaki Team Gresini). Quarto Scott Redding (Suter) a 71/1000, 5° Alex De Angelis, il più veloce al mattino, distaccato di 84/1000. Il primo degli italiani è Simoni Corsi (Ftr Team Ioda Racing), 7° a 169/1000 con il tempo fatto in mattinata. 16° Iannone (Suter Speed Master), a 641/1000.
Massimo Brizzi© RIPRODUZIONE RISERVATA