giovedì 26 gennaio 2012

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Megaupload, fondatore rimane in carcere
ora l'Fbi indaga su due nuovi siti

Respinta la richiesta dei legali del guru del file-sharing Kim Schmitz, detto Dotcom, agli arresti per l'accusa di pirateria informatica dopo l'operazione dell'Fbi contro i suoi siti. Dopo la chiusura del servizio, provvedimenti anche per i sudamericani Cuevana e Taringa

AUCKLAND - Resta in carcere in Nuova Zelanda Kim Dotcom, alias Kim Schmitz 1, il guru del file-sharing diventato miliardario grazie al network Megaupload 2 e ai suoi affiliati, finito in manette 3 nell'ambito di una maxi operazione anti-pirateria informatica condotta dal Fbi.

Il giudice ha infatti respinto la richiesta avanzata dai suoi legali di scarcerazione su cauzione. Il fondatore di Megaupload, tedesco di 37 anni, dovrà restare in carcere fino al 22 febbraio. Insieme ad altre tre persone arrestate, del gruppo "Mega Conspiracy" (altri tre sono ricercati), Schmitz è accusato dalla giustizia americana di reati informatici che hanno generato 500 milioni di dollari di danni.

Megaupload, nella top ten dei siti più frequentati al mondo, è stato nel frattempo chiuso, lasciando i 150 milioni di utenti registrati senza accesso ai file immagazinati nei server del servizio. Dal 2005, anno in cui venne fondato Megaupload, ad oggi Dotcom è diventato ricchissimo: solo nel 2010 si stima che abbia guadagnato 50 milioni di dollari.

Cuevana e Taringa. Anche due nuovi siti di condivisione, gli argentini Cuevana e Taringa, sono stati colpiti dall'onda lunga dell'affaire Megaupload. Entrambi i servizi sono nel mirino dell'Fbi, dopo essere stati identificati come piattaforme in grado di condividere i contenuti esattamente come Megaupload. Con un traffico di utenti non indifferente: sei milioni al giorno. (25 gennaio 2012)
 
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Frequenze e digitale terrestre
La lotteria dei rimborsi alle tv locali 

Per liberare la porzione d'etere assegnata alle compagnie telefoniche, lo Stato ha previsto una serie di indennizzi per le televisioni locali che dovranno sgomberare. Ma alle emittenti parrocchiali con poche centinaia di ascoltatori andranno gli stessi soldi di realtà solide che hanno centinaia di dipendenti. Telelombardia: “Una truffa”
Che cosa hanno in comune Tele Sol Regina, emittente cremonese con tre collaboratori, e Telelombardia che, con i suoi 135 dipendenti e un centinaio di ripetitori, copre un bacino d’ascolto potenziale di 12 milioni di telespettatori? A prima vista niente. Eppure per il ministero dello Sviluppo economico sono esattamente uguali. Tant’è che riceveranno gli stessi soldi per sgomberare il canale sul quale irradiano il proprio segnale. Perché? Entrambe trasmettono su una frequenza compresa fra i canali 61 e 69, una porzione d’etere molto particolare. Sì, perché è quella che lo Stato ha recentemente messo all’asta per potenziare la banda 4G (Internet senza fili e servizi multimediali per i telefonini) riuscendo a racimolare la bellezza di 4 miliardi di euro. La gara era riservata alle compagnie di telecomunicazioni come Vodafone e Wind che, desiderose di ampliare la propria capacità trasmissiva, a forza di rilanci hanno portato una notevole boccata d’aria alle disastrate casse dello Stato.

Il problema però è che a dicembre 2010, quando l’allora ministro Tremonti inserì in Finanziaria la gara, già una decina di regioni avevano fatto lo switch off e cioè erano passate dalla trasmissione analogica a quella digitale terrestre. E una parte dello spettro assegnato alle antenne locali, come Telelombardia e Tele Sol Regina, era proprio quello compreso nello slot 61-69. Niente di preoccupante perché il governo avrebbe messo a punto un decreto teso a risarcire le emittenti obbligate a fare i bagagli per lasciare spazio alle Internet key e ai videofonini.

Ora la bozza del regolamento è pronta, il fattoquotidiano.it ha potuto leggerla in anteprima e le sorprese non sono mancate. Tutte le emittenti riceveranno lo stesso indennizzo economico: dall’emittente parrocchiale che trasmette per qualche centinaio di fedeli alle corazzate che, a livello regionale, se la giocano con Rai, Mediaset e La 7. Ma per il titolare dello Sviluppo economico Corrado Passera fa lo stesso. Tant’è che l’unico criterio introdotto per individuare il valore di una frequenza (e quindi il relativo rimborso per l’emittente che su quello spazio trasmette) è su base regionale: se in Trentino Alto Adige un canale viene valutato 559mila euro, in Emilia Romagna si sale a 2milioni e 300mila. Testa di serie è la Lombardia, la più popolosa regione d’Italia, dove l’indennizzo sale a 5 milioni e 400mila euro.

“E’ una truffa – tuona Sandro Parenzo, patron di Telelombardia – . La tv del parroco che trasmette per 70 persone una messa e lo stesso film tutti i giorni, riceverà lo stesso nostro indennizzo che produciamo informazione per tutta la giornata e abbiamo speso 85 milioni di euro per i nostri impianti di trasmissione. La tv del cugino dell’assessore che ha tre dipendenti avrà gli stessi soldi nostri che ne abbiamo 135 e un centinaio di collaboratori”.

Ma cosa dice la bozza di regolamento emanata dal ministero dello Sviluppo economico? Che le “emittenti locali legittimamente operanti” nelle regioni “già digitalizzate alla data dell’entrata in vigore della Legge 13 dicembre 2010 n. 220”, a seguito del “volontario rilascio delle frequenze oggetto di diritto all’uso” possono partecipare alla procedura “d’attribuzione di una misura economica di natura compensativa”: 170 milioni di euro complessivi da dividere fra le varie antenne.

La procedura prevista dal capo di via Vittorio Veneto non piace neanche a uno dei maggiori esperti italiani del settore, Antonio Sassano, consulente di Paolo Gentiloni quando era ministro delle Comunicazioni e docente universitario: “E’ un meccanismo punitivo per le emittenti migliori, quelle che vogliono fare veramente tv”. E a Parenzo di essere considerato come Primarete Lombardia (capitale sociale di 81mila euro e cinque dipendenti), non gli va proprio giù: “Perché mentre gli altri mandano in onda le televendite io ho un palinsesto che copre l’intera giornata”. Basti pensare che la sua Telelombardia è la capo-cordata del network di emittenti locali che mandano in onda Servizio Pubblico, il format multi-piattaforma di Michele Santoro: “Centinaia di migliaia di telespettatori vedono il programma sul canale 64. Qualora cambiassimo spazio ci vorrebbero anni per spiegare che si deve ri-sintonizzare il televisore (o il decoder, ndr) perché Telelombardia lì non c’è più”.

Le critiche dell’editore stanno facendo proseliti, dalle associazioni che raggruppano le televisioni commerciali e locali, come Frt e AerAnti Corallo, fino ai membri della commissione di Vigilanza sul servizio radiotelevisivo del Pd che hanno annunciato un’interrogazione per chiedere a Passera una modifica dei criteri.

Come? E’ ancora Sassano a indicare la via prendendo spunto dal meccanismo di assegnazione di quelle regioni passate al digitale terrestre dopo il 2010, quando si sapeva che la banda 61-69 doveva essere lasciata libera per le tlc. “In Toscana o in Liguria – spiega il professore – per assegnare le 18 frequenze disponili per le locali si è fatta una gara dove le emittenti migliori si sono prese gli spazi più competitivi”. E nelle aree del Paese già digitalizzate? “Si dovrebbe procedere con un’asta al ribasso, in modo da liberare almeno nove slot per poi procedere a una competizione nella quale le realtà più serie si possano aggiudicare gli spazi migliori”. Così facendo, secondo il professore, lo Stato risparmierebbe diverse decine di milioni di euro e introdurrebbe il criterio del merito per riassegnare una porzione di etere alternativa a quella venduta a Telecom e soci.

Se è vero che le frequenze sono un “bene dello Stato raro e prezioso che va attentamente ponderato”, come ha detto Passera quando ha dato il benservito al beauty contest e alle regalie per il duopolio Raiset, è altrettanto vero che l’annunciata rivoluzione delle antenne deve evitare di danneggiare quelle esperienze regionali che garantiscono rappresentanza locale e occupazione.
 
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La Maserati produrrà il suv a Detroit
Marchionne bocciato dal Wall Street Journal 

Nello stabilimento di Modena (per adesso) resta solo l'ammiraglia della Casa del Tridente: un modello uscito sette anni fa. Poco per continuare a dare lavoro a settecento dipendenti
“Una Maserati resta Maserati anche se è fabbricata a Detroit?” Se lo è chiesto il Wall Street Journal quando ancora la decisione di Marchionne di costruire fuori dall’Italia un suv col marchio del tridente era solo una voce di corridoio. Adesso che la notizia è ufficiale, la scelta del manager Fiat sta preoccupando molto di più, a cominciare dai sindacati, che denunciano “l’inesistenza di un piano di rilancio industriale che tuteli l’occupazione”. In gioco ci sono i 700 posti di lavoro legati allo storico marchio modenese di auto di lusso, già in bilico dopo la decisione di Fiat di produrre a Torino il cosiddetto Maseratino, semento meno costoso della casa. A Modena resterebbe praticamente lo stabilimento vuoto: solo la vecchia ammiraglia che è pur sempre eccellente, ma è uscita sette anni fa.

Ad attivarsi anche la politica emiliana-romagnola, che chiede alla Regione di incontrarsi col Ministro dello sviluppo economico, Corrado Passera. “Vogliamo chiarire il futuro dello stabilimento di Modena e scongiurare problemi occupazioni”, spiegano i consiglieri regionali del Pd Stefano Bonaccini, Palma Costi e il loro collega del Pdl Luciano Vecchi. Insomma, una mobilitazione bipartisan per salvare uno stabilimento che potrebbe essere messo in crisi proprio dalla decisione di Marchionne.

Il suv col marchio Maserati – il nome provvisorio è Kubang – sarà infatti costruito a partire dal 2013 nello stabilimento Jefferson North di Detroit e venduto negli Usa nel secondo semestre di quell’anno, per poi piano piano essere esportato in tutto il mondo. Una decisione che Marchionne ha giustificato con “la necessità di utilizzare la capacità produttiva degli impianti del gruppo ovunque essi siano, e in base alle esigenze di mercato”.

E allora sembra proprio che queste esigenze portino la produzione fuori da Modena e dall’Italia. A restare made in Italy saranno i motori, prodotti nello stabilimento Ferrari di Maranello, così come la progettazione che sarà gestita in tutta la sua componentistica – sospensioni, freni, sterzo ed elettronica – da ingegneri italiani. A lasciare le catene di montaggio modenesi sarà l’assemblaggio. Un colpo pesantissimo per i 700 lavoratori della Maserati che arriva dopo un’altra decisione aziendale presa pochi mesi fa, quella di fabbricare la nuova quattro porte in provincia di Torino e non più in Emilia-Romagna.

“Di questa storia sappiamo tutto, cosa sarà costruito negli Usa, cosa a Torino. Quello che non sappiamo è cosa produrrà lo stabilimento di Modena”. A parlare è Ferdinando Siena della Fiom-Cgil. La preoccupazione del sindacato è che la “produzione si spenga pian piano, senza annunci clamorosi che forse Marchionne giudica ormai controproducenti”. Il riferimento è alla chiusura di Termini Imerese, che per settimane ha tenuto banco su giornali e tv. Che la situazione sia allarmante è confermato anche dal piano industriale, latitante da ormai due anni nonostante le ripetute richieste di istituzioni e sindacati. “Passano i mesi – spiega Siena – e nulla è cambiato, del piano industriale non sappiamo niente, così come non sappiamo niente di possibili strategie di rilancio dello stabilimento”. La paura, conclude il sindacalista, è che «il 2012 non passerà indenne come è successo col 2011».

 

domenica 22 gennaio 2012

già....

Twitter fa concorrenza
anche ai giornali

Il social network di microblogging acquisisce Summify, servizio che riassume, selezionandole,  le notizie più interessanti circolate sulla Rete di LORENZA CASTAGNERI

TWITTER, il social network specializzato in microblogging ha acquisito Summify 1, servizio che ogni giorno riassume le notizie più interessanti circolate attraverso i social network. Una soluzione che permette di tenere sotto controllo il cosiddetto information overload, il sovraccarico di informazioni, selezionanado i temi più rilevanti e discussi affinché questi non vadano persi nei meandri della rete. L'operazione è stata messa a punto qualche giorno fa e Summify ha sospeso temporaneamente la sua attività, in attesa di capire come il servizio potrà essere implementato con quello offerto da Twitter.

I fondatori di Summify sono Mircea Pasoi e Cristian Strat, due appassionati di tecnologia romeni che si sono convertiti in imprenditori. Rifiutate offerte di lavoro di Google e Facebook, i due si sono trasferiti in Canada. A Vancouver, nell'incubatore di idee Bootup Labs, hanno sviluppato la loro start-up. Obiettivo: realizzare quello che hanno definito "un tassello fondamentale per il mondo di Internet", il filtro di rilevanza.

Funziona, o meglio, funzionava così: gli utenti si registrano come nel più classico dei social network. Con un algoritmo, Summify è in grado di selezionare le storie più interessanti circolate attraverso il proprio account Facebook o Twitter o via feed RSS riassumendole in una mail o sull'applicazione per iPhone collegata.

L'acquisto di Summify da parte di Twitter è stato perfezionato giovedì. Quanto sia costata l'operazione non è dato a sapersi ma questo ha determinato la sospensione immediata del servizio: Summify non accetta più la registrazione di nuovi users, i profili e le pagine sono progressivamente rimossi e nel giro di qualche settimana verrà sospeso l'invio delle sintesi via mail. L'applicazione è sparita anche dall'App store.

Per usarla, chi non la conosceva, dovrà aspettare per un po'. Non dovrebbe comunque passare molto tempo: il team di Summify  -  composto da Mark Chua, Nimalan Mehenderan, Robin Campbell e Stefan Filip, oltre che da Strat e Pasoi  -  ha già lasciato gli uffici di Vancouver per trasferisi nel quartier generale di Twitter a San Francisco dove si cercherà una soluzione per unire il servizio di microblogging con quello di news aggregator.

Un'altra novità, dunque, per Twitter dopo il restyling grafico delle ultime settimane. Il social network, potrebbe raggiungere presto il traguardo di 500 milioni di utenti e vuole la ricerca di news e video sempre più intelligente. (22 gennaio 2012)
 
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Lega, a Milano Bossi fischiato dai militanti
Che invocano Roberto Maroni 

Nonostante l'insistenza della base il Senatùr ha vietato all'ex ministro dell'Interno di parlare dal palco in piazza del Duomo. Forti contestazioni. Tra le bandiere della Tanzania e striscioni a favore del "barbaro sognante", insulti a Reguzzoni e Rosi Mauro: i "gerarchi" del Cerchio Magico. E sul suo profilo facebook Bobo scrive: "Mi è dispiaciuto non poter parlare"
“La pace di Milano”, come la chiama lui, non esiste. Non esiste per la base. Non esiste per Roberto Maroni e Marco Reguzzoni. Non esiste per nessun esponente dei vertici del Carroccio. Che siano sindaci (come Flavio Tosi e Attilio Fontana) o presidenti di Regione (a partire da Roberto Cota e Luca Zaia), nessuno va dietro all’auspicio espresso da Umberto Bossi. La pace non solo non esiste, dunque, ma non va assolutamente trovata: i militanti vogliono che lo scontro tra maroniani e cerchisti si concluda sul campo e con un solo vincitore. Così molti, lasciando la manifestazione milanese, si dicono delusi e annunciano la volontà di lasciare il partito. Perché all’ombra della Madonnina i più erano arrivati per assistere all’incoronazione definitiva del “barbaro sognante” Bobo. E invece.

Invece, nonostante la piazza abbia invocato con forza e ripetutamente “un saluto da Maroni”, Bossi ha deciso di non farlo parlare. Invece di sentirsi dire che il tesoriere Francesco Belsito, il responsabile dei fondi investiti in Tanzania, e “la terrona” Rosi Mauro, dovranno trovarsi un impiego, il Capo ha insistito nel tentare (inutilmente) di convincere Maroni a stringere la mano ai cerchisti. Generando un siparietto molto imbarazzante. Per lui e per Marco Reguzzoni e Mauro. Quando Bossi si augura che “scenderemo dal palco tutti insieme stringendoci la mano”, la piazza reagisce invitando l’ex capogruppo ad andare “fuori dai coglioni”. E a Rosi Mauro rivolge l’invito generalizzando: “I teroni fuori dai Maroni”. Il clima è questo. E per la prima volta  durante un comizio Bossi è interrotto da cori, grida, slogan. Lui alza la voce, sposta l’attenzione sul governo Monti e su Roberto Formigoni. Che minaccia: “Li stanno arrestando ogni giorno, se continua così andiamo a elezioni e corriamo da soli; Formigoni ricordati che i soldi sono i nostri”, grida. Ma agli oltre ventimila riuniti in piazza del Duomo (la guerra dei numeri è ancora aperta, il dato oscilla tra i 20mila e i 50mila presenti) interessa di più sentire Maroni, assistere al passaggio di consegne. Invocano i congressi, gridano a gran voce Bobo, instancabili mostrano manifesti contro il cerchio magico (“ormai è stato inquadrato, basta giochi”) e i suoi componenti (“Bossi e Maroni in Padania gli altri 4 coglioni in Tanzania”), se la prendono con la consigliera regionale Monica Rizzi, cerchista e tutrice del trota Renzo (“Sei falsa come la tua laurea”). Insomma sono arrivati fin qui nella speranza di assistere al passaggio di consegne.

Maroni è visibilmente soddisfatto. Sul palco un passo davanti a tutti gli altri raccolti intorno a Bossi, saluta e applaude quando lo invocano, per poi suggerire con il labbiale di scandire il nome “Bossi, Bossi”. E quando Matteo Salvini e altri sventolano dal palco la sciarpa “Barbari sognanti” finge di non vedere, ma il sorriso è soddisfatto, il momento è arrivato. E la differenza con Pontida e Venezia, dove per la prima volta era stato acclamato come “premier” e “successore di Bossi”, è che l’ex titolare del Viminale ci crede. Ha capito di avere la forza politica e la spinta per lo scontro.

Scendere dal palco senza parlare brucia un po’. Ma le rimostranze sono state presentate al Capo in via Bellerio. E così al termine della segreteria federale, è lui che comunica le scelte adottate nel fortino leghiste. Come già annunciato: “I congressi provinciali si svolgeranno entro tre mesi ed entro giugno ci saranno i nazionali”, comunica.  E sulla manifestazione, Bobo punzecchia: ”Fischi? Io ho sentito applausi e incitamenti per Bossi e per la Lega. E qualcuno anche per me e questo mi fa piacere”, sottolinea. Ma dal suo profilo facebook, poco dopo scrive: “Una folla immensa ha invaso la nostra Milano! Un popolo di barbari sognatori ! Vorrei ringraziarvi uno per uno : tutti ! Ognuno di voi ! Il mio pensiero va alle/ai militanti che si sono alzati a notte fonda per essere in piazza uniti più che mai ! GRAZIE, GRAZIE !!! Mi è dispiaciuto molto non poter parlare per salutarvi e condividere con voi queste sensazioni ! Sono molto felice di comunicarvi che poco fa si è concluso il “Federale” che ha deliberato la convocazione dei congressi provinciali e nazionali così come richiesto dai nostri militanti ! Il VOSTRO Barbaro Sognante!”.
 
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Il francese della Citroen, otto volte iridato, si aggiudica laprima prova della stagione davanti alla Mini dello spagnolo Sordo e alla Fiesta del norvegese Solberg


Sesto centro per Loeb a Montecarlo. Afp
Sesto centro per Loeb a Montecarlo. Afp
Trionfo per Sebastien Loeb al Rally di Montecarlo. Il pilota francese (su Citroen DS3), otto volte campione del mondo, si è aggiudicato per la sesta volta la competizione nel Principato, arrivata all'80ª edizione, chiudendo davanti allo spagnolo Dani Sordo (Mini) e al norvegese Petter Solberg (Ford Fiesta RS). Grazie al successo a Montecarlo, prima prova del campionato del mondo 2012, Loeb è in testa alla classifica piloti con 28 punti.
onore — Naturalmente felicissimo il vincitore, vero cannibale della strada: "È bellissimo vincere qui, il luogo più mitico del campionato. È anche la gara di casa del mio copilota (Elena; n.d.r.). Come inizio non poteva andare meglio, sono in testa alla classifica, ho guidato senza errori. Il modo ideale di cominciare una stagione".
 

mercoledì 18 gennaio 2012

ma dai......

La Rete si scatena:
“Vieni avanti Schettino” 

Se fosse un film, sarebbe il cuore della scena madre, la punta più alta del climax. “Vada a bordo c…!” urlerebbe il capo della capitaneria di porto al comandante infedele che balbetta dall’altra parte della cornetta.

La frase, così, virgolettata, entrerebbe di diritto nella storia del cinema, al pari di “Sono Wolf, risolvo problemi” di Pulp Fiction o “Ehi tu, Biff, toglile le mani di dosso!” di Ritorno al Futuro. Invece, come sappiamo, si tratta della realtà, l’assurda realtà italiana nelle sue due facce speculari del gaglioffo incosciente e del probo servitore dello Stato. Ieri su Internet la telefonata De Falco-Schettino è diventata immediatamente un tormentone. Non poteva essere altrimenti visto che anche i tg all’estero hanno rimandato in onda la surreale conversazione.

Ma la Rete mastica, ironizza, critica, rielabora, inventa. Qualcuno, inevitabilmente, prende la frase del giorno e la riscrive in chiave Soliti idioti: “Dai c… Schettino vai a bordo e nun fa gridà papà che sta a morì de prostatite c…”, paròdia l’utente Gianmaria su Facebook. C’è chi, come il sito frankezze.it, si butta invece sul fotomontaggio in stile Lino Banfi: “Vieni a bordo Schettino” dice un comandate nei panni del “disgraziato maledetto”. E non manca chi, alla modica cifra di euro 12,90, la butta sul commerciale mettendo in vendita sul web una maglietta bianca con una scritta nera (la scritta, ça va sans dire, riporta l’ordine di De Falco).

Su Twitter, infine, #vadaabordocazzo è stata tutto il giorno l’hastag più calda. C’è chi la rilegge in chiave storico-fascista: “#vadaabordocazzo: la storia si ripete”“Magari ci fosse stato un #DeFalco, l’ 8 settembre ‘43. Anche allora il capitano abbandonò la nave…”; chi come Nicola Savino torna sul film tormentone dell’anno: “Questa hashtag è uno dei motivi per cui Twitter è bello. Che poi per me è un po ’ parente del #daicazzo de i soliti idioti”; e chi ci trova delle corrispondenze con il mondo reale: “L’Italia come la vorremmo (#defalco) e l’Italia com’è (#schettino)…” sottolinea il giornalista Gennaro Carotenuto.

Eppure non tutti concordano sulla tag: il decano dei blogger italiani Massimo Mantellini twitta sull’argomento del giorno “tre cose impopolari”, ovvero: “La telefonata non andava diffusa, De Falco fa il solito militare arrogante, la foga della rete è giacobina #vadaabordocazzo” e così il giornalista Tommaso Labbate: “Secondo me è un hashtag non bello e poco opportuno rispetto a tragedia”. Volenti o nolenti, la frase di De Falco è già nella storia.
 
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Parte la mobilitazione di Greenpeace
In difesa dell’attivista bandito da Roma 

"Siamo tutti banditi del clima". Parte oggi sul web la mobilitazione di Greenpeace in sostegno a Salvatore Barbera, attivista dell’associazione e responsabile della campagna clima e energia, bandito da Roma per due anni in seguito alla sua partecipazione a un blitz pacifico davanti a Palazzo Chigi, lo scorso 6 dicembre
“Siamo tutti banditi del clima”. Parte oggi sul web la mobilitazione di Greenpeace in sostegno a Salvatore Barbera, attivista dell’associazione e responsabile della campagna clima e energia, bandito da Roma per due anni in seguito alla sua partecipazione a un blitz pacifico davanti a Palazzo Chigi, lo scorso 6 dicembre.

Dopo 42 giorni e nonostante l’unanime condanna del provvedimento da parte del mondo ambientalista e un’interrogazione al ministro Cancellieri a firma dei senatori Pd Ferrante e Della Seta, è ancora in vigore il foglio di via firmato dal procuratore Tagliente per l’ambientalista, costretto dal 7 dicembre ad abbandonare la capitale, dove lavorava e viveva stabilmente, per fare ritorno a Pistoia, sua città d’origine e di residenza.

“Lo scorso 6 dicembre, in concomitanza con la partecipazione del governo italiano alla conferenza di Durban sui cambiamenti climatici, abbiamo dato vita ad un’azione del tutto pacifica di fronte al palazzo del governo, aprendo alcuni striscioni con la scritta ‘Il clima cambia la politica deve cambiare’ e mettendo in scena con degli attori la rappresentazione dell’immobilismo della politica di fronte alle emergenze climatiche” racconta Salvatore Barbera.

“Al termine dell’azione io e altri sette attivisti siamo stati condotti in commissariato, denunciati per manifestazione non autorizzata e trattenuti per quasi dieci ore, fino a quando mi è stato notificato il foglio di via da Roma. Entro 24 ore dovevo lasciare la capitale e presentarmi in commissariato a Pistoia per dimostrare che avevo lasciato la capitale. In questo momento sono un uomo libero, ma se il provvedimento non verrà ritirato o annullato da una sentenza non potrò mettere piede nel comune di Roma per i prossimi due anni, a rischio di essere arrestato per un periodo da uno a sei mesi.”

Un “esilio” giustificato legalmente dalla Questura sulla base del decreto legislativo 159/2011 che riprende la legge 1423/56 consentendo di applicare provvedimenti extra processuali a carico di soggetti considerati pericolosi per la pubblica sicurezza, come “oziosi e vagabondi abituali, coloro che sono abitualmente dediti a traffici illeciti o che vivono abitualmente con il provento di delitti; dediti a favorire lo sfruttamento della prostituzione, la tratta delle donne, la corruzione di minori” o ancora “ad esercitare il traffico illecito di sostanze tossiche o stupefacenti” o a svolgere abitualmente “altre attività contrarie alla morale pubblica e al buon costume”.

In pratica delinquenti, mafiosi e soggetti pericolosi per gli altri: il ritratto perfetto dei “pericolosissimi banditi del clima” che Greenpeace chiama provocatoriamente ad autodenunciarsi sul nuovo sito web della campagna,  www.banditidelclima.org.

“Il foglio di via fa riferimento ad una vecchia legge pensata più di mezzo secolo fa per allontanare i mafiosi dalle loro aree di influenza. E’ assurdo che una manifestazione non violenta venga giudicata al pari di un crimine mafioso, oltretutto la nostra azione non ha dato luogo a nessuna denuncia” sottolinea Barbera, che nel ruolo di responsabile di campagna, ha partecipato a tutte le iniziative organizzate lo scorso anno da Greenpeace in vista del referendum sul nucleare.

Un tentativo di criminalizzare i blitz dell’associazione e il diritto di agire per la tutela dell’ambiente che non è nuovo per gli avvocati di Greenpeace: già nel 2007 a Brindisi dodici attivisti furono banditi per tre anni in seguito ad un’azione nella centrale a carbone Enel mentre a fine maggio 2011 lo stesso provvedimento fu adottato dopo la spettacolare iniziativa anti nucleare allo Stadio Olimpico di Roma. In entrambi i casi sentenze dei Tar hanno poi annullato i decreti della polizia.

martedì 17 gennaio 2012

sunpower

ENERGIE RINNOVABILI

Fotovoltaico: per gli italiani è l’energia del futuro. E con il 2012 in arrivo nuovi incentivi

Sempre più famiglie decidono di passare al solare per risparmiare sulla bolletta di luce e gas. A convincere i più reticenti ci pensano gli ecobonus statali destinati a chi investe nelle rinnovabili: i dettagli del nuovo Conto Energia
Per la maggior parte degli italiani il solare è l’energia del futuro. A rivelarlo è il rapporto “Gli italiani e il solare”, realizzato da Ipr marketing e Fondazione Univerde (guidata dall’ex Ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio), secondo cui dal 2009 è aumentato il numero delle famiglie che decidono di scommettere sul fotovoltaico. Tra i principali motivi alla base di questa maggiore propensione nei confronti dell’energia solare e, in generale, delle fonti rinnovabili c’è la volontà di risparmiare sui costi energia elettrica e gas, soprattutto in previsione dell’ennesimo rialzo annunciato dall’Aeeg. Inoltre, il Governo mette a disposizione degli incentivi specifici per chi investe nel fotovoltaico.
Secondo quanto affermato nel rapporto di Ipr marketing e Fondazione Univerde, da settembre 2009 è aumentata la quota di italiani che investe nel solare: il numero di persone che hanno dichiarato di aver preso in considerazione l’idea di sfruttare il solare è passato dal 54% all’80%.In crescita anche le percentuali di consumatori a favore di eolico, idroelettrico, geotermico e biomasse a conferma di un rinnovato interesse nei confronti delle fonti di energia rinnovabili, che sono state largamente giudicate sicure ed eco-compatibili.
A influire su questi dati sono i continui aumenti che si sono abbattuti sui costi dell’energia. Anche se continua a persistere un 35% che considera il solare più costoso rispetto alle fonti energetiche tradizionali, il principale motivo alla base di questo trend è, infatti, la volontà di risparmiare sulla bolletta dell’energia (45%). Altre motivazioni sono il rispetto per l’ambiente (31%) e la convinzione di aver fatto una scelta giusta per il futuro (17%).
I più informati sull’energia fotovoltaica sono i giovani del nord Italia (54%) e gli over 54 (49%), anche se la paura di essere truffati dopo aver sostenuto l’investimento interessa proprio il 71% dei giovani e il 55% dei meridionali. Nella scelta degli impianti solari la certificazione di qualità è un elemento fondamentale (69%), mentre il prezzo appare in secondo piano (19%), soprattutto per gli over 54 (89%). Discorso completamente diverso per i giovani e gli adulti fino ai 54 anni d’età, che, invece, considerano più importante il costo degli impianti (27%). Come, poi, osserva il rapporto, la fine degli incentivi rappresenta un motivo di scoraggiamento soprattutto per gli adulti e i residenti al sud.
Le agevolazioni. Tutti coloro che sceglieranno d’installare impianti fotovoltaici nel corso del 2012 potranno beneficiare degli incentivi statali di durata ventennale messi a disposizione dal Governo. Il decreto interministeriale del 5 maggio 2011 ha, infatti, introdotto il Quarto Conto Energia, precisando che le tariffe avranno un andamento “a scalare” per tutti gli impianti che entrano in funzione tra il 31 maggio 2011 e il 31 dicembre 2016. Lo stesso decreto fissa ai 23 mila Mwp la soglia massima per ottenere un incentivo. L'importo dei finanziamenti statili per il 2012 varia da 0,133 euro / kWh a 0,274 euro / kWh, a seconda del momento di entrata in esercizio dell’impianto e della sua potenza unitaria.
Per chi volesse risparmiare sulla bolletta di luce e gas ed essere informato sulle potenzialità offerte dalle fonti di energia rinnovabile, il consiglio è di consultare il sito di SuperMoney. In pochi minuti, grazie al suo servizio di comparazione, sarà possibile confrontare le tariffe delle principali compagnie che operano nel settore dell’energia tradizionale e che sfruttano le fonti di energia rinnovabile: è questo il caso di Sorgenia, che promuove il progetto “Sole Mio” per l’installazione gratuita di pannelli solari ai propri clienti. 
 
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L'EVENTO

Condannati ad essere connessi
il Ces di Las Vegas dalla A alla Z

Si chiude il Consumer electronic show di Las Vegas, la più grande fiera mondiale dell'elettronica di consumo. Tra tante novità, ripercorriamo le cose più interessanti e i trend che si sono visti in questi giorni dal nostro inviato ALESSIO SGHERZA

LAS VEGAS - Lo spettacolo è finito: si chiude oggi l’edizione 2012 del Consumer electronic show di Las Vegas. Un’edizione da record, secondo gli organizzatori: oltre tremila espositori da tutto il mondo, quasi 150mila metri quadrati di stand e 20.000 nuovi prodotti lanciati. Ma è stata anche un’edizione di passaggio, in un momento di crisi economica che frena i mercati (quello televisivo su tutti) e che ha visto l’ultimo keynote di Microsoft qui, nel deserto del Nevada.

Così, mentre tra gli stand si continuano a stringere mani e a preparare accordi, è il momento di tirare le somme di quello che ha significato questo Ces per il grande pubblico. In ordine alfabetico.

A come Auto intelligenti. E’ una delle grandi scommesse del mercato dell’elettronica di consumo: dotare le auto di sistemi di connettività e di elaborazione sempre più potenti, guidati dalla voce, che sostituiscano i navigatori e svolgano anche funzioni di sicurezza per la guida. Oltre alla possibilità, solo per chi non è al volante ovviamente, di guardare un film in streaming o connettersi al web.

B come Ballmer. Steve Ballmer, amministrato delegato di Microsoft, è stato uno dei protagonisti del Ces 2012. Il suo è stato il keynote di apertura, ma è anche l’ultima volta dopo 15 anni che l’azienda di Redmond assumerà questo ruolo. Il che da molti è stato visto come un segno del possibile declino della kermesse. Leggi anche M come Microsoft.

C come Connessi. Per fortuna ci siamo sbarazzati dei cavi, altrimenti vivere sarebbe stato complicatissimo. Tutti gli apparecchi di casa, dal computer fisso al telefonino, al tablet, alla tv, fino all’auto formeranno una sola grande ragnatela. Saranno accessibili ed attivabili dagli altri, sfruttando a pieno la potenza di ognuno di essi. Ad esempio: il tablet (più maneggevole) si connetterà al pc fisso (più potente) e entrambi utilizzeranno la tv (più piacevole) come schermo. Il tutto senza perdita di qualità o rallentamenti.

D come Domotica. La C di casa era già occupata, ma il concetto rimane lo stesso. La tecnologia per rendere le abitazioni sempre più intelligenti e a risparmio energetico stanno prendendo piede. Al Ces si sono visti termostati intelligenti, comandi remoti attraverso lo smartphone ma anche sistemi di ottimizzazione del consumo dell’energia elettrica. Il tutto con prezzi non eccessivi, ma sempre nell’ordine del migliaio di euro per trasformare un'appartamento in una smart home.

E come Ecosostenibilità. Case sempre più ecologiche sono il sogno dei consumatori responsabili ma anche delle aziende, che vedono nella rivoluzione ecosostenibile un mercato dove investire con importanti ritorni economici. Molti progetti rimangono ancora di difficile applicazione, ma la direzione è chiara e - per fortuna del pianeta - inevitabile.

F come Futuro. Vedi alla voce R come rivoluzioni.

G come Gestualità. La possilità di controllare con i gesti la televisione, il portatile o la console dei giochi diventerà sempre più comune. Il Kinect della Xbox è stato il precursore, ma molti prototipi anche a basso costo si stanno per affacciare sul mercato.

H come HD. L’alta definizione è il passato: il formato full HD (ovvero 1080p) è ormai superato e sono stati mostrati al Ces televisori con qualità quattro volte maggiori (4K) e ci sono prototipi fino a 8K. Ovviamente, sono stati presentati anche lettori dvd e registratori hdd che supportano questo formato. Ma venderanno? (vedi anche P come Più)

I come Ibridi. Si aprono continuamente nuovi settori di mercato, con prodotti in grado si soddisfare più necessità allo stesso tempo. Come i phablet, ovvero a metà tra telefonino (phone) e tablet. Una tendenza che può generare un po’ di confusione nell’utente medio ma che difficilmente nei prossimi anni cambierà. Per saperne di più, leggi La sfida degli ibridi 1

L come Linea. Nel senso di forma, di struttura e di conseguenza eleganza, stile e attenzione ai particolari. Anche se la Apple non è presente al Ces, è stata lei a dettare il passo agli altri produttori che sono costretti alla ricerca di un prodotto anche bello. Gli ultrabook ne sono un esempio, ma la cura dell'aspetto dei prodotti e dei marchi è diventato un dogma per tutta l'industria dell'elettronica di consumo.

M come Microsoft. L’azienda di Redmond è stata grande protagonista sia per il suo addio al Ces (dal prossimo anno non terrà il keynote d’apertura dell’evento) sia per le novità presentate. Sorvolando su Xbox e Windows Phone, il ceo Steve Ballmer ha per la prima volta mostrato le funzionalità di Windows 8, sistema operativo per i tablet e i portatili pensato anche per un’utenza professionale. Qualcuno paragona l’importanza di W8 alla rivoluzione che ebbe Windows 95. Per saperne di più, leggi L’ultima volta di Microsoft a Las Vegas 2

N come Nuvola. E’ un mondo molto frammentato, quello del cloud. Ogni grande azienda cerca di imporre il proprio modello per la conservazione dei dati in remoto e non sui singoli pc degli utenti, la condivisione dei documenti tra apparecchi diversi e lo streaming audio/video. E così l’utente si trova ad affrontare un mercato in cui difficilmente riuscirà con un solo servizio a soddisfare tutte le proprie necessità.

O come Oled. Sigla che sta per 'diodo organico ad emissione di luce' ed è una delle tecnologie all’avanguardia nella produzione di televisori di alta fascia. Producendo luce propria, non hanno bisogno di un elemento esterno di illuminazione e questo permette di produrre televisioni sempre più sottili e leggeri. Ma i costi sono ancora proibitivi per apparecchi di grandi dimensioni, mentre su dispositivi più piccoli sono già utilizzati e diffusi.

P come Più. Ne abbiamo già parlato 3, ma le attese sono state confermate in pieno. Portatili sempre più sottili (vedi la voce ultrabook), tablet più potenti, televisori più grandi e di qualità sempre maggiore. Il problema è che a volte la tecnologia corre più di quanto siano in grado di assorbire i mercati. Ad esempio, il 2011 per i produttori di tv è stato un anno nero. E la mancanza di un prodotto completamente nuovo potrebbe far sì che i consumatori non siano così invogliati a cambiare.

Q come 4.0. Ovvero l’ultima versione di Android (Ice cream sandwich), la nuova versione del sistema operativo di Google funzionante sia sugli smarphone che sui tablet. Sono in arrivo sul mercato i primi prodotti che ne sono provvisti e potrebbe essere il lancio definitivo per la piattaforma di Mountain View. I programmatori infatti non dovranno fare più due versioni diverse delle app ma potranno contare su un unico ecosistema. Sfidando sempre di più il dominio di Apple.

R come Rivoluzioni. Al plurale, perché al Consumer electronic show non sono stati presentati prodotti di svolta, novità inaspettate che cambieranno in maniera sensibile il mercato dell’elettronica di consumo. Ma si sono visti prototipi interessanti, che un po’ per volta potrebbero cambiare la vita di tutti i giorni. Per saperne di più, leggi Piccole rivoluzioni per tutti 4

S come Smart tv. Continueremo a chiamarli televisori, ma ormai sono molto di più: le smart tv sono dei computer a tutti gli effetti, in grado di connettersi a internet, fare streaming, navigare, dialogare alla pari con smartphone, tablet e pc desktop. Manca però uno standard, le applicazioni sono poche e i costi alti. Inoltre in Italia mancherebbero gli accordi per la trasmissione dei prodotti. Insomma, ci vorrà ancora qualche anno perché diventino comuni.
(o come Smartphone: alcuni cellulari di nuova generazione sono stati presentati qui a Las Vegas - come il Lumia 5 targato Nokia/Microsoft - ma per stessa ammissione dei produttori le migliori cartucce su questo fronte le vedremo a fine febbraio al Mobile world congress di Barcellona)

T come Tridimensionalità. L’altro grande trend nel mondo della televisione, che quest’anno ha raggiunto impressionanti vette di qualità, è quello del 3D, con o senza occhiali. Tutti i grandi hanno presentato modelli di enormi dimensioni, fino a 80 pollici, con effetto mozzafiato. La tecnologia senza occhiali sta migliorando tanto da diventare competitiva, mentre i prezzi sono ancora proibitivi.
(o come Tablet, ma nel mondo delle tavolette non si sono viste grosse novità, se non quelle di cui parliamo alla lettera I di Ibridi).

U come Ultrabook. Gli ultrabook sono dei portatili sempre più sottili e sempre più leggeri, ma con l'obiettivo di comprometterne le performance. E’ un marchio registrato da Intel. Anche altre case produttrici hanno messo in campo dispositivi che di fatto sono ultrabook, ma non possono essere chiamati così. Ne stanno arrivando nei negozi molti, tutti con una fascia di prezzo medio-alta. Ma la qualità è ottima. Per saperne di più, leggi La sfida degli ibridi 6

V come Voce. In parallelo allo sviluppo dei controlli gestuali (vedi alla G), sempre più fiducia è riposta nei comandi vocali. Anche qui Microsoft con Xbox 7 ha fatto vedere cose interessanti, ma anche Intel ha mostrato dei prototipi in questo senso e il mondo dell’automobile, proprio per la necessità di lasciare libere le mani, spinge in questo senso. E’ solo questione di tempo perché diventino uno standard.

Z come Zaini. Ma anche borse, tracolle, custodie per tablet, smartphone o portatili: i produttori di tutto il mondo si sono dati appuntamento qui a Las Vegas dando sfogo all'inventiva in termini di fantasie e colori. Perché va bene la tecnologia, ma anche la moda e l'occhio vogliono la loro parte.

(13 gennaio 2012)

lunedì 16 gennaio 2012

hahahahahah

“Aritmia cardiaca” per Mills, udienza saltata
Prescrizione più vicina per Berlusconi 

L'avvocato afferma di aver avuto problemi di salute dopo l'interrogatorio del pm De Pasquale al processo per corruzione in atti giudiziari contro l'ex presidente del consiglio. La corte dispone una visita medica entro il 20 gennaio. I termini per arrivare a sentenza scadono a metà febbraio
L’avvocato inglese David Mills non si è presentato in aula al Tribunale di Milano, dove avrebbe dovuto essere completare la sua testimonianza nel processo per corruzione in atti giudiziari contro Silvio Berlusconi, che corre verso il limite della prescrizione. Secondo quanto comunicato in una lettera affidata ai suoi legali, Mills avrebbe accusato “un’aritmia cardiaca” durante “l’interrogatorio del 22 dicembre scorso (data della testimonianza per rogatoria di fronte al pm Fabio De Pasquale, ndr)“. L’episodio di aritmia “si è protratto anche per alcune ore dopo”. Il difensore inglese ha aggiunto che “questo pomeriggio Mills si presenterà in ospedale, dove verrà effettuato un esame, poi tornerà a casa e i medici dovranno decidere se ricoverarlo o meno”.

Dopo altre questioni procedurali che hanno ritardato nei mesi scorsi l’inizio della deposizione del testimone chiave – che è già stato condannato per aver ricevuto da Berlusconi 600 mila dollari per edulcorare le sue deposizioni alcuni processi – il processo rischia di non arrivare a sentenza prima della prescrizione, che scatterà a metà febbraio. La testimonianza di Mills è stata rimandata al 20 gennaio, data entro la quale il collegio presieduto da Francesca Vitale ha disposto “una procedura di controllo medico sul testimone”. I giudici milanesi hanno chiesto alla corte inglese di valutare, nel caso, l’accompagnamento coattivo di David Mills qualora venisse accertato che le sue condizioni di salute non sono tali da impedirgli la testimonianza.

“Prima di espormi a qualsiasi evento che può causare stress e conseguente attacco cardiaco”, scrive ancora Mills nella lettera, “il medico mi ha consigliato di sottopormi ad accertamenti. Desidero sottolineare comunque la mia assoluta volontà a testimoniare, perché tale testimonianze può alleviare la posizione di Silvio Berlusconi e la mia”.
 
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La Dakar parla francese
Trionfo Desprès e Peterhansel

LIMA (Perù), 15 gennaio 2012

Il primo, su Ktm, ha controllato fra le moto lo spagnolo Coma, per il secondo, su Mini, è il decimo successo nel raid: 6 fra le moto e 4 fra le auto. Fra i camion vittoria dell'olandese Gerard De Rooy, fra i quod l'argentino Alejandro Patronelli


Stephane Peterhansel, a destra, e il compagno Jean Paul Cottret festeggiano il successo fra le auto a Lima. Ap
Trionfo francese nella 33ª edizione della Dakar: oggi a Lima è stato messo il sigillo finale sui successi di Cyril Desprès su Ktm fra le moto e di Stephane Peterhansel fra le auto. Dopo la penultima tappa, che aveva portato la carovana a Pisco, Desprès aveva preso in pugno la classifica delle moto, approfittando del crac alle marce dello spagnolo Coma, anche lui su Ktm, svalcandolo in classifica sul più bello. Fre le auto le cose erano state decise col successo di tappa di Peterhansel, già leader, conquistando così la pratica certezza della sua decima vittoria nel rally più spettacolare.
Cyril Desprès e la sua Ktm. Afp
Cyril Desprès e la sua Ktm. Afp
CONTROLLO — Il francese Cyril Desprès sulla sua Ktm ha controllato la situazione dell'ultima tappa, di soli 29 Km, vinta dal norvegese Pal Anders Ullevalseter che con il tempo di 22'26" ha preceduto lo sfortunato spagnolo Marc Coma, staccato di 1'8" e lo slovacco Stefan Svitko a 1'43". Ma nella classifica generale Desprès ha chiuso davanti a Coma (che aveva vinto l'ultima edizione dell raid), con 56'03" di vantaggio. Fra le auto invece il vantaggio della Mini di Peterhansel e del suo compagno Jean Paul Cottret è stato alla fine di 42'57" su Joan Roma (Mini). L'ultima tappa è andata a Robby Gordon (Hummer) che ha preceduto di 22 secondi il portoghese Ricardo Leal Dos Santos e di 38' il polacco Krzysztof Holowczyc. Fra i camion la vittoria è andata all'olandese Gerard De Rooy su Iveco (vittoria di Miki Biason nell'ultima prova speciale), mentre nei quod ha avuto la meglio l'argentino Alejandro Patronelli.
Gasport© RIPRODUZIONE RISERVATA
 
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Articolo 18, lo strappo di Catricalà
A rischio il tavolo sul lavoro 

Il ministro Fornero chiede conto al sottosegretario rispetto all'inserimento nelle bozze sulle liberalizzazioni di una norma che riguarda l'articolo 18. Il segretario della Cgil sa che la Fornero non c'entra e rilancia: "Vogliamo fare l'accordo"
Il giorno dopo non si registrano dichiarazioni di guerra, ma l’atmosfera è cambiata. Ieri mattina il ministro del Welfare Elsa Fornero ha chiamato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Antonio Catricalà e gli ha chiesto conto di quella norma sull’articolo 18 inserita a sorpresa nella bozza del decreto liberalizzazioni. Come anticipato ieri dal Fatto, nel testo provvisorio che circola in questi giorni c’è un incentivo alle imprese ad aggregarsi: se due o più aziende con meno di 15 dipendenti si fondono e assommano meno di 50 lavoratori complessivi, in caso di licenziamenti senza giusta causa continua a non scattare l’obbligo di reintegro (che secondo l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori del 1970 è previsto solo oltre i 15 dipendenti). La linea di Catricalà è difensiva: il testo che circola non è quello definitivo, quindi non c’è molto da commentare. Ma tutti sanno, dalla Fornero ai sindacati, che le bozze non sono scritte da qualche consulente esterno, arrivano dagli uffici e spesso vengono fatte circolare in anticipo proprio per misurare le reazioni dell’opinione pubblica e calibrare meglio il testo definitivo.

È davvero singolare trovare un intervento sull’articolo 18 nella bozza di un decreto sulle liberalizzazioni”, commenta Raffaele Bonanni della Cisl. Ma è sull’asse Pd-Cgil che la sorpresa e il fastidio sono maggiori. Il segretario del Partito democratico Pier Luigi Bersani sceglie una linea pilatesca: “Non ragiono su bozze”. Ma Stefano Fassina, esponente della sinistra del partito e considerato in sintonia con il leader, boccia non solo l’inserimento della riforma dell’articolo 18 nel decreto, ma anche la premessa economica che ne è alla base: “È sbagliato tentare di incentivare le aggregazioni tra imprese attraverso l’innalzamento della soglia di applicazione dell’art 18”. Intanto il vicepresidente di Confindustria, Alberto Bombassei, prende la palla al balzo e parte all’attacco: “È il momento di eliminare un’anomalia come l’articolo 18”.

Susanna Camusso si prende un po ’ di tempo per capire meglio le intenzioni del governo, impegnata in un delicato confronto con la Fiom sul caso Fiat. All’inizio del direttivo di ieri il segretario ha dichiarato: “Siamo seriamente interessati a provare a fare un accordo sindacale con il governo”. Non una parola sull’articolo 18. Un silenzio che si spiega in due modi: la Camusso sa che iniziare a parlare di articolo 18 significa compromettere tutto il dialogo con il governo e sa anche che il ministro Elsa Fornero è rimasta tanto sorpresa quanto lei nel leggere i giornali di ieri. Negli incontri bilaterali dei giorni scorsi l’ipotesi non è mai comparsa. Certo, la sinistra della Cgil con Giorgio Cremaschi e altri chiede di non trattare più con un governo che da un lato (Fornero) esclude interventi sull’articolo 18 e dall’altro (Palazzo Chigi) li prevede per decreto. Ma per ora si può attribuire tutta la colpa a Catricalà e il dialogo Fornero-Camusso-Marcegaglia (che pure qualcosa sapeva della bozza) può reggere.

Discorso diverso per gli equilibri dentro il governo. Al ministero del Welfare la Fornero ha dovuto registrare quantomeno una mancanza di comunicazione con Catricalà. E anche questo episodio alimenta la crescente confusione che da alcuni giorni sembra permeare la squadra dei tecnici di governo: prima gli scandali delle vacanze di Carlo Malinconico (il sottosegretario si è dimesso), poi la casa Inps comprata con lo sconto dal ministro Filippo Patroni Griffi (operazione legittima, ripete lui che però ammette di aver pensato di lasciare). Tutti i giornali, anche quelli più filogovernativi, all’improvviso hanno scoperto che ci sono conflitti di interesse e nomine discutibili anche in questo governo (dall’ex banchiere Mario Ciaccia alle Infrastrutture, a Corrado Passera ex azionista con Intesa di Ntv che vigila sui treni). E ora il caso Catricalà che, da solo, rischia di far saltare il dialogo sulla riforma del mercato del lavoro.

La vicenda della bozza ha altri risvolti destabilizzanti. Primo: Catricalà risponde direttamente a Monti il quale all’inizio del suo mandato aveva detto che non c’era più tempo per “certe ritualità del passato”, intendendo la concertazione con i sindacati. Poi ha cambiato idea ma, evidentemente, qualche ruvidezza è rimasta. Secondo punto: Catricalà, dopo la caduta di Malinconico, resta l’ultimo pilastro del sistema Letta (Gianni) nel governo. Se un infortunio, per ora solo formale, dovesse mettere in dubbio la sua permanenza a Palazzo Chigi, gli equilibri alla base del governo Monti potrebbero vacillare parecchio.

da Il Fatto Quotidiano del 13 gennaio 2012

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Murdoch attacca Obama su Twitter
"Va coi pirati della Silicon Valley"

La Casa Bianca fa sapere che non sosterrà il Sopa (Stop Online Piracy Act), la legge antipirateria online in discussione al Congresso. E il magnate attacca con un tweet, dedicando messaggi al vetriolo anche a Google. "Ho appena cercato Mission Impossible. Wow, quanti siti offrono i link gratuiti! Ok, resto della mia opinione"

WASHINGTON - "È così, Obama ha attirato nel suo campo i padroni della Silicon Valley che minacciano tutti i creatori di software con la pirateria, un furto puro e semplice". Questo il tweet con cui, dal suo profilo, il magnate mondiale dei media Rupert Murdoch ha attaccato frontalmente il presidente degli Stati Uniti, reo agli occhi del tycoon australiano di opporsi con la sua amministrazione al varo di una legge che funzioni contro la pirateria online.

Il sasso lanciato da Murdoch nello stagno del più potente e diffuso social network di messaggeria instantanea fa riferimento a un comunicato diffuso sabato scorso 1 in cui la Casa Bianca ha fatto sapere che non sosterrà il Sopa 2 (Stop Online Piracy Act), la legge in discussione al Congresso. "Sebbene riteniamo che la pirateria online da parte di siti stranieri sia una problema grave - aveva spiegato l'amministrazione -, che necessiti di una serie risposta legislativa, non sosterremo leggi che riducono la libertà di espressione, aumentano il rischio in materia di cyber-sicurezza o minano il dinamismo e l'innovazione di internet a livello mondiale".

Il Sopa 3 è al momento in discussione alla Camera dei Rappresentanti, mentreal Senato è allo studio un'altra versione, il "Protect Ip Act". Entrambe le proposte hanno ottenuto il sostegno di Hollywood, dell'industria discografica e della camera di commercio americana. Ma il mese scorso i fondatori di Google, Twitter, Yahoo! e di altri colossi di internet hanno espresso riserve sui due testi, dichiarando in una lettera aperta che "concederebbero al governo Usa il potere di censurare internet con procedure simili a quelle usate da Cina, Malesia e Iran".

Il dilemma, non nuovo nella storia americana, è tutto nel conflitto tra la libertà di espressione garantita dal primo emendamento e la tutela del business. L'America, il grande paese delle opportunità, del libero fluire delle idee, delle intuizioni, dei colpi di genio al servizio dell'imprenditoria, non può riconoscere la logica della censura, perché sarebbe contro il suo dna. Ma Murdoch è decisamente più pragmatico. E nei suoi tweet prende di mira anche il più potente di quei "paymasters" della Silicon Valley a cui anche Obama si sarebbe inchinato: Google.

"Il leader della pirateria online è Google, che offre in streaming gratuito i film e intorno ad essi vende gli spazi pubblicitari. Non c'è da meravigliarsi se poi investe milioni per fare lobby", scrive Murdoch in un altro tweet. E ancora: "Google è una grande compagnia, che offre tante cose eccitanti. Solo una lamentela, ma è importante". Per chiudere, Murdoch rende partecipi gli utenti di Twitter di una sua esperienza col motore di ricerca più usato del mondo. "Ho appena cercato Mission Impossible. Wow, quanti siti offrono i link gratuiti! Ok, resto della mia opinione".

L'affondo su Twitter attira contro Murdoch le ire, e gli improperi, di diversi utenti. Tra le repliche, si distingue quella di Rob Braddock: "Lei si rende conto - scrive rivolgendosi a Murdoch - che se passa, il Sopa ucciderà anche Twitter? Lei sta sbagliando ancora dopo aver sbagliato con MySpace (che Murdoch acquistò nel 2005 per 580 milioni di dollari, per poi rivenderlo lo scorso anno al network Specific Media per soli 35 milioni)". Nei suoi tweet, Murdoch scrive di Obama usando un acronimo sbagliato, "Optus", poi corretto in "Potus" (President Of The United States). Errore di cui il magnate incolpa il suo iPad. Non si perde l'occasione Wordsmithworker: "Lei accusa Potus di essere al soldo della Silicon Valley e accusa iPad per l'errore di digitazione? Ma guarda l'ironia...".
(16 gennaio 2012)
 

domenica 15 gennaio 2012

hahahahahahah

Buste biodegradabili flop
solo un negozio su 10 le usa

Secondo una ricerca Ispo il 90 per cento dei commercianti è d'accordo con la legge sui "bioshopper" approvata 12 mesi fa ma quasi nessuno la applica. Polemica sulla velocità in cui si degradano i contenitori utilizzati di ANTONIO CIANCIULLO

LA LEGGE sui bio shopper, partorita dopo molti rinvii, il primo gennaio scorso ha compiuto un anno. Ma i nuovi sacchetti sono veramente ecologici? In realtà solo un negoziante su 10 supera l'esame "compost", cioè utilizza buste biodegradabili in tempi brevi. Tre su 10 usano i prodotti sbagliati. E 6 su 10 materiali su cui non hanno certezze.

La notizia viene da una ricerca Ispo che fotografa il comportamento dei commercianti. Il primo dato confortante è che sapevano: il 97% era a conoscenza della norma entrata in vigore il primo gennaio 2011. Il secondo dato positivo è che 9 su 10 considerano la nuova legge "un passo avanti nel rispetto dell'ambiente". Ma qui si fermano le buone notizie e si entra nell'area critica.

Tanto per cominciare un commerciante su tre se ne infischia della legge e continua imperterrito a smerciare i vecchi sacchetti di plastica di cui troviamo traccia nei boschi, sui prati, sulle spiagge e nei fiumi. E solo 1 su 10 ha sul banco gli shopper che effettivamente non causano problemi ambientali.

Un risultato decisamente poco brillante che spiega l'intensità delle polemiche che nelle ultime settimane hanno alimentato il dibattito parlamentare. Il Pd (con i capigruppo in commissione ambiente Roberto Della Seta e Raffaella Mariani e il responsabile cambiamenti climatici Francesco Ferrante) ha presentato emendamenti al decreto Milleproroghe per reintrodurre la norma sui parametri di dissolvenza degli shopper che era misteriosamente scomparsa dal testo dopo l'annuncio del governo. "Aggirare la legge con false plastiche verdi è un disastro", ricorda David Newman, direttore del Consorzio italiano compostatori. "Ci sono Comuni che stanno sbagliando gli acquisti: distribuiscono sacchetti per la raccolta dell'umido che non si degradano nei tempi giusti. Questo errore ci costa già oggi 20 milioni di euro l'anno in danni agli impianti di compostaggio che restano intasati dalla plastica".

"Noi chiediamo una cosa molto semplice: attenerci alla normativa europea", aggiunge Marco Versari, presidente di Assobioplastiche. "Le bioplastiche devono sostanzialmente avere gli standard della cellulosa che si dissolve nell'ambiente, in determinate condizioni,  in 180 giorni. Non è un obiettivo impossibile. Lo provano le aziende, da Novamont a Mossi & Ghisolfi, che offrono prodotti certificati e che nei prossimi 5 anni investiranno in Italia 700 milioni di euro per sviluppare la chimica verde".

In sostanza il punto è che il concetto di degradabilità, privo di parametri, non ha significato: tutto prima o poi si degrada. Ma un conto è che il processo avvenga in qualche settimana, un conto è dover aspettare secoli. Un conto è avere a che fare con un prodotto che viene dai campi, un conto è usare una plastica che frammentandosi diventa meno visibile ma resta insidiosa.

"Noi proponiamo un cambio di prospettiva", precisa il ministro dell'Ambiente Corrado Clini. "Con la chimica verde, che tra l'altro vede un ruolo importante delle industrie italiane, si passa dalla filiera dei combustibili fossili a quella dei prodotti organici. Si usa mais invece di petrolio. Il che vuol dire che non soltanto si difende il paesaggio dall'invasione dei frammenti di plastica, ma si dà un contributo alla riduzione dell'uso dei fossili che, quando vengono bruciati, rappresentano la principale minaccia per la stabilità del clima". (12 gennaio 2012)
 
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Alonso: "Tutto per vincere"
Massa: "Favoriti? Beh, io"

MADONNA DI CAMPIGLIO (Trento), 12 gennaio 2012

A Campiglio prime battute dei ferraristi. Lo spagnolo: "La nuova auto? Solo dalla terza gara capiremo il potenziale ma la squadra è completa per fare bene". Il brasiliano in scadenza: "Con la macchina adatta alla mia guida posso essere anche più veloce di Fernando"


Massa e Alonso, un 2012 carico di attese. Ansa
Massa e Alonso, un 2012 carico di attese. Ansa
Irrequieto o agitato, perché accusa la stampa di aver violato la sua privacy: "È stato scritto che ero in discoteca a Madrid il giorno del GP del Giappone o che ero a Oviedo a Natale quando invece stavo a Los Angeles, quella californianiana, non quella vicino Segovia...". In ogni caso Fernando Alonso ha parlato della prossima avventura Ferrari mostrando un volto duro e scostante: risposte secche, evasive. Ammesso che avesse voglia di rispondere... "Vincere - ha esordito - non è un obbligo. Lo sport è sacrificio, impegno della squadra passione. Ma poi i risultati dipendono da tante altre cose e quindi, nessun obbligo a vincere".
Macchina — Non dà certezze per la stagione che va ad iniziare, lo spagnolo. "Ho visto la macchina in galleria del vento e al computer. Ma lì ci sono solo numeri e linee. Dovremo capire in pista quello che può essere. So che per voi ogni test sarà come una gara da cui trarre dei verdetti, invece noi cominceremo a capire il reale potenziale della nostra macchina solo dalla seconda-terza gara. Però sulla carta mi sembra che adesso la squadra abbia tutto per far bene e l'ingresso di Hamashima, un tecnico molto valido per le gomme possa essere un passo in avanti".
Gazzetta TV
 
Auguri — Impossibile sapere cosa potrà essere il prossimo campionato ("Non ho la palla di vetro e non so con chi mi vorrei giocare il Mondiale, magari con Felipe: metá gare le vince lui, metà io")' però ha una certezza. "Il miglior pilota del mondo è Kubica e voglio fargli i miei auguri per il nuovo infortunio. Lui accanto a me in Ferrari? Io sto bene con Felipe". Per Fernando, comunque, la vittoria non è un'ossessione. "Non so cosa significhi vincere il titolo con la Ferrari, ma ho conquistato delle gare e so che sono delle sensazioni bellissime, quindi credo che sarebbero ancora più grandi. Credo di avere ancora tanti anni davanti, ma se non dovessi vincere un Mondiale con la Ferrari sarei comunque contento della mia carriera".
Gazzetta TV
 
Verifica — Per Felipe Massa, invece gli esami non finiscono mai. "So che questo è un anno importante perché devo tornare competitivo come lo ero in passato. Io sono il primo a voler fare di più. So che posso essere vincente". L'arma, ovviamente deve essere una Ferrari capace di crescere. "Abbiamo un'organizzazione perfetta in grado di fare una macchina vincente fin dalla prima gara. Il mio problema specifico di mandare in temperatura le gomme, a causa di una guida meno aggressiva, è lo stesso di Fernando, anche se più accentuato. Quindi so che la nuova macchina andrà in quella direzione. E se questo succederà mi sento in grado di andare veloce come Fernando e anche di batterlo". All'orizzonte c'è però il contratto in scadenza. "Ovviamente in questo caso la prima metá del campionato diventa la più importante per il mio futuro. Perché se vuoi andare in una squadra competitiva devi fare programmi. Andare via? Se non ci sono le condizioni diventa una possibilità, ma se pilota e squadra stanno bene insieme e se la macchina è vincente non ne vedo il motivo".
dal nostro inviato
Filippo Falsaperla© RIPRODUZIONE RISERVATA
 
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Agenda digitale, il governo va
"Così sosterremo lo sviluppo"

Delle strategie parla il ministro dell'Istruzione Profumo: priorità a sanità digitale, smart city, scuola e servizi di e-government, open data, ma anche banda larga. E arrivano anche le proposte di Agcom all'esecutivo di ALESSANDRO LONGO

IL NUOVO governo comincia a lavorare per realizzare l'agenda digitale italiana e ora ne svela l'ossatura: cioè tutto quello che intende fare per sostenere lo sviluppo dell'innovazione nel Paese, come voluto dalla Unione Europea. E' un tema tanto importante per la crescita economica, quanto trascurato dal governo Berlusconi. Lo stallo di iniziative istituzionali si è sbloccato proprio in questi giorni. Francesco Profumo - ministro dell'Istruzione-  ha preso in mano "i progetti strategici di innovazione tecnologica del sistema Paese", come ha riferito qualche giorno fa  in Commissione Affari Costituzionali della Camera il ministro della Funzione Pubblica e Semplificazione, Filippo Patrini Griffi. Ieri Profumo ha confermato la svolta: "Stiamo definendo le priorità sul versante dei servizi. Il nostro impegno sarà dirottato verso settori come la sanità, la mobilità, l'ambiente, il turismo e la cultura, oltre ovviamente alla scuola".

Nel contempo Agcom (Autorità garante delle comunicazioni) ha inviato al governo le prime proposte per un'agenda digitale, in un documento in cui si ricorda che l'Italia non ha ancora una, a differenza degli altri Paesi europei. Già, una bella lacuna. È un problema che gli esperti già sollevavano l'anno scorso e adesso esplode, in un clima in cui diventa necessario lavorare alla crescita economica dell'Italia. Tutti gli studi del settore confermano un rapporto causa-effetto tra l'innovazione (uso e diffusione della banda larga), da una parte, e la crescita del prodotto interno lordo e l'occupazione, dall'altra (è nero su bianco nei rapporti della Commissione europea, dell'Ocse, dell'osservatorio McKinsey e della Banca Mondiale).

L'idea è che le notizie di questi giorni preludono all'arrivo di un'agenda digitale compiuta, un piano serrato di investimenti con fondi pubblici nell'innovazione. "Si è formato un gruppo di lavoro, tra il ministero allo Sviluppo economico e quello all'Istruzione. Il primo si occuperà delle infrastrutture e l'altro dei nuovi servizi, per l'Italia digitale", dice a Repubblica.it Roberto Sambuco, capodipartimento alle Comunicazioni presso lo Sviluppo Economico. "L'ossatura dell'agenda digitale che verrà la si può vedere nel piano EuroSud, ora in consultazione pubblica", aggiunge. È un piano destinato alle regioni meridionali; tra le altre cose assegna 600 milioni di euro allo sviluppo dei temi dell'agenda digitale: banda larga, banda larghissima (fibra ottica e mobile con l'Lte) e la costruzione di datacenter per consentire alla pubblica amministrazione di lavorare in cloud computing (uso e fornitura di servizi via internet). Anche se sulla carta riguarda solo il Sud (perché i fondi, europei, sono destinati a queste regioni), ora si scopre che in realtà farà da falsa riga per l'agenda nazionale, che richiederà ovviamente altre risorse, da stanziare. Sul sito del ministero si chiama infatti già "Progetto Strategico Agenda Digitale Italiana".

Tra le prime cose di cui si occuperà un'agenda nazionale c'è l'istruzione, come si vede dagli annunci di Profumo, che sta aumentando la quantità di informazioni disponibili online sulle scuole di tutti gli ordini 1. L'obiettivo è l'open data: il principio - che si sta facendo strada in Europa- secondo cui le pubbliche amministrazioni devono essere totalmente trasparenti nei confronti del cittadino. Profumo intende sviluppare anche l'idea delle smart city, definita una "collezione di problemi di scala urbana e metropolitana da affrontare e di idee per risolverli. Un insieme di tecnologie, applicazioni, modelli di inclusione, regole di relazione tra sistema pubblico e privato, nuova strumentazione finanziaria, innovazione nella pubblica amministrazione".

Che cosa manca? Una piano per la banda larghissima su scala nazionale. La sfida sarà trovare i fondi e mettere d'accordo i vari soggetti in gioco (il precedente ministro allo Sviluppo Economico ci ha tentato invano). Ma anche occorre sostenere la domanda, cioè migliorare il livello di conoscenze informatiche della popolazione e incentivare le imprese a usare internet. È un punto centrale all'interno delle proposte di Agcom 2, che suggerisce incentivi fiscali, corsi agli anziani, programmi ad hoc in Rai, tra le altre cose.
(13 gennaio 2012)

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"Arriva una Ducati tutta nuova
Fatto un lavoro di 2 anni in mesi"

MADONNA DI CAMPIGLIO (Trento), 11 gennaio 2012

Il d.t. della rossa, Filippo Preziosi: "Rispetto alla moto di Valencia visivamente non cambia molto, ma in mezzo sarà tutto differente: le fusioni del motore, il serbatoio... L'angolo dei cilindri? I giapponesi non lo dicono, quindi non lo faccio nemmeno io"


Nicky Hayden e la Ducati a Madonna di Campiglio. Lapresse
Tra speranze e qualche mistero la presentazione della Ducati GP12. Un modo di dire, visto che la nuova moto in queste ore viene montata a Borgo Panigale, prima della spedizione a Sepang, in Malesia, per i test dal 31 gennaio. Il direttore tecnico della rossa Filippo Preziosi, non ha dato molti dettagli rimandandoli alla prima uscita con Valentino Rossi e Nicky Hayden, che sarà un confronto con la 1000 che ha esordito nelle prove successive alla fine del campionato a Valencia.

"Arriva una Ducati tutta nuovaFatto un lavoro di 2 anni in mesi"
Mettendo di fronte la vecchia con la nuova moto non ci sarà tanta differenza visivamente, ma in mezzo cambia tutto
tante novità — "Quello che abbiamo cercato - ha detto l'ingegnere umbro - è un punto di partenza per la messa a punto che è venuta fuori durante la passata stagione, che è servita soprattutto per raccogliere dati. L'obiettivo è essere più "centrati" sulle richieste dei piloti". Come detto non sono stati dati molti dettagli. "Mettendo vicino le moto di Valencia e la nuova visivamente non ci sarà grande differenza. Identico sarà tutto l'avantreno, con forcelle e altri componenti, così come il forcellone, sempre in carbonio con leveraggio basso. Ma in mezzo tutto sarà differente. Il telaio è perimetrale in alluminio, le fusioni del motore diverse per i differenti attacchi, il serbatoio. L'angolo dei cilindri? I giapponesi non lo dicono, quindi non lo faccio nemmeno io", ma la soluzione diversa del serbatoio fa propendere per una diminuzione dai 90° originari. Gli obiettivi sono prudenti, ma con ottimismo. "Per fare una moto nuova di solito servono 2 anni, noi abbiamo impiegato mesi. Sappiamo che abbiamo lavorato tanto e crediamo bene, anche se non sappiamo cosa abbia fatto la concorrenza. La sfida è di quelle impossibili, ma la Ducati queste sfide qualche volta le ha vinte". Da martedì per 3 giorni, la Ducati andrà in pista a Jerez, in Spagna, per un ultimo test prima del via della stagione, ma con il collaudatore Franco Battaini e il campione della Superbike, Carlos Checa.
dal nostro inviato
Filippo Falsaperla© RIPRODUZIONE RISERVATA