martedì 3 gennaio 2012

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Dakar, inizio tragico
Muore un motociclista

MAR DEL PLATA, 1 gennaio 2012

È partita stamattina da Mar del Plata la 33/a edizione della corsa che per la quarta volta si disputa in America Latina: un concorrente argentino, il 38enne Boero, ha però subito perso la vita

Jorge Martinez Boero, morto a 38 anni alla Dakar. Ap
Jorge Martinez Boero, morto a 38 anni alla Dakar. Ap
È partita all'alba da Mar Del Plata la Dakar 2012, 33/a edizione della corsa che per la quarta volta si tiene in America Latina. E purtroppo nemmeno il tempo di salutare l'inizio della corsa che subito c'è scappato il morto. L'organizzazione ha infatti comunicato che un motociclista argentino ha perso la vita nel corso della prima tappa. Fatali al pilota, Jorge Martinez Boero, 38 anni, le ferite riportate nella caduta durante il tragitto tra Mar del Plata e Santa Rosa de la Pampa.
l'incidente — L'incidente ha causato un forte trauma al torace, con il conseguente immediato trasporto in ospedale in elicottero a Mar del Plata. Alla seconda esperienza nella Dakar - lo scorso anno si era ritirato nel corso della sesta tappa - è morto durante il trasporto in elicottero. L'incidente è avvenuto quando Boero aveva percorso 55 chilometri della prima tappa da Mar del Plata a Santa Rosa de la Pampa. "A causa della caduta, il pilota ha avuto un arresto cardiaco. È stato assistito nel giro di cinque minuti dal personale medico d'emergenza presenti sull'elicottero. Ma i medici non sono riusciti a rianimarlo" si legge in una nota.
sacrifici — Il pilota era figlio del vincitore nel 1982 della categoria locale di automobilismo Turismo Carretera, personaggio noto nell'ambiente locale delle gare d'auto, conosciuto con il nome di El Gaucho. Prima della partenza stamani da Mar del Plata aveva dichiarato che la sua partecipazione al rally aveva tra l'altro il significato di "un omaggio a mio padre". Per Martinez Boero era il secondo rally: per poter partecipare alla gara aveva fatto molti sacrifici economici, hanno ricordato oggi i suoi amici, visto che aveva venduto un appartamento.
Gazzetta TV
 
il percorso — I 443 veicoli partecipanti, tra auto, moto, quad e camion, dovranno affrontare un percorso che dalla costa atlantica argentina li porterà in due settimane a Lima, in Perù, attraverso 8.373 km, di cui 4.406 di prove speciali. L'arrivo è previsto il 15 gennaio a Lima. Per primi sono partiti i quad (30 partecipanti) e le moto (178), mentre auto (161) e camion (70) prenderanno il via più tardi. La prima tappa, di oltre 800 km, ha come traguardo Santa Rosa de la Pampa, nell'ovest dell'Argentina. Una gran folla ha fatto da cornice alla partenza della corsa, con decine di migliaia di appassionati che hanno festeggiato il nuovo anno sulla spiaggia per attendere il via. Fin da venerdì però la località turistica di Mar del Plata è invasa di turisti e il 'Village Dakar', installato nella base navale della Marina dove si sono svolte le verifiche dei veicoli, ha sempre fatto registrare il tutto esaurito.
la prima tappa — La prima tappa delle moto è stata vinta dal cileno dell'Aprilia Francisco Lopez. Nelle auto guida la graduatoria il russo Leonid Novitskiy che precede i compagni di squadra Krzysztof Holowzyc e Stephane Peterhansel, rispettivamente di 5 e 9' secondi.
gasport© RIPRODUZIONE RISERVATA
 
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Lega, con il 2011 si chiude l’era di Bossi
La sopravvivenza del partito passa per Maroni 

Dai ministeri a Monza alla riapertura del Parlamento Padano: negli ultimi dodici mesi le iniziative del Carroccio hanno mostrato tutti i limiti del partito ormai divenuto di governo. E la spaccatura interna si è fatta sempre più profonda, con la base che invoca da mesi la guida di Bobo. Ora il Senatùr è costretto a cedere, per non rischiare di veder sparire il movimento fondato 25 anni fa
“I Padani non perdonano”. Aveva ragione Umberto Bossi: i suoi elettori non sono teneri “con i traditori”. E se nel 1994 il “nemico” era Silvio Berlusconi, adesso la base del Carroccio è in rivolta proprio contro il Senatùr e gli uomini a lui più vicini. Nel 25esimo anno di vita del partito il Capo è costretto a cedere il passo a Roberto Maroni, l’unico che sembra poter garantire alla Lega i voti necessari a salvarsi e non sparire nell’oblio delle macchiette politiche, alla stregua di uno Scilipoti qualsiasi. Dalla vicenda dei ministeri a Monza alla riapertura dell’improbabile parlamento Padano, dalla fuga di notte da Calalzo di Cadore per sfuggire alle proteste degli amministratori veneti leghisti agli insulti insulsi contro Napolitano in dodici mesi i vertici della Lega hanno mostrato il lato peggiore del partito di lotta ormai diventato di governo. E il tentativo di crearsi una nuova verginità, con la scelta di occupare i banchi dell’opposizione nel governo di Mario Monti, sembra essere destinato a fallire. Perché la base leghista (che ancora deve riprendersi dalle immagini di Bossi imboccato da Renata Polverini in piazza a Roma) si sente profondamente tradita e presa in giro, tanto che gli ultimi sondaggi parlano di un crollo verticale delle preferenze al cinque barra otto per cento. Si era già visto alle amministrative di maggio, quando nella roccaforte di Varese il sindaco Attilio Fontana (eletto nel 2006 al primo turno con il 57,8%) è stato costretto al ballottaggio, riconfermato con uno scarto di neanche tremila voti. E se alla base leghista è stato messo il bavaglio, chiudendo agli interventi liberi tanto ai microfoni di Radio Padania che nei forum ufficiali, il fantomatico cerchio magico non è riuscito a bloccare la fronda interna. Guidata da Roberto Maroni. Più per nomina che per volontà.

“Bobo presidente del consiglio”, è l’irriverente striscione che accoglie Bossi sul Sacro prato di Pontida. “Barbari sognanti”, lo slogan che appare alla festa dei popoli a Venezia in onore alle parole del ministro dell’Interno che così aveva definito il popolo leghista. Acclamato dalla base, sostenuto da un esercito sempre più numeroso di amministratori del Carroccio (a cominciare dal sindaco di Verona, Flavio Tosi, che un giorno sì e l’altro pure ha attaccato le scelte del governo Berlusconi fino a prendersi dello “stronzo” da Bossi) Maroni però non si mette alla guida dell’esercito e aspetta che sia il Cavaliere a trascinare il Senatùr a fondo. E così è stato. Del resto la base chiedeva solo una cosa, da anni: lasciare il governo, non sostenere più quello che lo stesso Capo aveva definito il “mafioso di Arcore”.

L’evidenza della rabbia e dello scontro interno si ha in ottobre nella città madre del Carroccio: Varese. Con Bossi che vieta il voto e impone un segretario amico. Ed esplode la rivolta. Molti annunciano di voler lasciare il partito. Ma il Cerchio magico rincara la dose e con il Capo parla di “proteste fasciste”. La crepa diventa ancora più profonda. Lo scontro è ormai frontale. Poche settimane e arriva in Parlamento: il Carroccio deve rinnovare il capogruppo a Montecitorio. Il maroniano Giacomo Stucchi è il favorito, ma è costretto a fare un passo indietro dallo stesso ministro che preferisce ancora una volta rimandare lo scontro. E così viene confermato Marco Reguzzoni, cerchista di ferro. Maroni rassicurò i suoi: la base vuole che stacchiamo la spina al governo Berlusconi, ma l’esecutivo del Cavaliere a ottobre era riuscito a salvarsi dall’ennesima crisi paventata dalle spaccature nel Pdl dopo essere stato battuto alla Camera l’11 in una votazione sul rendiconto generale dello Stato. Insomma: “Meglio aspettare, è questione di settimane”.

Di fatto a inizio novembre si apre una nuova crisi di governo, questa volta definitiva, che costringe “il mafioso di Arcore” a lasciare Palazzo Chigi. Con l’insediamento di Mario Monti e la decisione della Lega di sedersi da sola all’opposizione inizia l’era Maroni. “L’alleanza con il Pdl non c’è più”, dice l’ex ministro. Berlusconi tenta di smentire e per giorni annuncia un incontro con Bossi. Che però non ci sarà mai. Il Senatùr rimane chiuso in via Bellerio, si mostra poco e parla ancora meno. E’ Bobo a guidare i primi mesi del nuovo carroccio di lotta, nel tentativo di recuperare qualche voto in vista delle prossime elezioni. L’incoronazione ufficiale molto probabilmente avverrà a Milano il 22 gennaio, durante la manifestazione che sancirà il ritorno in piazza della Lega. Intanto l’ex titolare del Viminale sta attraversando il nord. A fine dicembre è andato a Treviso, feudo del segretario veneto Gian Paolo Gobbo che fino al giorno prima ha tentato di soffocare ogni anelito maroniano, per parlare con gli imprenditori annunciando che “il carroccio di lotta è tornato”. E il 29 dicembre alla Berghem Frecc, sul palco sono saliti solo Bossi, Calderoli e Maroni. Il primo ha dato del “terrone” a Giorgio Napolitano. Il secondo ha suggerito a Berlusconi di non essere “l’utile idiota del governo Monti”. Il terzo è stato acclamato dalla solita base al solito grido Bobo premier. E ha espresso l’unico concetto politico meritevole d’attenzione: “La Lega alle elezioni al Nord da sola è più forte”. Più che il ritorno della Lega di lotta sembra la nascita di quella di Maroni. Bossi non sarà mai defenestrato, ma la sua epoca è ormai conclusa e anche lui sa bene di doversi fare da parte se vuole far sopravvivere a se stesso il partito che ha creato.
 
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P3, chiesti 20 rinvii a giudizio
anche per Verdini e Dell'Utri

La procura di Roma ha chiuso l'inchiesta sull'associazione "caratterizzata dalla segretezza e volta a condizionare il funzionamento di organi costituzionali". Sollecitato il processo anche per Flavio Carboni, l'ex giudice Pasquale Lombardi

ROMA - La procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio per 20 persone, tra le quali il coordinatore del Pdl Denis Verdini e il senatore Marcello dell'Utri, nell'ambito dell'inchiesta sulla P3. Tutti sono accusati di aver  violato la legge Anselmi per aver partecipato a un'associazione segreta "caratterizzata dalla segretezza degli scopi, dell'attività e della composizione del sodalizio e volta a condizionare il funzionamento di organi costituzionali e di rilevanza costituzionale".

Il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e il sostituto Rodolfo Sabelli hanno chiesto il giudizio anche per l'imprenditore Flavio Carboni, Arcangelo Martino, ex assessore al comune di Napoli, e per l'ex giudice tributarista Pasquale Lombardi. Insieme agli altri imputati costituivano, secondo l'accusa, un sodalizio impegnato "a realizzare una serie indeterminata di delitti di corruzione, abuso d'ufficio, illecito finanziamento dei partiti, diffamazione e violenza privata".

RE Le inchieste. Tutti gli affari sospetti di Verdini e dei fratelli Dell'Utri 1


In un altro filone dell'inchiesta, quello sull'eolico in Sardegna, è  stato chiesto il rinvio a giudizio anche per il governatore Ugo Cappellacci, che è accusato di abuso d'ufficio in merito alla nomina di Ignazio Farris all'Agenzia regionale per l'ambiente della Sardegna.
(03 gennaio 2012)
 

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