domenica 20 novembre 2011

già....

Un mondo tutto da scaricare
(ma soprattutto da inventare)

Nate cinque anni fa per il primo modello dell'iPhone, subito si trasformarono in un potentissimo e trasversale strumento di gioco o di lavoro. Oggi sono diventate il nuovo web, mentre l'anno prossimo si calcola che il mercato registrerà cinquanta miliardi di download. Ecco chi lo alimenta. E come fa di RICCARDO LUNA

SONO PASSATI quasi cinque anni. Per la precisione cinquantotto mesi e qualche giorno in cui circa 500 mila apps sono state scaricate più di diciotto miliardi di volte. Ora lo possiamo dire: quel giorno Steve Jobs ha avuto torto. Eppure era probabilmente al massimo della sua forma. Era il 9 gennaio 2007 e al Moscone Center di San Francisco presentava il primo modello di iPhone: il 2g. "Apple reinventa il telefono" era lo slogan. Per come sono andate le cose, non era affatto esagerato. "Ohhhh", faceva la folla ogni volta che Jobs svelava una nuova funzione. "It's like magic", diceva lui. Quel discorso fece epoca. Una frase però la notarono solo gli hacker. Diceva più o meno: le applicazioni dentro l'iPhone ce le mettiamo noi della Apple e basta. Jobs, infatti, non voleva che nessuno potesse sporcare, danneggiare o modificare quell'apparecchio che ai suoi occhi era perfetto così. Niente apps esterne, quindi. Fu un errore strategico clamoroso. Ma fu anche un veto che per sua fortuna durò poco, anzi, nulla: il tempo di far arrivare gli iPhone nelle mani degli hacker di tutto il mondo. E la rivoluzione ebbe inizio.

In Italia il primo a metterci sopra la mani fu iRev, alias Max Uggeri, 45 anni oggi, già noto come "Il Reverendo" dai tempi in cui era minorenne e faceva impazzire la polizia postale con le sue incursioni informatiche; e poi passato dalla parte dei buoni ad occuparsi di sicurezza digitale. iRev smontò l'apparecchio, "perché solo così capisco che roba è", disse "wow" e in pochi minuti la prima app era già pronta: si chiamava Free Contact, un modo per scambiarsi i contatti delle rubrica con un clic (fece 15 milioni di download ufficiosi...). Ora, va detto che questa stessa cosa capitava contemporaneamente in tutto il mondo: nuove apps nascevano alla velocità della luce. Non si potevano fermare, andavano cavalcate. E così fu. A giugno Jobs aprì uno negozio ufficiale, dove venderle dopo averle vistate e approvate, e la storia è cambiata.

Oggi le app sono il nuovo web. Un indicatore su tutti. "Fino a qualche tempo fa le aziende chiedevano di avere un sito per comunicare con i clienti: ora vogliono un'app" osserva Silvia Vianello, docente di marketing alla Bocconi e conduttrice di un programma tv quotidiano sul tema, Smart&Apps. È più di una moda. Le apps in fondo sono software che servono a fare velocemente e facilmente delle cose: giocare, informarsi, lavorare, comprare, filmare, socializzare insomma più o meno tutto. E visto che funzionano su un telefonino, danno la sensazione inebriante di avere il mondo in tasca. Per questo stanno esplodendo. Secondo la ricerca più aggiornata, nel 2012 il mercato registrerà cinquanta miliardi di download (era a sette miliardi nel 2009). Naturalmente non c'è solo Apple, anzi la leadership del mercato (44 per cento contro 31) è appena passata nelle mani di Google con il sistema operativo Android che è usato da telefonini di moltissime marche; seguono Microsoft, Nokia, Rim e gli altri. Con quei numeri stratosferici, c'è spazio per tutti.

Il lato più interessante della storia delle apps però non è chi le scarica e le utilizza, ma chi le inventa e le realizza. Facendo a volte moltissimi soldi. Il caso limite sono i cugini finlandesi Mikael e Niklas Hed che con il giochino "Angry Birds", scaricato da 75 milioni di utenti, hanno incassato 50 milioni di euro in un anno investendo... 51 tentativi sbagliati. All'inizio gli sviluppatori di apps erano i webmaster, quelli che facevano i siti. Oggi sono tutti. Per restare all'Italia, c'è il genio del software Gionata Mettifogo che ha lasciato la Microsoft a Seattle per realizzare una app che porta i giornali di mezzo mondo su iPad (Paperlit); e c'è l'esperto d'arte Roberto Carraro che ha realizzato una app immersiva lodata proprio da Jobs all'ultima uscita, "Virtual History Roma"; c'è il maestro elementare Italo Ravenna che ha scritto una app-fiaba con i disegni dei suoi allievi ("La marcia dei folletti"); e ci sono i baby sviluppatori, come Federico Cella e Francesco Puddu che a dodici anni hanno alle spalle una app di successo come "Lucky Battles" che ha permesso loro di creare una software house. "Tutti ormai possono sviluppare una app, basta avere una buona idea", sostiene Silvia Vianello. Non è solo uno slogan: da sei mesi infatti è stata lanciata una piattaforma per farsi una app in quattro clic per tutti i tipi di telefonino: si chiama "apps-builder", l'idea è Daniele Pelleri e Luigi Giglio che hanno trovato supporto in due venture capital e oggi contano duemila apps al mese fatte a modo loro.

Tra l'Italia e il resto del mondo non ci sono grandi differenze. Facciamo il caso dell'istruzione. Un anno fa l'università di Stanford ha lanciato un corso per imparare a sviluppare applicazioni: ha avuto così successo che è stato messo gratuitamente sul canale iTunesU, dove è rimasto mesi in cima alla classifica. E lo stesso ha fatto l'università di Pisa: prima un corso per apps tutto esaurito, poi la scalata della classifica di iTunes e infine, da venerdì scorso, persino un master del dipartimento di informatica per lo sviluppo di applicazioni mobile. I corsi non davano crediti accademici, erano semplici test: il master è un'altra storia, è un riconoscimento solenne.

È una rivoluzione, dice nel suo manifesto la community di sviluppatori riunita sotto le insegne di whymca che da anni organizza eventi. Intanto un grande format mondiale sta per sbarcare in Italia: si chiama Bemyapp e il prossimo weekend arriva a Bari con il tutto esaurito. Mentre è appena partito il filone delle applicazioni civiche, ovvero apps socialmente utili realizzate a partire dai dati pubblici (verde, parcheggi, mobilità). Fino al 10 gennaio si può partecipare al contest apps4italy, oltre trentamila euro di montepremi. Lo aveva annunciato il ministro Brunetta lo scorso 18 ottobre: "Ora non solo non c'è più il ministro, ma neppure il ministero", osserva uno dei promotori Lorenzo Benussi. Le apps invece vanno avanti.   (20 novembre 2011)
 
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Crisi, una class action contro Berlusconi
RadioPop lancia la raccolta firme 

Obiettivo: presentare un esposto alla Corte dei conti per danno erariale contro l'ex premier
Qualche miliardo di euro. E’ quanto sono costate agli italiani alcune delle operazioni partorite dai governi di Silvio Berlusconi. Dalla penale per il ponte sullo stretto di Messina allo smaltimento dei sottomarini nucleari russi. La cifra esatta è sconosciuta, ma qualcuno ha deciso fare i conti con un preciso intento: chiedere i danni al responsabile, il Cavaliere. Così, a Milano Radio Popolare ha cominciato a raccogliere adesioni per presentare un esposto alla Corte dei conti a carico dell’ex premier. E a fare la fila davanti ai banchetti si sono presentate in appena una giornata migliaia di persone.

In tempi di spread è normale fare due conti. Quanto avremmo risparmiato se il Cavaliere si fosse dimesso prima? Difficile dirlo, per ora. Nel frattempo possiamo domandarci quanto ci sono costate alcune scelte del governo uscente. È quanto hanno deciso di fare i promotori dell’esposto alla Corte dei conti per danno erariale contro l’ex premier Berlusconi. “Non si tratta di vendetta”, precisa immediatamente Andrea Di Stefano, direttore della rivista Valori e promotore dell’iniziativa con Radio Popolare, “ma chi ha ricoperto ruoli istituzionali di quel livello non può sottrarsi a certe responsabilità”. Quali in particolare? “Parlo delle responsabilità connesse all’abolizione dell’Ici”, risponde Di Stefano, che spiega: “Era il 2008, e la crisi era già alle porte”.



Secondo Di Stefano l’abolizione dell’imposta sugli immobili avrebbe prodotto un danno di tre miliardi e mezzo per le casse dello Stato. Ma non è finita. Quattrocentocinquanta milioni è quanto pagheremo a titolo di penale per un ponte sullo Stretto che molto probabilmente non vedremo mai. “E altri quattrocento li tireremo fuori per smaltire i sottomarini nucleari russi”, aggiunge ancora il direttore di Valori, “uno strano accordo con l’amico Putin che graverà sul bilancio pubblico”. Insomma, è ora di capire davvero quanto ci è costato Silvio Berlusconi. E a sentire i tanti milanesi che sono accorsi oggi per la presentazione dell’iniziativa, la curiosità è tanta. “A me Berlusconi è costato duemila euro in busta paga”, dice una signora che fa la fila ai banchetti di Radio Popolare per firmare la sua adesione all’esposto. “Ma poi non è solo una questione di soldi”, dice un’altra, “paghiamo in cultura, in servizi, e tanto tanto fegato”.

C’è chi è pronto a giurare che anche il governo di Mario Monti sarà parte del prezzo da pagare per vent’anni di “impero berlusconiano”.  Le firme e i contatti raccolti oggi alle spalle del Castello sforzesco di Milano andranno a sommarsi alle adesioni pervenute a Radio Popolare attraverso la mail class@radiopopolare.it. “Contiamo di terminare le nostre ricerche nel giro di due o tre settimane”, promette Andrea Di Stefano, “poi contatteremo tutti per dire loro come sottoscrivere ufficialmente l’esposto alla Corte dei Conti”.E in caso di condanna? “Le disposizioni della Corte si trasformano subito in cause civili”, spiega Di Stefano, “che stabiliscono il risarcimento di danni”.
 
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Addio a Sergio Scaglietti
Dal suo genio numerose Ferrari

MODENA, 20 novembre 201

Si è spento a 91 anni uno dei collaboratori storici di Enzo Ferrari, che ha creato molti dei gioielli del Cavallino

 
 
Si è spento ieri a Modena, all'età di 91 anni Sergio Scaglietti, maestro carrozziere, amico intimo e grande collaboratore di Enzo Ferrari. Il rapporto tra i due inizia quando il Drake è ancora un uomo Alfa Romeo. Ferrari ne apprezza subito le qualità e la carrozzeria diventa subito una delle sue favorite appena fondata la Casa di Maranello. Il nome di Scaglietti si lega in esclusiva a quello del Cavallino in collaborazione con un’altra storica carrozzeria: Pininfarina.

Sergio Scaglietti aveva 91 anni.
Sergio Scaglietti aveva 91 anni.
GENIALE — Dalla matita e dal genio di Sergio Scaglietti nacquero capolavori come la 250 Testa Rossa e l’indimenticabile 250 GTO. Nel 1959 anche Oscar e Claudio Scaglietti, figli di Sergio, entrano a far parte dell'organico dell'atelier modenese. Mentre nel 1975 la Ferrari ne rileva la quota di maggioranza. L’omaggio ad un nome fondamentale per la storia e il successo della Casa di Maranello arriva nel 2004, quando il presidente Luca di Montezemolo decide di lanciare sul mercato la Ferrari 612 Scaglietti.
Alessandro Stefanini© RIPRODUZIONE RISERVATA 
 
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Crisi, la Suzuki lascia
Tenta il rientro nel 2014

TOKYO (Giappone), 18 novembre 2011

Recessione economica e calo delle vendite hanno spinto la squadra giapponese a lasciare la MotoGP


La Suzuki di Bautista in azione nel 2011. Ap
La Suzuki di Bautista in azione nel 2011. Ap
La Suzuki lascia la MotoGP. La recessione economica, il calo delle vendite e la svalutazione dello Yen, le difficoltà causate dal disastro naturale dello scorso febbraio, sono le cause che la casa nipponica tira in ballo su una nota comparsa poco fa sul suo sito istituzionale. La Suzuki, che ha vinto il suo ultimo titolo mondiale nel 2000 con l'americano Kenny Roberts Jr, era impegnata quest'anno con un solo pilota, lo spagnolo Alvaro Bautista, che per il 2012 ha già firmato un accordo con il Team Gresini con il quale correva Marco Simoncelli. La Suzuki, fa sapere nella nota, cercherà di rientrare nel mondiale MotoGP nel 2014, sviluppando una moto competitiva per cercare di competere ai massimi livelli, mentre continuerà le sue attività sportive nel motocross e nelle derivate di serie.
Gasport© RIPRODUZIONE RISERVATA

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