venerdì 9 settembre 2011

già......

Monza si scalda per il GP
Alonso: "Divertiamoci"

MONZA, 8 settembre 2011

Tutto pronto nell'autodromo brianzolo per il 13° appuntamento stagionale con il Mondiale: i tifosi sperano nel bis del 2010, quando trionfò lo spagnolo

I ferraristi con l'elefantino Nello T. Ap
I ferraristi con l'elefantino Nello T. Ap
Tutto pronto per il più prestigioso e importante avvenimento motoristico italiano, il GP di Italia di F.1, a Monza, giunto all'edizione numero 82 e 13° appuntamento della stagione 2011. Sulla pista brianzola, che ha ospitato il Mondiale di F.1 per ben 60 delle 61 occasioni, è tutto pronto. Si stanno definendo i dettagli e ultimando i preparativi per quella che si spera possa essere, oltre a una grande occasione di sport, anche una festa rossa, nel ricordo del trionfo del 2010 di Alonso con la Ferrari.
Ecco come si è vissuta la giornata di giovedì in pista
17.20 Presentato di fronte al paddock Ferrari l’elefantino Nello T. figlio di Mara, creato dai designer Ferrari e dal 16 settembre a novembre in mostra alla Elephant Parade a Milano. Il ricavato sarà devoluto alla Asian Foundation e a Telethon.
16.15 Trulli: Solo un italiano può capire il mito della Ferrari, siamo orgogliosi di questo ma ciò rende difficile il nostro lavoro perché, sin da quando sei piccolo, la F.1 è identificata con una macchina rossa, il resto viene oscurato.
15.55 Liuzzi: Monza non è Spa, il tracciato che noi piloti amiamo tutti. Però, anche se ci sono solo 5-6 curve, sono tutte importanti per il tempo, devi essere deciso anche ad affrontare le chicane, non ci si può mai rilassare. E poi è l’unica pista storica rimasta in calendario.
15.40 Massa: I tifosi sono il nostro "Extra power", quando li vedi vestiti di rosso senti una spinta in più per essere davanti.
15.20 Alonso: Correre a Monza è sempre speciale, per l'atmosfera e i tifosi. Vincere qui è speciale, l’obiettivo è divertirci e far divertire la gente. L'obiettivo è vincere anche se dobbiamo essere realisti, vedremo se le temperature ci daranno una mano.
14.35 Grande affluenza, come raramente si è visto, nella tradizionale camminata del giovedì in pit lane riservata ai tifosi. Davanti alla Ferrari c’erano la solita ressa e un gruppo di tifosi in parrucca rossa ha intonato cori per Alonso e un Inno di Mameli.
13.50 Sfida tra Alonso e Massa al nuovo simulatore Ferrari prodotto dalla AllinSports. Il mini GP sulla pista di Fiorano è stato vinto da Fernando.
13.16 Alonso è già in tuta rossa: è il momento di prendere le misure con l'abitacolo e la pedaliera.
13.07 Si rivede Chris Dyer, ex stratega della Ferrari, rimosso dopo il pasticcio di Abu Dhabi 2010.
12.55 Presentato il libro di Giorgio Piola "F.1 analisi tecnica 2010-11" edito da Giorgio Nada.
12.50 Arriva Michael Schumacher, solito entusiasmo, come se il tempo non fosse passato: ressa intorno a lui.
12.45 Giancarlo Minardi fa i complimenti alla Fia, che pensa far provare al venerdì dei giovani piloti: bel modo di valorizzare i talenti.
12.35 La pista si presenta con il bellissimo effetto dei cordoli colorati con il tricolore italiano.
12.30 Terminati tutti i lavori in pista, ci sono alcuni meccanici che fanno jogging lungo il tracciato.
12.25 Si accende il primo motore ai box: è quello della McLaren di Button.
Dal nostro inviato
Andrea Cremonesi © RIPRODUZIONE RISERVATA
 
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Intercettazioni, Berlusconi vuole il Bavaglio
Ddl in aula con la fiducia 

Le telefonate con Lavitola e Tarantini preoccupano il premier. Che si sfoga con i suoi e grida al complotto. Il ministro della Giustizia: "Accelerare sul decreto legge". Costa del Pdl: "Potrebbe vedere la luce anche in una settimana". Alfano preferisce non commentare: "Vale quello che ha detto Palma". E aggiunge: "Berlusconi è provato, stanco, non è un robot"
Torna la legge Bavaglio. Il 20 settembre arriverà in aula. E adesso il premier pensa di farla passare con il voto di fiducia. Altro che manovra ed economia del Paese, Silvio Berlusconi ha un’unica preoccupazione: fermare il fiume di intercettazioni che lo sta travolgendo. Le telefonate di Bari con Gianpaolo Tarantini e quelle di Napoli con Valter Lavitola non devono diventare pubbliche. Le anticipazioni dell’Espresso (con il Cavaliere che suggerisce all’ex editore e direttore dell’Avanti di non tornare in Italia) hanno agitato non poco il premier. E sono state il pretesto per rilanciare la necessità della legge sulle intercettazioni. Da approvare il prima possibile, è il diktat del Cavaliere. Ma il rischio è alto. La maggioranza non è compatta (con il fronte aperto da Beppe Pisanu e con la richiesta dei dirigenti del Pdl di indire le primarie e rivedere l’organizzazione del partito) e a Montecitorio c’è il problema Lega: alla Camera, infatti, il gruppo risponde a Roberto Maroni e per lui il voto sulle intercettazioni potrebbe essere l’occasione per conquistare definitivamente la guida del Carroccio. Il ministro dell’Interno ha il sostegno di una buona parte della base del partito (che da mesi chiede di lasciare Berlusconi e che a Pontida lo ha indicato come presidente del Consiglio) ma è fortemente contrastato dal cerchio magico (capitanato da Rosy Mauro) che protegge Umberto Bossi. Alla Camera dunque Maroni potrebbe dire ai suoi di votare contro. In un colpo solo conquisterebbe l’elettorato deluso dalla gestione di Bossi (ottenendo quindi la leadership indiscussa del Carroccio) e vedrebbe crollare definitivamente l’asse con Arcore che ha ingessato il partito. Rischi che Berlusconi conosce bene. Ma il Cavaliere pensa di non avere alternative. Da Bari, dove, secondo le agenzie, il 15 settembre verrà chiusa l’inchiesta per favoreggiamento della prostituzione e associazione per delinquere finalizzata alla corruzione teme un arrivo di uno tsunami che è necessario tentare di bloccare. Il deposito di un’informativa della Guardia di finanza contenente telefonate di ogni tipo tra lui e Gianpaolo Tarantini.

Per il momento comunque, è l’anticipazione dell’Espresso a scuotere la maggioranza. Il 24 agosto Lavitola si trovava a Sofia e, venuto a sapere dell’inchiesta a suo carico, telefona al premier: “Che devo fare? Torno e chiarisco tutto?”. Il Cavaliere risponde: “Resta dove sei”. Berlusconi si è sfogato con i suoi. Ha gridato al complotto montato ad arte in un momento difficile per il Paese e per il governo, si è sfogato. Il fango, ha detto, che ancora una volta la magistratura politicizzata tenta di gettargli addosso. Per questo costringe il fidato Nicolò Ghedini a smentire le anticipazione dell’Espresso, ottenendo però il risultato opposto. “La notizia è assurda e infondata”, afferma il deputato del Pdl e legale di fiducia di Berlusconi, ma aggiunge, lamentandosi: “Continuano ad uscire dalle indagini in corso a Napoli notizie ed atti, addirittura a volte in tempo reale rispetto agli accadimenti stessi”. La dichiarazione appare poco convincente agli stessi uomini del Pdl. Così arriva il rinforzo di Fabrizio Cicchitto. Il capogruppo del Pdl sostiene che siamo “in una condizione del tutto inaccettabile, una nuova edizione del Grande Fratello – dice – per cui ogni battuta detta per telefono in conversazioni private può diventare dichiarazione pubblica e ufficiale attraverso la quale si viene impiccati”. Derubricato così a semplice battuta il consiglio di rimanere all’estero a un indagato, Cicchitto ricorda che “Berlusconi è sottoposto da tempo a forme inusitate di spionaggio e adesso è venuto il momento per tirare fuori tutto il materiale cosi accumulato, magari manipolandolo anche opportunamente”. Dunque è necessario “limitare” questa macchina del fango, ovviamente.

E se inizialmente a Palazzo Grazioli si era preso in considerazione un decreto da varare in fretta e furia nel consiglio dei ministri già lunedì prossimo, a metà pomeriggio è il ministro della Giustizia, Francesco Nitto Palma a indicare chiaramente la volontà dell’esecutivo. “Non ho mai sentito parlare di un decreto legge sulle intercettazioni. Alla Camera c’è da tre anni un disegno di legge, se ne può velocizzare l’esame”. Sull’uso delle intercettazioni, aggiunge, “la penso esattamente come il capo dello Stato, che recentemente ha espresso alcune riserve sull’abuso di questo strumento investigativo”. In particolare, secondo il ministro, le intercettazioni devono essere “l’extrema ratio e non devono essere possibili quelle a strascico”. Angelino Alfano rimanda a “quello che ha detto Nitto Palma” e non interviene su una materia che aveva difeso con forza. Per poi aggiungere una precisazione: “Non ho alcun patto con Maroni, esiste quello Bossi-Berlusconi”. Però, dice quasi sibillino, Berlusconi “è provato, non è mica un robot”. Avanti con il Bavaglio, dunque, poi si vedrà.

“Non è certo questo il momento di mettere il bavaglio all’informazione”, tuona il capogruppo Pd in commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti. Semmai, visto quello che sta trapelando dalle varie inchieste che vedono coinvolto il premier, sarebbe il caso di “mettere un freno al testo”, dice Federico Palomba dell’Idv. Qualsiasi decreto in materia di intercettazioni, ribatte il vicepresidente dei senatori Pd Felice Casson, sarebbe “incostituzionale” perché è uno strumento di investigazione che “non può essere confiscato alle forze di polizia e alla magistratura”. Ma il Pdl sembra aver ormai deciso compatto la strada, tanto che il capogruppo del partito in commissione Giustizia della Camera, Enrico Costa, annuncia che l’intesa è facilmente raggiungibile anche oltre la maggioranza e che il ddl potrebbe vedere la luce presto, anche “in una settimana”. Perché il testo già c’è. E’ stato licenziato dal Senato il 10 giugno del 2010 e non venne portato avanti anche perché, dissero a Palazzo Grazioli, era stato “stravolto dai finiani”.

All’epoca la maggioranza preferì rimandare. Ma in via Arenula in molti erano favorevoli a forzar la mano, ma lo stesso Berlusconi lo definì “troppo blando” dopo le modifiche che il presidente della Commissione giustizia di Montecitorio, la finiana Giulia Bongiorno, riuscì a far inserire. Eppure Se il ddl fosse diventato legge più di un anno fa non si sarebbe mai saputo nulla del caso Ruby, né tanto meno delle nuove inchieste di Napoli e Bari. Oggi così l’accelerazione. “In effetti se avessimo detto sì, all’epoca, a questo ddl forse tutto questo fango non ci sarebbe stato”. Ma l’esame del ddl potrebbe non filare liscio come auspica Costa. Per salvare “il culo flaccido” di Berlusconi (direbbe Nicole Minetti) questa volta potrebbe non bastare un voto di fiducia.
 
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WIKI

È il "we-gov", una rivoluzione
la democrazia nasce sul web

Sempre più siti e social network aiutano la creazione di politiche pubbliche. Grazie a una generazione di cittadini 2.0. Petizioni, consigli e tweet. Ogni giorno. Anche in Italia di RICCARDO LUNA

IN PRINCIPIO sono stati i Moratti Quotes, citazioni fasulle ma verosimili del sindaco uscente Letizia Moratti: satira pura. Circolavano in rete alla velocità della luce. Cose tipo: "Pisapia mi ha detto che mi rubava un attimo, ma non me lo ha più restituito". Oppure, "Pisapia ha dato la laurea in medicina a Scilipoti...". Cose così. Dopo la festa per la vittoria, però, qualcosa è cambiato. Il pubblicitario milanese Paolo Iabichino ha lanciato su Twitter il tema #pisapiasentilamia, e in poche ore migliaia di persone sono passate dalle risate alle proposte per il nuovo sindaco. Che a un certo punto è pure intervenuto per dire: "Grazie d'aver colto il mio "non lasciatemi solo". Vi sto ascoltando", mentre sempre su Twitter partivano #fassinosentitorino, #berrutilasciachetiaiuti e #renzichenepensi. Voglia di partecipare, insomma.

La seconda scena avviene a Cagliari, negli stessi giorni. Marcello Verona è un giovane informatico e intuisce che il suo coetaneo Massimo Zedda, appena eletto sindaco, ha bisogno di aiuto per governare. Così va in rete, si registra su una piattaforma per discutere idee, la chiama Ideario per Cagliari e invita i cagliaritani a entrarci: "Ora tocca a noi". Nei primi cento giorni si registrano 520 idee per la città con 2.600 commenti e 12mila voti. È un bell'aiuto per Zedda. A costo zero.

La terza scena è di qualche giorno fa. A Matera una trentina di ragazzi, molto idealisti e molto preparati, stanno studiando da una settimana alla scuola estiva della Rena, un network di eccellenze italiane. Il tema è come cambiare la qualità delle decisioni politiche attraverso Internet. Con la partecipazione certo, ma si parla molto anche di Open Data, ovvero di liberare i dati pubblici in modo da generare soluzioni creative dal basso ad annosi problemi. A un certo punto uno dei partecipanti dice: "Non chiederti cosa il tuo paese può fare per te, ma cosa tu puoi fare con i dati del tuo paese". È Kennedy 2.0.

Se qualcuno si sta ancora chiedendo dove è finita la straordinaria onda emotiva che in primavera ha determinato gli esiti delle elezioni amministrative e dei referendum, la risposta è: sul web.

Qui, senza grandi proclami e praticamente senza soldi, si sta sperimentando una nuova forma di democrazia. Nel mondo lo chiamano Open Government, ma c'è una definizione forse più efficace: Wikicrazia. L'ha coniata Alberto Cottica, 41 anni, da Modena, che dopo una vita da musicista di successo con i Modena City Ramblers, oggi si occupa di questi temi per il Consiglio d'Europa: la Wikicrazia, secondo questa impostazione, è una democrazia potenziata dagli strumenti collaborativi della rete (i wiki) e dalla intelligenza collettiva che ha creato fenomeni come Wikipedia.

A livello accademico il fenomeno è molto studiato anche se in fondo è bastato aggiungere una "w" e passare dall'e-gov, il governo che si mette in rete per dare servizi; al we-gov, i cittadini che diventano cocreatori delle politiche pubbliche. Secondo un recente report della Elon University e del Pew Research Center sul futuro di Internet, entro il 2020 le forme di cooperazione online miglioreranno l'efficacia delle istituzioni democratiche nel rispondere alle esigenze dei cittadini. Se questa cosa non si chiama rivoluzione, poco ci manca.

In molti paesi sta già accadendo. Secondo Cottica "il primo presidente wiki della storia è Barack Obama". Più che la strategia elettorale online, in questo contesto contano i tanti strumenti attivati per favorire la partecipazione: "Le sfide che abbiamo davanti sono troppo grandi perché il governo possa farcela da solo, senza il contributo creativo del popolo americano", disse il neoeletto presidente degli Stati Uniti lanciando siti come data. gov, challenge. gov e apps4democracy. Va detto che i buoni risultati ottenuti finora sono stati inferiori alle enormi aspettative iniziali. "E le dimissioni del responsabile del progetto, Vivek Kundra, lo scorso giugno, non sono certo un bel segnale", osserva David Osimo, che si occupa di questi temi per la Commissione europea.

La staffetta dell'Open Government sembra così passata nel Regno Unito, nelle mani di David Cameron. "Stiamo cercando di mettere la tecnologia e l'innovazione al centro di tutto quello che facciamo", ha spiegato recentemente a New York a una conferenza Rohan Silva, 29 anni, assistente del premier: "Vogliamo diventare il governo più aperto e trasparente del mondo per innescare una scarica di innovazione sociale". Primo esempio, il sito dove discutere come tagliare le spese del bilancio britannico che ha coinvolto centinaia di migliaia di persone.

Ma non è dai governi che arriva la Wikicrazia. È piuttosto un movimento che parte dal basso. E che ha una data di inizio certa. Nel settembre 2003, Tom Steinberg lancia Mysociety, sicuramente il progetto più ambizioso di e-democracy mai realizzato. Con una donazione iniziale di 250 mila sterline, il team di Steinberg sviluppa in pochi anni una serie di servizi tanto semplici quanto efficaci: Fixmystreet, ripara la mia strada, un applicazione per segnalare problemi e disservizi direttamente all'autorità locale (copiatissimo); theyworkforyou, un resoconto aggiornato quasi in tempo reale dell'attività di ogni singolo membro del Parlamento. E infine un modo per mandare petizioni online al premier. I servizi sono gratuiti, economici, scalabili, facili da usare. Questo il bilancio provvisorio: dopo sette anni più di 200 mila persone hanno scritto almeno una volta al premier, qualche petizione ha persino modificato decisioni già prese (il pedaggio stradale voluto e rimangiato dal governo Blair), e qualcosa come 65mila buche stradali sono state riparate.

Nel 2009, l'attenzione si sposta dal governo nazionale a quello locale. La svolta avviene ad una conferenza organizzata dal guru del web 2.0 Tim O'Reilly. "Le entrate calano, i costi aumentano: se non cambiamo il modo in cui funzionano, le città falliranno", dice in sostanza dal palco Jennifer Pahlka che qualche mese dopo lancia Codeforamerica, una fondazione per aiutare le città americane a diventare più trasparenti, connesse ed efficienti con l'aiuto del web. Lo scorso anno hanno aderito Boston, Washington e Seattle ma l'esempio più riuscito forse è Filadelfia con il sito opendataphilly. org: un gigantesco hub dove i dati comunali hanno spontaneamente generato centinaia di applicazioni utili ad i cittadini.

Codeforamerica funziona così: ad ogni città vengono inviati per un anno cinque sviluppatori. Sono in missione per conto del web, insomma. Qualche giorno fa si è chiusa la selezione per il 2012: per 26 posti hanno partecipato 550 persone da tutto il mondo. Perché lo fanno? Perché ci credono. Li chiamano "civic hackers", sono esperti di tecnologia con la passione per i valori di condivisione della rete che sognano una nuova politica.

In Italia gli antesignani sono stati i romani di Open Polis, che dal 2008 mettono online "a mano" tutti i dati dell'attività del Parlamento e monitorano le attività dei 130 mila politici eletti. Ma ora il focus è sugli strumenti per partecipare e collaborare: i social network dei cittadini, come Epart, il neonato Decorourbano e il prossimo Uptu. O anche il gioco Critical City, che usa il web per portare le persone a fare delle cose concrete nella propria città: delle missioni civiche.
Ma l'impressione è che si stia muovendo qualcosa di più grosso. Tra qualche giorno nascerà per esempio Apps4Italy, un sito dove le prime dodici regioni hanno deciso di condividere i loro dati per far generare dagli utenti "apps", applicazioni, ovvero servizi socialmente utili. È solo l'inizio: il 20 settembre ci sarà il varo ufficiale della Open Government Partnership, una alleanza promossa da Usa e Brasile con Gran Bretagna, Norvegia, Messico, Indonesia, Filippine e Sud Africa. Nove paesi sono già in lista d'attesa per entrare in questo network.

Il governo italiano è assente per ora, ma, come abbiamo visto, in questa sfida che ha l'ambizione di ridisegnare le regole d'ingaggio della politica, l'Italia c'è. 
(09 settembre 2011)

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