giovedì 2 febbraio 2012

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Corte dei Conti, le sanzioni mai incassate
sono un tesoro da 490 milioni 

Parliamo delle condanne della procura contabile rimaste sulla carta. Soldi - si stima mezzo miliardo - di cui le casse pubbliche hanno diritto e di cui però non riescono a prendere possesso. Perché? Perché i condannati cercano di non pagare. E spesso ci riescono
La memoria è il tesoro dell’anima”. E non solo dell’anima. Forse i proverbi potrebbero aiutare a scrivere una manovra finanziaria. Perché mentre si annunciano tagli di 3, 8 miliardi alle pensioni, si aumentano gasolio e benzina per mettere in cassa 4, 8 miliardi, ci dimentichiamo di 490 milioni. Un tesoro, appunto. Parliamo delle condanne della Corte dei Conti rimaste sulla carta. Centinaia di milioni di sanzioni inflitte a chi ha provocato un danno allo Stato: cittadini, dipendenti pubblici, imprese. Le casse pubbliche ne hanno diritto e però restano a bocca asciutta. Il Procuratore Lodovico Principato le sta calcolando. Anche il presidente della Corte, Luigi Giampaolino, si sta occupando della questione. Ma fonti giudiziarie già sono in grado di dare una stima: “Siamo vicini al mezzo miliardo”. Il 6 febbraio, all’inaugurazione dell’anno giudiziario della procura contabile, se ne parlerà. Già Mario Ristuccia, l’ultimo Procuratore generale, aveva segnalato il buco. Davanti a lui le autorità schierate avevano ascoltato attentamente, ma oggi siamo da capo: “In relazione alla massa dei residui attivi formatisi … si segnala che nel 2008 la consistenza complessiva dei crediti non riscossi era vicina ai 490 milioni. La quota più consistente era allocata nei capitoli gestiti dai dipartimenti del ministero dell’Economia oltre a quelli, pure cospicui, del Ministero della Difesa, della Giustizia e dell’Interno”.

I ministeri hanno in mano un tesoro, ma non riescono a incassarlo. Erano 490 milioni quattro anni fa e oggi siamo sempre intorno al mezzo miliardo. Ma com’è possibile? Era lo stesso Ristuccia a spiegarlo: “L’entità dei residui dimostra in concreto la persistente propensione a sottrarsi alle conseguenze del giudicato”. In parole semplici: i condannati cercano di non pagare. E spesso ci riescono. Ma com’è possibile? A spiegarlo è uno dei tanti sostituti procuratori della Corte, uno di quei magistrati che ogni giorno vedono le proprie sentenze restare ineseguite: servirebbe un “potenziamento degli strumenti”, ci sarebbe bisogno insomma di nuove leggi: “Adesso è previsto un termine di dieci anni per recuperare il denaro. Troppi, una parte dei crediti passa in cavalleria”. Rimedi? “L’esecuzione invece di essere affidata alle amministrazioni danneggiate potrebbe essere lasciata alle Procure della Corte dei Conti”.

In passato andava peggio: negli anni ‘90 lo Stato incassava circa l’un per cento del denaro cui aveva diritto. Una mancia. La Procura della Corte dei Conti ha tracciato un bilancio dell’attività tra il 2005 e il 2010: si è arrivati a recuperare il 19,8 per cento delle somme stabilite dai giudici. Meno di un quinto del totale. Ma la colpa non è della Corte. Anzi. Basta ripercorrere l’iter necessario per eseguire le sentenze per capire le radici del problema: c’è la sentenza di primo grado, poi quella di secondo, quindi la parola passa alle amministrazioni danneggiate che devono farsi restituire il denaro. Tra corsi e ricorsi ci vogliono anni. Senza contare chi le prova tutte per sottrarsi al pagamento. Certo, una parte di questo tesoro è destinato a restare sulla carta. Spiega Ermete Bogetti, procuratore della Corte dei Conti della Liguria: “Ci sono amministratori infedeli, magari condannati per peculato, che vengono condannati a pagare dieci, venti milioni, perché quello è il danno provocato allo Stato. La sanzione non può essere stabilita in base alle disponibilità dei condannati. Ma incassare una somma simile da un dipendente pubblico è impossibile”. Ma togliamo pure questa fetta, restano centinaia di milioni.

Lo Stato non è un creditore molto aggressivo. Ci sono i pignoramenti, ma anche gli eventuali sequestri rischiano di arrivare quando ormai i beni sono stati “inguattati”. Ricorda Bogetti: “Al massimo si può pignorare un quinto dello stipendio”. Qui lo Stato si dimostra di nuovo benevolo: prendiamo il caso di un funzionario colpevole di peculato e per questo licenziato. Le Corti dei Conti più di una volta hanno puntato sulla liquidazione. Niente da fare: anche il dipendente pubblico che ha truffato lo Stato ha diritto al trattamento di fine rapporto. Al massimo decurtato di un quinto. Tante garanzie per i debitori, poche per il creditore, lo Stato e i cittadini. Quelli che se i soldi finissero nelle casse pubbliche potrebbero sperare di spendere qualche euro in meno di benzina e di Imu.

da Il Fatto Quotidiano del 31 gennaio 2011
 
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Facebook pronto a diventare grande
sarà quotata a Wall Street per 5 miliardi

Il social network creato da Mark Zuckerberg dovrebbe presentare nelle prossime ore i documenti per la quotazione in Borsa. Probabile un'Ipo record da 5 miliardi. Il valore della compagnia stimabile tra i 75 e i 100 miliardi di dollari.

NEW YORK - E' arrivato il giorno in cui Facebook diventa grande: non per il numero di utenti - quello ormai, con 800 milioni di iscritti, è ormai assodato - ma perché i legali dell'azienda sarebbero pronti a presentare a Wall Street i documenti per la quotazione in borsa.

L'Ipo (Initial public offering) dell'azienda fondata da Mark Zuckerberk nel 2004 è infatti il primo passo per sbarcare negli indici azionari e con tutta probabilità sarà la più grande di sempre: 5 miliardi di dollari, anche se alcune voci delle settimane passate parlavano anche di 10 miliardi. Un simile valore di offerta iniziale indicherebbe un valore complessivo della compagnia tra i 75 e 100 miliardi di dollari.

Il social network potrebbe offrire i propri titoli fra i 34 e i 40 dollari l'una.

I documenti saranno poi analizzati dalla Sec (la Consob statunitense) e, se tutto andrà liscio, le azioni saranno sul mercato da maggio. A guidare il collocamento sarà Morgan Stanley, con un ruolo minore a Barclays, Bank of America-Merrill Lynch, Goldman Sachs e JPMorgan.

Anche se l'azienda si 'accontentasse' di un'Ipo da cinque miliardi, surclasserebbe i record precedenti relativi alle aziende web. Nel 2004 Google presentò un'Ipo da 1,92 miliardi, poco più del precedente massimo di Genuity (1,91 nel 2000, in piena bolla di internet). Al terzo posto Zynga, la società creatrice di giochi-social come FarmVille, ha segnato un'Ipo da 1 miliardo lo scorso anno. Se invece l'Ipo fosse da 10 miliari, sarebbe la 15esima di tutti i tempi, e la sesta nella storia degli Stati Uniti.

Un gigante della pubblicità. Con i suoi 800 milioni di utenti, Facebook ottiene gran parte dei suoi utili dalla pubblicità. Secondo le stime di eMarketer, i ricavi di Facebook nel 2011 sono ammontati a 4,27 miliardi di dollari, di cui 3,8 miliardi di dollari dalla pubblicità.

La società, sempre secondo indiscrezioni, ha registrato nel 2011 un utile operativo di 1,5 miliardi di dollari. Il social network lo scorso anno ha rafforzato la propria leadership nella pubblicità online tramite banner, distanziando Yahoo!: Facebook ha conquistato - secondo i dati di ComScore - il 27,9% del mercato, in aumento rispetto al 21% del 2010. Yahoo! si ferma all'11%.
 
(01 febbraio 2012)

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La guerra delle biomasse
"Ecomostro minaccia l'Oasi"

Colpo di mano del Commissario decaduto che dà il via ai lavori, il Comune fa ricorso per bloccare l'impianto. Il timore degli ambientalisti: potrebbe trasformarsi in un gigantesco inceneritore con gravi danni alla Laguna di GIOVANNI VALENTINI


ORBETELLO - A osservarla dal bosco dell'Oasi di Patanella, affidata al Wwf, la laguna di Orbetello sembra un pezzo di paradiso, incontaminato e pacifico. Eppure, la sua quiete primordiale è minacciata oggi da un'imprevedibile "guerra delle alghe" che rischia di ripercuotersi sulla tranquillità dei residenti, ma anche dei turisti e dei villeggianti estivi che compongono la comunità dell'Argentario. Le alghe sono quelle che vegetano nell'acqua salmastra della laguna, al di là del loro ciclo fisiologico, per effetto di una proliferazione abnorme alimentata dalle sostanze nutritive che si depositano sul fondo. Il fenomeno dura ormai da molto tempo, con un impatto ambientale di ordine estetico e soprattutto biologico: le altre piante vengono soffocate, i pesci non sopravvivono, il paesaggio ne risulta alterato. E neppure il Commissario delegato al risanamento della Laguna di Orbetello, carica istituita ormai da quasi vent'anni, è riuscito mai a risolverlo.

Poi, improvvisamente, alla fine del 2011 arriva il colpo di scena: o forse bisognerebbe dire meglio, il colpo di mano. Pochi giorni prima della scadenza del suo mandato, fissata al 31 dicembre, il Commissario Rolando Di Vincenzo, già due volte sindaco di Orbetello e notoriamente vicino all'ex ministro Altero Matteoli, annuncia alla stampa l'avvio dei lavori per "gli interventi di adeguamento ambientale dell'impianto provvisorio di trattamento delle biomasse algali in località Patanella". In realtà, a novembre il progetto
era stato sottoposto all'esame del Comune di Orbetello. Ma la giunta guidata dal sindaco Monica Paffetti (Pd) aveva ritenuto che - nonostante la dichiarata "provvisorietà" - fosse necessario sottoporlo alla procedura di VIA (valutazione di impatto ambientale), in quanto "parte tecnicamente essenziale di quello definitivo". Fatto sta che ora, di fronte all'improvvisa forzatura del Commissario decaduto, l'amministrazione comunale ha deciso di presentare un esposto al Ministero dell'Ambiente e alla Presidenza del Consiglio dei ministri, da cui dipende la nomina del successore di Di Vincenzo, per bloccare i lavori.

A parte le rivalità e le beghe politiche locali, c'è il sospetto che dietro l'impianto per la lavorazione delle alghe e la produzione di biogas si nasconda un'operazione di portata più ampia e soprattutto pericolosa per l'ambiente: quella di un gigantesco bruciatore, inceneritore o termo-valorizzatore, insomma un ecomostro, per smaltire anche materiale d'altro genere. E cioè fanghi, rifiuti umidi, "terre di roccia" e di scavo, come si legge testualmente in uno schema allegato alla parte finale dello stesso progetto. Per di più si calcola che, per trasportare tutto ciò fino all'impianto vicino alla laguna, sulla stradina sterrata che costeggia l'Oasi dovrebbero transitare almeno 1.500-2.000 camion all'anno. Un'invasione motorizzata, insomma, che trasformerebbe quel paradiso in un inferno.

Nell'esposto preparato dall'avvocato Lorenzo Pallesi, si sottolinea il fatto che il Commissario conosceva il parere negativo del Comune fin dal novembre 2010. E lo stesso legale definisce "insussistenti" entrambe le ragioni - di urgenza e per il carattere straordinario dei suoi poteri - addotte da Di Lorenzo per avviare in tutta fretta, proprio alla fine del mandato, i lavori per la realizzazione dell'impianto a biomasse. La tesi di Pallesi, fatta propria dal Comune di Orbetello, è che in realtà l'intento del Commissario è quello di "rendere obbligata la realizzazione del progetto definitivo nel sito e con le modalità da lui prescelte", con il pretesto di evitare uno spreco di denaro pubblico (da una base di 1,1 milioni di euro fino addirittura a 17): insomma, la vecchia logica del fatto compiuto troppo spesso praticata dai nemici dell'ambiente.

Ma quali sono le alternative concrete? Come si può risolvere altrimenti il problema della proliferazione delle alghe nella più grande laguna del Tirreno? "Non raccoglierle e agire invece sulla loro crescita", risponde subito Angelo Properzi, presidente del Wwf per la Provincia di Grosseto: a suo parere, basterebbe aprire qualche canale per movimentare e ossigenare l'acqua, rimuovendo in superficie la componente nutritiva dei fanghi. Il biologo Mario Lenzi conferma: "Bisogna impedire lo sviluppo abnorme delle alghe, per ridurre così lo stress ambientale e favorire la crescita del pesce. Questo circolo virtuoso gioverebbe all'habitat naturale".

Ora l'appuntamento è fissato per il 4 febbraio, giorno in cui la combattiva associazione locale "Colli e laguna", guidata dalla presidente Patrizia Petrillo, 600 iscritti e oltre 6mila contatti su Facebook, ha convocato un'assemblea cittadina. Il timore diffuso è che l'impianto di Patanella possa rivelarsi un "pozzo avvelenato", per realizzare un progetto affaristico che riguarderebbe anche la fantomatica autostrada tirrenica e magari la ristrutturazione dell'ex stabilimento Sitoco (concimi chimici) sull'Aurelia. Tutto lascia prevedere, quindi, che la "guerra delle alghe" sia destinata ad allargarsi.
(02 febbraio 2012)
 

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