mercoledì 25 maggio 2011

mitico.......

Rossi sulla nuova Silverstone
30 giri e scherzi con Surtees

Su due Ducati stradali Vale ha scoperto il tracciato, in una cerimonia con tanti campioni, delle 2 e 4 ruote, di ieri e oggi. "Mi è piaciuta, pista tecnica e impegnativa. John mi ha detto che correva qui negli Anni 50 e io gli ho risposto che a quei tempi non seguivo le gare.."

Valentino Rossi festeggia il terzo posto di Le Mans. Ap
Valentino Rossi festeggia il terzo posto di Le Mans. Ap
SILVERSTONE (Gran Bretagna), 17 maggio 2011 - Valentino Rossi protagonista in pista a Silverstone su una Ducati. Solo che non si trattava di una competizione e la moto non era la Desmosedici con cui è arrivato terzo domenica a Le Mans. Il pesarese, infatti, è stato presente, insieme a tanti altri campioni, delle due e quattro ruote, di oggi e di ieri, alla cerimonia di inaugurazione delle nuove strutture della pista inglese, la Silverstone "Wing”, come è chiamata la moderna ala della pista inglese, comprendente box spaziosi, sala stampa, uffici e auditorium.
antipasto per il 12 giugno — Solo un antipasto, di quello che si vedrà il 12 giugno, quando Silverstone ospiterà la sesta gara del mondiale 2011. Rossi, che nel 2010 non ha partecipato al GP sulla pista inglese, perché infortunato, ha colto l’occasione per fare qualche giro, prima con una 1198 Superbike, poi con una 1198 stradale standard con tanto di targa e specchietti. Una trentina di giri in tutto, che hanno stimolato il pilota italiano.
Valentino Rossi con John Surtees a Silverstone. Reuters
Valentino Rossi con John Surtees a Silverstone. Reuters
vale divertito — “Mi sono molto divertito - ha detto Vale - perché dopo qualche giro con la 1198 Superbike, abbiamo avuto un problema elettrico e abbiamo deciso di usare una 1198 stradale che ci ha portato al volo la filiale inglese di Ducati. Mi è piaciuto molto guidarla qui, su una pista bella, difficile, molto tecnica, impegnativa, con sezioni molto veloci, dove le traiettorie giuste sono importanti, e altre molto strette dove si deve avere un buon grip in accelerazione. La prima curva è completamente cieca, devi tenere una linea molto precisa, ma tutta la prima parte è grandiosa, è quella che preferisco. Mi sono divertito, anche perché c’erano tanti piloti che hanno fatto la storia dei motori, come John Surtees che mi ha detto che qui ci ha corso negli Anni 50. Io allora non le seguivo le gare - ha chiuso scherzando Vale -, ma lui è stato grande”. Alla giornata hanno partecipato, fra gli altri, i piloti di F.1 Webber e Button, il team principal Mercedes, Ross Brawn e James Toseland, Jackie Stewart, Nigel Mansell, Stirling Moss, John Surtees e Randy Mamola.
Gasport© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Energia, l'efficienza conviene
Google fa scuola alle aziende

Il colosso di Mountain View chiama a raccolta i responsabili dei data center di mezzo mondo per spiegare come si possa risparmiare e contemporaneamente fare bene all'ambiente: grazie a pochi accorgimenti "da massaia" di VALERIO GUALERZI

ZURIGO - L'efficienza energetica prima ancora che di tecnologie sofisticate e grandi investimenti è un fatto di consapevolezza e gesti banali. Un'affermazione che forse a molti può apparire scontata, ma le cose cambiano se a sostenerla è un colosso mondiale dell'economia e del high-tech come Google. Sorpresa lei per prima da come sia facile e conveniente risparmiare in bolletta, l'azienda americana ha deciso di diffondere questa scoperta a un pubblico più vasto possibile, chiamando a raccolta oggi a Zurigo i responsabili dei data center di mezzo mondo. Il messaggio è chiaro e diretto: "There is no magic in efficiency", ovvero "non c'è nulla di magico nell'efficienza energetica".

Stando alle ultime stime, complessivamente il settore dell'information technology è responsabile di circa il 2% delle emissioni globali di gas serra e di questo 2% una quota compresa tra il 14 e il 18% è dovuto all'enorme consumo di energia richiesto per far funzionare i centri elaborazione dati e tenerli al fresco, evitando che si surriscaldino. Bestioni che possono arrivare a succhiare fino a 10 MW per gestire le richieste a un motore di ricerca, il trading online o l'e-commerce e che generalmente hanno una PUE (power usage effectiveness) intorno a 2. Tradotto da questa speciale unità di misura creata appositamente dal consorzio internazionale Green Grid per calcolare l'efficienza energetica dei data center, significa che circa il 20% di elettricità che assorbono dalla rete viene sprecata
per utilizzi (raffreddamento e illuminazione dell'ambiente, ad esempio) che non hanno nulla a che fare con i loro compiti "istituzionali".

 "Siamo partiti dai piccoli DC che utilizziamo non per il motore di ricerca ma nei nostri uffici", spiega alla platea di Zurigo Joe Kava, Direttore delle "data center operations" di Google. "Abbiamo scoperto che eravamo ad una PUE di circa 2,4, la situazione era assolutamente fuori controllo. Nel giro di pochi mesi  -  ricorda - grazie ad investimenti per appena 25 mila dollari siamo attorno e 1,5, il che ci fa risparmiare 67 mila dollari l'anno". "Ebbene - dice ancora Kava  -  sapete quali sono stati gli interventi più importanti? Montare delle tende di plexiglass come quelle delle macellerie dei supermercati intorno alle pile di server e puntare i bocchettoni dell'aria condizionata nella giusta direzione. Per questo vi dico che non bisogna essere un gigante della tecnologia per migliorare l'efficienza, tagliando drasticamente la bolletta".

Urs Hoelzle, vicepresidente senior di Google, incontrando i giornalisti ai margini del "Data Summit" rende il concetto ancora più chiaro: "Si può fare la stessa cosa su qualsiasi scala di grandezza, anzi penso che sia pazzesco non farlo. Eppure la maggior parte delle aziende che gestiscono dei data center non lo fanno. Sono convinte che sia difficile e costoso, ma non si rendono conto di quanto spendono veramente in elettricità e di quanto sia semplice risparmiare. Noi come impresa leader sentiamo la responsabilità di rendere più aziende possibile partecipi di questa nostra scoperta".

Il fatto che molto possa essere ottenuto praticamente a costo zero con accorgimenti "da massaia" non significa che Google non sia al lavoro per trovare soluzioni più radicali e spettacolari. L'incontro di Zurigo è stato quindi occasione per illustrare i progressi compiuti nella realizzazione dell'avveniristico data center di Hamina, in Finlandia. In una vecchia cartiera degli anni '50 in riva al Baltico, entro la fine dell'anno dovrebbe entrare in funzione un innovativo sistema di raffreddamento ad acqua marina a bassissimo impatto ambientale e ridottissimi consumi energetici. Un gioiello costato circa 200 milioni di euro che si va ad aggiungere ai data center di minori dimensioni che già oggi in Belgio e Irlanda utilizzano rispettivamente l'acqua di un canale di scolo e l'aria esterna per tenere i computer al fresco.
 
(24 maggio 2011)
 
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Nucleare, come sopravvivere a un disastro
Quattro ragazzi si sono chiusi in un bunker 11 giorni fa e ci resteranno fino al 12 giugno, per andare a votare 'sì' al referendum. Sperimentano come sarebbe la vita in un bunker dopo un disastro atomico. Alice, Luca, Alessandra e Silvio: "I nostri modelli siamo noi, dobbiamo lottare per il quorum"
Sono chiusi in un appartamento di 70 metri quadri fuori Roma da 11 giorni, e ci rimarranno fino al 12 giugno, quando lasceranno la casa per votare “sì” al referendum abrogativo sul nucleare. Sono quattro ventenni: Alice, Alessandra, Luca e Silvio. Sperimentano la vita in un bunker dopo un incidente nucleare, senza concedersi deroghe: le finestre sono sigillate col silicone, davanti ai vetri i nastri bianchi e rossi indicano le zone off limit (cioè l’aria aperta), mangiano solo prodotti in scatoletta e l’acqua imbottigliata non la usano solo per bere, ma anche per lavarsi i denti e per l’igiene personale. Per entrare nel bunker si seguono le procedure del “protocollo di protezione” diffuso dopo l’incidente nucleare di Fukushima, in Giappone. Bisogna indossare una tuta bianca che copre tutto il corpo, testa inclusa. Poi una mascherina sul volto e dei copri scarpe. Ci apre la porta Silvio, 22 anni, con la maschera d’ossigeno sulla faccia, e ci misura la radioattività prima di lasciarci accedere al salotto dove i quattro vivono e lavorano. Alle pareti i simboli “peace and love” e fiori che escono da bidoni gialli e neri di “scorie radioattive”.

Superato l’esame ci si libera della tuta anche se – spiegano – bisognerebbe fare la doccia e cambiarsi i vestiti. La prima cosa che si nota è l’aria pesante, satura, l’odore dei piedi e dei corpi che resta impregnato nei divani e nei letti a castello. Prima erano in sette, ma tre di loro hanno dovuto abbandonare il progetto perché i datori di lavoro non li avrebbero aspettati ancora. “Anche per noi che studiamo – racconta Alessandra, 21 anni, studentessa di Psicologia all’Università di Bari – è difficile. Pensavamo di avere molto tempo a disposizione, ma non è così”.

La giornata inizia alle 9 del mattino, tranne che per l’addetto alla pulizia dei bagni, che deve aver finito prima di colazione. Si suddividono i compiti della giornata: c’è chi risponde alle mail, chi scrive il blog, chi aggiorna il sito. A mezzogiorno si comincia a cucinare e all’una si pranza. Il pomeriggio è dedicato ai video messaggi che i ragazzi registrano parlando di nucleare e non solo: della vita da reclusi, della fatica ad addormentarsi, della difficoltà di convivere. Di chi fuma e deve smettere perché agli altri dà fastidio. Anche perché l’idea non è nata da un gruppo di amici, ma da attivisti che si sono trovati e uniti anche se si conoscevano poco. Grazie a Greenpeace che ha fornito loro la casa, il server e un supporto tecnico al loro sito (www.ipazzisietevoi.org) stanno riuscendo ad attirare l’attenzione su un referendum che è sempre più ai margini del dibattito pubblico, oscurato dalle elezioni amministrative. “Fallire non è un’opzione – dice Silvio, il più combattivo del gruppo – se non raggiungiamo il quorum invadiamo le piazze e scuotiamo i palazzi del potere, perché non passeremo il nostro futuro rinchiusi in bunker come questo”.

E poi, aggiunge Alice, “ora sappiamo che non è successo nulla: tutti noi abbiamo fidanzati con cui parliamo al telefono, le nostre famiglie sono sane e ci confortano. Ma come ci sentiremmo, se ci fosse davvero un incidente, a stare sigillati qui sapendo che fuori il mondo muore?”. Alice, 26 anni, per far parte del gruppo ha messo in stand by la sua tesi di laurea in Scienze della comunicazione sociale e alcuni lavori part-time. Lei è quella che subisce di più le critiche sul blog: “Siete come il Grande Fratello”, “Volete solo farvi notare”. E spiega: “Siamo in onda 24 ore al giorno, è vero. Ma lo facciamo solo per dimostrare che non abbandoniamo mai la casa: infatti non c’è l’audio nello streaming”. Luca, l’unico che supera (di poco) i trent’anni, è anche il solo a essersi licenziato per protestare contro il nucleare: “Sono un ingegnere ambientale, sono bravo. Credo che ritroverò il mio posto di lavoro, anche se so che il rischio di rimanere a terra c’è. Ma questa causa è più importante di me”. Ed è più importante delle scatolette di tonno, di pomodori pelati, di carne, della granita in freezer e del tavolino di plastica che stanno costruendo con le bottigliette rimaste dalla raccolta differenziata (una volta alla settimana, per buttare l’immondizia, possono aprire la porta). È una questione di diritti, e della capacità di quattro ragazzi di farsi sentire anche da chi del nucleare e delle sue conseguenze si disinteressa: “Perché il nostro modello non è Di Pietro e nemmeno Celentano: siamo noi”.

Da Il Fatto Quotidiano del 24 maggio 2011

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