domenica 1 maggio 2011

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Quella fotografia che ha messo B. nei guai
Quando il Caimano inseguiva miss col camper di Telemilano 58 e fu fotografato da Mauro Vallinotto. Uno dei primi a ritrarre il "Dottore", insieme a Evaristo Fusar e Alberto Roveri
“Senta Evaristo, ci verrebbe questo fine settimana, ad Arcore, a fotografarmi?”. Evaristo Fusar oggi ha 77 anni. Ne aveva 34 nel 1977, quando arriva quella telefonata, cortese ma insistente, da un giovane imprenditore in ascesa, che gli domanda un servizio su di sé. Tutto poteva immaginare tranne che quelle foto le avrebbe fatte, malgrado all’inizio fosse perplesso. E che sarebbero rimaste negli annali come i primi ritratti posati di Silvio Berlusconi (oggi valgono più di uno scoop di paparazzi su Belén Rodriguez). E poi che lui, con “il Dottore” (così si faceva chiamare) avrebbe stretto un rapporto decennale. Alla fine, l’incredibile collaborazione che sta per raccontarmi si concluderà con una proposta di assunzione prendere o lasciare: “Lasci tutto e venga alla Mondadori”. Proposta rifiutata anche se economicamente allettante, per innato spirito di indipendenza del destinatario.

Alberto Roveri, invece, entra negli uffici della Edilnord nel 1977. È ormai giunto alla fine del suo servizio quando, mentre sta riponendo con cura gli obiettivi nella sua borsa di pelle, guarda ancora per una volta il numero uno della società immobiliare. Non sa bene perché, ma – a un tratto – gli sembra di poter immortalare un’inquadratura diversa dalle altre, una luce particolare che prima non aveva. Allora riprende la macchina, la impugna, segue un impulso istintivo e gli dice: “Dottore, mi lascia fare un altro paio di scatti?”. Il diaframma corre veloce, click, click, click. “Ci credi? Della presenza della pistola – racconta oggi divertito – mi sono accorto solo 30 anni dopo”. Un altro scatto che vale oro.

Mauro Vallinotto “il dottore” lo aveva già conosciuto, e mi racconterà anche lui come. Ma resta folgorato dalla sua apparizione a Viareggio, al concorso di Miss Italia del 1979: “Era sbarcato in riviera con un camper attrezzato con tanto di letto matrimoniale e due operatori al seguito, per filmare la finale di Miss Italia. Rimasi stupito del fatto che un imprenditore come lui facesse il cronista. In una delle pause – racconta Vallinotto – incuriosito per la scena, seguendo un impulso, scattai una foto che oggi pare innocente: Berlusconi era seduto, accanto alle aspiranti miss, e scherzava con le ragazze. Quando sentii l’otturatore che scattava non potevo certo immaginare che, proprio per via di quella foto, mi avrebbe urlato addosso, in pubblico, furibondo: ‘Vergogna! Mi hai rovinato la vita, mascalzone!’”.

Né il colloquio di Fusar, né la pistola immortalata da Roveri, e nemmeno “il camper abborda-miss” sono elementi casuali. L’ingresso nella villa di Arcore per Silvio Berlusconi è di più di un trasloco, l’anno zero della sua biografia, il punto di ripartenza di una palingenesi pubblica e privata. È – per essere più precisi – il momento in cui riesce ad avviare un lungo e meticoloso processo di edificazione della propria immagine. Dagli scatti di gioventù, ridenti e fuggitivi, talvolta rubati o d’occasione, il fondatore di Mediaset sta passando al ritratto posato, alla costruzione scientifica del proprio immaginario. Passa in quell’anno dal tempo dell’azione a quello della prosa plasmando, ex novo, un personaggio e un immaginario fondati su un ingrediente fondamentale: se stesso.

È dunque quasi normale che il futuro imprenditore catodico si metta in cerca di talenti che possano documentare il suo prodigioso salto di censo, raccontando il suo nuovo romanzo di formazione. Da questo momento in poi, l’iconografia ufficiale del berlusconismo non consentirà più gli sguardi birichini del chansonnier giramondo, non ritrarrà mai il giovane arrampicatore sociale con mustacchi e capelloni lunghi, o il giovanotto con la pipa pretenziosa e il sorriso ironico, ma solo l’imprenditore (aspirante) statista, il clone semiludico del duro da cinema americano, il sovrano regnante che intorno alla dimora nobiliare strappata ai Casati ha edificato il proprio regno. Sull’iconografia berlusconiana ha scritto un bellissimo libro Marco Belpoliti (Il Corpo del capo). Un libro che ha avuto una storia travagliata, dal momento che l’editore abituale del saggista, l’Einaudi (di proprietà Mondadori) aveva rifiutato di pubblicare il testo (poi uscito per Guanda). Ne Il Corpo del capo Belpoliti raccoglieva un’antologia delle foto che avevano costruito il culto del sovrano di Arcore, l’iconografia del capo predestinato. Manca una cosa che per un filosofo non ha senso, ma che per un giornalista è essenziale. Cercare gli autori di quei servizi e fargli raccontare “il giovane” Berlusconi. Così ho rintracciato i tre primi ritrattisti del sovrano per chiedere cosa ricordassero. Con Fusar, Berlusconi prospetta un’assunzione, chiede ritocchi sul naso di cui si lamenta persino con Montanelli (“È un grande fotografo, ma con la mattina non ci sa fare”), rivela che il suo modello è Reagan. Da Roveri si fa immortalare davanti al plastico di Milano 2, posa come lo zio Sam e chiede una pausa tra un servizio e l’altro dicendo: “Chiamo l’estetista e mi faccio il manicure”.

Ma è Vallinotto che ha il ricordo più stupefacente. Incrocia una prima volta Silvio Berlusconi a Milano, nel 1976. Lui è un collaboratore fisso dell’Espresso, quello è il costruttore di Milano 2. Ha appena 22 anni, ma è già un fotografo di moda affermato: “Alcune modelle mi parlano di questo imprenditore che fa delle feste animate, invita molte ragazze e ad alcune mette addirittura a disposizione degli appartamenti a Milano 2”. Mentre mi racconta questo particolare, ovviamente, rimango per un attimo di stucco e Vallinotto sorride: “No, no, ha capito bene: non è che mi sono confuso con il Bunga Bunga. È proprio quello che mi dissero di lui, nel lontano 1976, delle fanciulle che oggi definirei cloni della Carfagna. Ovvio che mi incuriosissi, no?”. In un’occasione i due si incontrano in una serata milanese, il giovane Vallinotto resta a sentire. Il suo sesto senso, non solo professionale, gli dice che con l’uomo di Milano 2 si rivedrà presto. Due anni più tardi il fotografo è alla presentazione di una minuscola tv via cavo che si sta trasformando in emittente privata. Nel 1979 Vallinotto, seguendo le piste delle sue modelle milanesi approda a Viareggio, per la finale di Miss Italia. “Mi vedo arrivare Berlusconi, a bordo di un pullman marchiato Telemilano 58”. Rimane doppiamente stupito. “Non trovavo strano solo che facesse interviste di persona. Ma anche che a un certo punto, riconoscendomi, mi aveva detto: ‘Scusi Vallinotto. Ho visto che ha scattato. Mi perdoni, le sembrerà una sciocchezza, ma devo chiederle se me le può cedere’”. Berlusconi incalza: “Posso dirle una cosa da uomo a uomo? Mia moglie non sa che io sono qui, mi capisce?”. Vallinotto, che ha fotografato anche il camper con cuccetta e lettino ricoperto di pelle nera (e una tv incassata in una parete), ci rimugina. “Ma se Berlusconi faceva le interviste e le mandava in onda, come poteva poi dire alla moglie di non essere stato al concorso?”.

Ipotizza che sia una scusa per mettere le mani sugli scatti. La cosa non gli piace, rifiuta. Le foto vengono comprate e pubblicate. Non succede nulla e Vallinotto dimentica dell’episodio. Ma, 15 giorni dopo, quando si ritrova alla finale del Campiello succede l’imponderabile. Una sagoma si stacca dalla platea e inveisce contro di lui: “Lui, incazzatissimo. Fuori di sé. Gridava: ‘Sei una carogna! Mi hai rovinato la vita! Per colpa tua mia moglie vuole divorziare!’. Io non rispondevo. Ma Berlusconi mi era addosso, agitava le mani sempre più minaccioso”. Non finisce con una rissa solo perché interviene, provvidenziale, un imprenditore di successo. “Una sagoma si interpose fra me e lui – ricorda oggi Vallinotto – Vittorio Merloni. Lo placcò come sui campi di rugby: ‘Silvio, lascia perdere! Non vedi che ci stanno guardando tutti? Non dargli questa soddisfazione, dai!’”. Fine di un matrimonio, nascita di un mito.

da il Fatto Quotidiano del 30 aprile 201
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FOTOVOLTAICO

Guerra Romani-Prestigiacomo
"Quella matta mi fa incazzare"

Davanti a una platea di imprenditori brianzoli il ministro dello Sviluppo attacca la collega dell'Ambiente per i ritardi nel nuovo decreto sugli incentivi. "Vorrebbe l'autocertificazione, ma l'Italia non è tutta come la Lombardia". Replica risentita del Pdl La Loggia di VALERIO GUALERZI

ROMA - Le agenzie di stampa, dando conto ieri dell'ennesimo rinvio nell'approvazione del decreto sul quarto conto energia, parlavano eufemisticamente di "contrasti" tra il ministro dello Sviluppo Economico Paolo Romani e quello dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo. La realtà, come testimonia il video in esclusiva su Repubblica.it dell'intervento svolto da Romani a un convegno sulle "prospettive di sviluppo per le aziende brianzole" organizzato a Giussano dal mobilifico Tissettanta, è che tra i due membri del governo è in atto una battaglia feroce. 

GUARDA IL VIDEO (esclusiva Repubblica.it) 1

Illustrando alla platea il motivo del contendere tra i due dicasteri, il titolare dello Sviluppo Economico non usa certo giri di parole per fotografare la situazione. "Se quella matta della Prestigiacomo non mi fa incazzare ancora oggi...Lo dico perché sono un po' arrabbiato, veramente, non ci ho dormito la notte...", afferma Romani alzando il tono della voce.

Il varo del quarto conto energia si è reso necessario nel marzo scorso, quando, a sorpresa, ad appena poche settimane dall'entrata in vigore del nuovo regime di incentivazione per il fotovoltaico, Romani ha fatto licenziare da Palazzo Chigi il decreto " ammazza rinnovabili 2" che ha rimesso tutto in discussione. Il vecchio sistema di aiuti all'energia solare cessa quindi di avere validità a fine maggio, mentre a stabilire le regole per il futuro dovrebbe essere appunto un nuovo provvedimento. Romani, seguito a ruota dalla Prestigiacomo, dopo una clamorosa ondata di proteste 3 e prese di posizione, aveva promesso quanto meno che i tempi sarebbero stati brevi per evitare di lasciare nell'incertezza un settore produttivo che calcolando anche l'indotto conta oggi su oltre 100 mila addetti. "Sarà pronto entro il 20 marzo", aveva garantito.

In realtà, ad oggi, il quarto conto energia è ancora nel cassetto e le bozze discusse sin qui continuano a suscitare critiche e disappunto da parte sia delle Regioni 4 che delle associazioni di categoria. I motivi dei ritardi sono naturalmente molti e l'incentivazione delle energie rinnovabili non è certo una priorità di questo governo, ma ad un'ostilità di fondo si è aggiunta ora anche una profonda rottura tra i due ministri competenti.

A spiegare il motivo dello scontro è stato lo stesso Romani nel suo intervento al convegno di Tisettanta. Davanti alla prospettiva di riduzioni graduali nell'incentivazione del fotovoltaico, il ministero dello Sviluppo Economico pretende che il calcolo per il tipo di tariffa a cui si ha diritto venga calcolata in base alla data di allaccio alla rete. Di contro, spiega ancora Romani riferendosi alla Prestigiacomo, "qualche estremista vorrebbe che l'incentivo venisse fermato al momento in cui io mi autocertifico la conclusione dei lavori". "Mi stanno rompendo le palle", aggiunge poco dopo. Una posizione, quella del MSE, in teoria sensata, ma che non tiene conto del fatto che gli imprenditori onesti rischiano di vedere messo a repentaglio dai ritardi della burocrazia necessaria all'allaccio in rete anche un investimento fatto nei tempi giusti.

Un problema che evidentemente per Romani non esiste, mentre apparentemente la priorità è scongiurare le false dichiarazioni di fine lavori. "Dell'autocertificazione consentitemi di dubitarne, non in Lombardia per l'amor di Dio, ma in qualche altra parte d'Italia qualche dubbio sull'autocertificazione ce l'ho...", dice il ministro alla platea brianzola senza nascondere un certo razzismo verso il Mezzogiorno. Parole poco edificanti per un ministro della Repubblica, che assumomo un valore ancor più grave perché lasciano spazio a congetture sull'esistenza di qualche sospetto sulla posizione della Prestigiacomo visto che probabilmente tra le "altre parti d'Italia" accennate da Romani c'è proprio la Sicilia, terra d'origine e collegio elettorale della collega dell'Ambiente. 


Le scuse di Romani. Dallo staff del ministro si fa sapere che quelle utilizzate da Romani sono "espressioni colorite", visto che i rapporti fra i due colleghi "sono ottimi". Non si tratta quindi "assolutamente di un attacco personale". Poi, in serata, si sente in dovere di intervenire lo stesso ministro. "Si tratta - si difende - di dichiarazioni estrapolate da un contesto conviviale, derivate dall'intenso e aperto confronto sul decreto per il fotovoltaico con il ministro Prestigiacomo. Sono rammaricato per quanto accaduto e, soprattutto, per la conseguente strumentalizzazione mediatica da parte di alcuni. Non viene messa in discussione in alcun modo la stima, personale e professionale, che ho nei confronti del ministro Prestigiacomo".

Le reazioni. Scuse che non sono bastate però a placare la bufera. Lo sfogo del ministro è commentato con durezza non solo dall'opposizione, ma dalla stessa maggioranza. "Sono stupefatto e incredulo - replica il parlamentare siciliano del Pdl Enrico La Loggia - Se venissero confermate le parole di Romani ci troveremmo nell'inaccettabile situazione di distinguere gli imprenditori onesti o disonesti a seconda della regione di appartenenza".

Critiche anche dal Pd e da Idv. "Ancora una volta sono divisi su tutto: l'ennesima lite di ordinaria follia del governo, che oggi vede un furibondo ministro Romani scatenarsi contro la collega Prestigiacomo, altro non fa che aggravare i problemi di un Paese che ormai è sempre più senza guida in nessun settore", dice la responsabile Ambiente dei democratici Stella Bianchi.  "Quella di Romani e Prestigiacomo - prosegue - è una divisione molto grave perché mette a rischio centomila lavoratori in un settore strategico per il futuro del Paese, che era cresciuto nonostante la crisi per poi essere paralizzato dal decreto Romani".  Rincara la dose Antonio Borghesi, dell'Idv: "Ormai siamo agli stracci in faccia su tutto, dalla Libia alle rinnovabili. La lite odierna tra il è l'immagine perfetta di un governo e di una maggioranza che non esistono più, lacerati e spaccati su tutto e incapaci di trovare il bandolo della matassa in qualsiasi settore".
(30 aprile 2011)
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LA POLEMICA

Il segreto del Gps, così aiuta la polizia
i dati usati per piazzare gli autovelox

La TomTom in Olanda ha venduto le informazioni al governo. L'amministratore italiano: "Ora cambieremo i contratti: nessuna cessione a terzi"

di JAIME D'ALESSANDRO LE SCUSE cominciano con un'autodifesa: «Chiediamo sempre il permesso ai nostri clienti prima di raccogliere dati attraverso i loro navigatori». La olandese TomTom, che da anni domina il settore dei dispositivi gps, cerca così di mitigare la propria incredibile leggerezza.

 Ultima di una lunga serie commesse da giganti della tecnologia e legate all'utilizzo poco ortodosso di informazioni sensibili sulle abitudini dei consumatori. I fatti: il quotidiano Algemeen Dagblad ha scoperto che la polizia olandese sta sfruttando i dati forniti al governo dalla TomTom per piazzare gli autovelox lì dove i limiti di velocità sono più frequentemente violati. E questo, ovviamente, ha fatto infuriare gli automobilisti. Perché sono informazioni che loro stessi hanno fornito di fatto inconsapevolmente usando il navigatore e che la TomTom poi adopera per dare ai propri clienti in tempo reale un quadro esatto della situazione del traffico.

Peccato che l'azienda abbia anche venduto quegli stessi dati ad istituzioni olandesi e che la polizia li sfrutti per far cassa attraverso le multe. «Siamo venuti a sapere solo ora che la polizia ha usato le nostre informazioni in questa maniera», si è giustificato Harold Godjin, amministratore delegato della TomTom. «E non ci piace perché non piace ai nostri clienti».

Ma la frittata ormai è fatta e i sospetti aumentano. Secondo il Financial Times, la compagnia olandese per fronteggiare il calo delle vendite dei navigatori, sta puntando proprio sulla vendita di servizi che vanno dalle semplici mappe al dettaglio sul traffico. Business che già oggi vale il 36 per cento dei ricavi della TomTom. Ma i diretti interessati qui da noi minimizzano. I guadagni derivanti dalla vendita di database ad enti pubblici sarebbero parte marginale di quel 36 per cento.

«Riguardo l'Italia poi, nessuno nell'amministrazione pubblica sta utilizzando dati del genere», rassicura Luca Tammaccaro, a capo della TomTom Italia. In ogni caso d'ora in poi non sarà più possibile che una cosa simile accada, dato che tutti i contratti verranno modificati in modo che le informazioni non possano più essere cedute a terzi. «I nostri servizi hanno successo proprio perché si basano sulle informazioni prodotte dagli stessi utenti», continua Tammaccaro. «Informazioni che possono essere rese disponibili in forma anonima agli enti con i quali collaboriamo allo scopo di migliorare i flussi di traffico, la sicurezza, dunque la vita dei cittadini».

Il problema è proprio questo. I servizi avanzati di "geolocalizzazione" legati agli smartphone come ai navigatori, cominciano ad usare quantità sempre maggiori di dati sui consumatori. Più ne hanno, più diventano precisi, utili, efficienti, perfino rivoluzionari. Ma ciò significa che da qualche parte si sta formando una fotografia ad alta definizione delle nostre abitudini che potrebbe finire in mani sbagliate.

Dieci giorni fa si è scoperto ad esempio che l'iPhone conserva traccia dei nostri spostamenti e che quell'archivio è facilmente accessibile, mentre nello stesso periodo due milioni di profili degli utenti del PlayStation Network della Sony sono stati rubati e messi in vendita online. Considerando la diffusione dei cellulari avanzati, ne verranno venduti 500 milioni quest'anno, è facile prevedere che questioni del genere diventeranno centrali. Insomma, di leggerezze come quella commessa dalla TomTom e dalla Apple probabilmente ne vedremo molte altre.
 
(30 aprile 2011)

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