sabato 11 giugno 2011

dai dai.....

Con l'oro blu in mano ai privati
tariffe più alte e stessa efficienza

Due riforme in quindici anni ci hanno lasciato in eredità un sistema idrico pieno di falle. Per farlo funzionare servono 64 miliardi di investimenti, ma il mercato non è sinonimo di sviluppo di ETTORE LIVINI

Due italiani su dieci non hanno le fogne. Dai rubinetti del sud, in un caso su due, esce acqua non depurata. E i 300mila chilometri di tubi che trasportano l'oro blu alle case tricolori perdono per strada (dice il Censis) il 47% del prezioso liquido che raccolgono alle sorgenti. Si può votare sì o no. Sostenere che l'acqua è bene comune inalienabile o che per farla funzionare bene - vista l'inefficienza del pubblico - è meglio affidarla ai privati. Una cosa però è certa: due riforme (incompiute) in 15 anni, prima la legge Galli e poi il decreto Ronchi, ci hanno lasciato in eredità un sistema idrico pieno di falle. Per farlo funzionare servono (stima Utilitatis) 64 miliardi di investimenti nei prossimi 30 anni. Che qualcuno - Stato o mercato - dovrà mettere sul tavolo.

Cosa succederà consegnando nelle mani dei privati - ancorché sorvegliati da un'authority fresca di nomina - la gestione (proprietà e reti rimarranno pubbliche) di questa montagna d'oro e del ricco business delle bollette? Qualche parziale risposta ce la dà la storia dei primi 15 anni di semi-liberalizzazione degli acquedotti tricolori. Un esercizio che consente di far piazza pulita di qualche luogo comune e spiegare, cifre alla mano, cosa potrebbe capitare al servizio idrico e alle nostre bollette una volta traghettati del tutto nel mondo del profitto.

Il pubblico non funziona. Falso (almeno in parte). L'acqua italiana è ancora in buona parte in mano agli enti locali - 54 Ambiti territoriali ottimali (Ato) su 92, più altri 13 affidati a multiutility a forte presenza pubblica - e nel mazzo c'è di tutto. Enti inefficienti trasformati in poltronifici e macchine da voti sul territorio. Ma anche aziende che funzionano come orologi: Milano ha l'acqua (pubblica) meno cara d'Italia e perde dai tubi 11 litri su 100, livelli quasi tedeschi. L'Acquedotto pugliese, una volta simbolo della malagestio degli enti locali, è diventato oggi un'azienda sana che investe, promossa a più riprese persino dalle arcigne agenzie di rating. La Smat di Torino è uscita alla grande da uno studio comparativo sull'efficienza pubblico-privato dell'Istituto Bruno Leoni, think tank iper-liberista. Tra i privati (basta chiedere ai cittadini di Agrigento) ci sono gestioni che faticano ancora a portare l'acqua ai rubinetti tutti i giorni della settimana. E in fondo persino Parigi e Berlino, dopo aver provato sulla loro pelle gioie e dolori dell'acqua privata, hanno deciso di fare marcia indietro rimettendo le mani sulla gestione dei loro acquedotti.

Tariffe più alte con i privati. Vero. Ma con una parziale spiegazione. Dal 2002 al 2010, con lo sbarco del mercato negli acquedotti, le bollette degli italiani sono cresciute del 65%. Nove anni fa ogni italiano pagava in media 182 euro l'anno, oggi siamo a 301. Colpa della privatizzazione? A guardare la classifica delle città più costose, verrebbe da dire di sì: 21 dei 25 Ato più cari d'Italia sono in mano a privati o in gestione mista. I cittadini di Latina lamentano aumenti fino al 3000% dopo il parziale ritiro del pubblico, rialzi a tre cifre si sono registrati anche in Liguria e Toscana. Un'enormità.
La ragione, sostengono i diretti interessati, è semplice: le bollette più alte sono quelle che scontano i maggiori investimenti. I privati ne mandano in porto in media l'87% di quelli previsti (che però faticano a tradursi in reali recuperi d'efficienza, dice il Forum dei movimenti per l'acqua). Il pubblico molto meno del 50%. Un po' perché mancano i fondi, ma pure per evitare impopolari aumenti delle bollette. Il saldo dare/avere dei primi 15 anni di liberalizzazione idrica è però sconfortante: negli anni '90 l'Italia dell'acqua pubblica - all'epoca pagava Pantalone, alias lo Stato, attraverso la fiscalità - investiva ogni anno 2 miliardi sui suoi acquedotti. Oggi siamo scesi a 700 milioni.

Il nodo di investimenti e controlli. Da dove arriveranno allora i 64 miliardi necessari per rimettere in sesto i tubi d'Italia? Pubblico o privato, meglio rassegnarsi: lo Stato, calcola il Censis, sarà in grado di mettere sul piatto circa il 14% di questa cifra. Il resto, se si vorrà spenderlo, dovrà arrivare dalle tasche della collettività. Solo i lavori previsti tra il 2011 e il 2020, calcola Utilitatis, le faranno salire del 18% portandole comunque, assicura l'organizzazione delle utility nazionali, ben al di sotto della media dei prezzi pagati nel resto d'Europa. I privati scaricheranno i costi sull'utente finale. Comuni o enti locali - già oggi in condizioni finanziarie da incubo - potranno al limite tagliare investimenti altrove o finanziarsi su altre voci del bilancio pubblico. Alla fine però il conto lo salderanno sempre i cittadini.
Chi controllerà il mercato dell'acqua che uscirà dal referendum? Per vegliare sul settore è stata appena creata - con colpevole ritardo - un'authority. I cui poteri però sono ancora in buona parte da definire. Il problema - vista la stretta correlazione tra quantità e bontà degli investimenti e aumenti delle bollette - sarà di dotarla degli strumenti necessari per una reale attività di supervisione. La torta in ballo vale 64 miliardi e ha scatenato l'appetito di molti profeti (non proprio disinteressati) del libero mercato. E visti i risultati, anche tariffari, delle privatizzazioni degli altri monopoli naturali italiani, non c'è da essere troppo ottimisti.
(10 giugno 2011)
 
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Nucleare, problema globale
Ma ogni stato risponde a modo suo 

Le singole amministrazioni mancano di una strategia condivisa per fronteggiare i rischi di incidenti atomici. Molti, a cominciare dalla Russia, chiedono che vengano delimitati dei criteri comuni a livello globale, ma i pochi sono disposti ad accettare ingerenze esterne
Quando si verifica un incidente in una centrale nucleare i confini servono a ben poco. Le particelle radioattive si liberano nell’aria, inquinano la terra e le acque. I venti le spingono a migliaia di chilometri di distanza dal luogo in cui si sono liberate. La fuga radioattiva diventa un problema globale: delle città, dei villaggi, delle nazioni confinanti, dell’intero pianeta. Al contrario, le procedure di monitoraggio per evitare nuovi incidenti sono in larga parte un affare nazionale. E continueranno ad esserlo per lungo tempo. E’ quello che sostiene un lungo approfondimento pubblicato martedì dal Financial Times. “L’industria del nucleare deve riassicurare le persone che gli errori di Fukushima non si ripeteranno”, scrive Ft, “ma anche che i sistemi e le procedure di controllo minimizzeranno il rischio di un’altra catastrofe, causata da altri fattori in un’altra parte del mondo”. Ed è proprio su questo secondo aspetto che iniziano i problemi. “Analisi recenti sulla sicurezza nucleare hanno messo in evidenza le debolezze di una serie di impianti in tutto il mondo”, continua Ft. Negli Stati Uniti, la Nuclear Regulatory Commission (NRC, commissione governativa per la regolamentazione del nucleare) ha condotto una “rapida valutazione” dei 65 reattori attualmente funzionanti negli USA e ha scoperto che almeno dodici siti avrebbero degli “issues”, dei problemi nei sistemi di sicurezza.

“Storicamente l’industria nucleare è sempre stata brava ad individuare i problemi, ipotizzando le possibili soluzioni, ma è stata molto meno preparata a mettere in atto le procedure necessarie per risolvere gli stessi problemi”, ha dichiarato a Ft Dave Lochbaum, ex funzionario della NRC e oggi attivista del gruppo ambientalista “Union of Concerned Scientists” (unione degli scienziati preoccupati), un comitato indipendente di circa 100 scienziati, tra cui 20 premi Nobel. Le cose si complicano poi a livello nazionale, dove ogni paese segue la sua strada. Pierre Gadonneix, ex amministratore delegato della francese Edf e presidente dell’associazione imprenditoriale World Energy Council, non usa mezzi termini: la situazione attuale, in cui la IAEA – Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica – invia raccomandazioni ai diversi paesi, che rimangono però i responsabili finali delle politiche di sicurezza, genererebbe “troppe differenze tra i diversi paesi”. E quindi, nel lungo periodo, sarebbe necessario promuovere “un livello di governance sovranazionale”. La Russia ha recentemente chiesto che gli standard della IAEA siano resi obbligatori. Ma i diversi paesi sono divisi. Molti esperti sono scettici sul fatto che la IAEA, la cui mission principale è il controllo della proliferazione nucleare, possa essere riconosciuta a tutti gli effetti come regolatore del settore. “La risposta – spiega il Financial Times – si potrebbe trovare in un sistema più rigoroso di autoregolamentazione, a livello nazionale”.

Come quello degli Stati Uniti dove, dopo l’incidente di Three Mile Island del 1979, si è introdotto un livello di supervisione straordinaria da parte dell’Inpo (Institute of Nuclear Power Operations, associazione di categoria dell’industria nucleare USA), che va oltre i controlli previsti dalla Nuclear Regulatory Commission (NRC). “Gli ispettori di Inpo controllano e danno un rating a tutte le centrali negli Stati Uniti”, spiega Ft. “I rating non sono pubblicati, ma sono trasmessi all’NRC e le compagnie assicurative li usano per calcolare i rischi della politica di gestione degli impianti. Le centrali che ottengono rating inferiori alla media possono incorrere in richiami e sanzioni”. Ma la sanzione più dura è l’incontro annuale dell’Inpo ad Atlanta, dove “i gestori degli impianti con un rating basso sono obbligati a spiegare davanti a tutti i rappresentanti dell’industria nucleare americana le strategie che intendono adottare per porre rimedio ai loro errori”. Una ammissione pubblica di colpa, che però funziona solo negli Stati Uniti. “E’ un modello che dovrebbe essere globalizzato attraverso la World Association of Nuclear Operators (Wano, associazione mondiale degli operatori nel nucleare, con sede a Londra), l’equivalente dell’Inpo a livello internazionale”, spiega Craven Crowell di Oliver Wyman, una società di consulenza specializzata nel risk management. La Wano è già impegnata nel monitoraggio degli impianti, ma non attribuisce rating e non ha alcuna possibilità di intervenire con azioni correttive o sanzioni se rileva problemi nei sistemi di sicurezza.

“Il sistema americano non è perfetto”, ha dichiarato a Ft Dave Lochbaum, della Union of Concerned Scientists, “ma la Inpo sta facendo un buon lavoro. Le chiusure degli impianti per motivi di sicurezza negli Stati Uniti sono calate da 2,5 volte all’anno per ogni reattore (in media) nel 1985 a 0,1 nel 2007, mentre a livello internazionale le chiusure non pianificate sono scese da 1,8 all’anno nel 1990 a 0,5 nel 2008”. Ma adottare a livello globale il modello di supervisione americano sarà molto difficile, se non impossibile. “Molti paesi si dimostreranno riluttanti ad aprire le porte ai controlli internazionali”, spiega Seth Grae, amministratore delegato di Lightbridge, una società americana che sviluppa tecnologie per il combustibile nucleare. “In molti paesi il settore energetico è controllato dai governi e molti di questi governi non sono propensi ad avere ispettori in casa che gli dicano come dovrebbero fare le cose”. E anche se ormai quasi tutti gli operatori dell’industria nucleare sono d’accordo sulla necessità di rafforzare i poteri della World Association of Nuclear Operators, la strada verso un sistema di monitoraggio comune a livello mondiale sarà lunga e tutta in salita.

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Silverstone, fenomeno Stoner
Sic 2°, Vale non pervenuto: 13°

L'australiano della Honda in pole davanti a Simoncelli e Lorenzo. 4° Spies, 5° Dovizioso. Rossi è molto indietro: accusa 3,7" di ritardo dalla vetta. Crutchlow cade e si rompe la clavicola: è out. In 125 prima pole in carriera per Vinales; in Moto2 svetta Marquez


Casey Stoner, 25 anni, un titolo mondiale in MotoGP. LaPresse
Casey Stoner, 25 anni, un titolo mondiale in MotoGP. LaPresse
SILVERSTONE (Gran Bretagna), 11 giugno 2011 - È di Casey Stoner, con la Honda la pole nel GP di Gran Bretagna sul circuito di Silverstone dopo una sessione soleggiata - che potrebbe non riproporsi per la gara visto il forte rischio pioggia -, ricca di emozioni e cambiamenti al vertice. L’australiano conferma la sua superiorità e con il tempo di 2'02"020 precede Marco Simoncelli (Honda Gresini), come successo nelle precedenti sessioni di prove libere. Il pilota di Coriano, però, ha dato parecchio filo da torcere al funambolo della Honda, pagando soli 188/1000 di ritardo; terzo Lorenzo (Yamaha) a 258/1000, anche lui con un buon passo, poi Spies, sempre su Yamaha e Dovizioso. Vale Rossi con la Ducati affonda: è solo 13° a 3,7" di ritardo dalla vetta, con enormi problemi di affiatamento con la moto.
frattura crutchlow — A inizio sessione, caduta di Cal Crutchlow, che dopo una sbacchettata picchia duro per terra e si procura la frattura della clavicola sinistra più una lieve commozione cerebrale: la gara perde così un possibile protagonista, che in mattinata era stato 5° nelle libere. Dopo quella di Pedrosa a Le Mans ed Edwards a Barcellona, è la terza clavicola che salta in tre GP di fila: è sempre più allarme rosso per l'esiguo numero di partenti! Infortunio a parte, la sessione è stata emozionante, con Simoncelli che è il primo ad abbattere il tempo della pole dell'anno scorso di Lorenzo e ci prova fino all'ultimo a sopravanzare il fumambolo della Honda Hrc. Anche Lorenzo viaggia bene, e a tratti guida pure il gruppo, ma deve inchinarsi, sia all'italiano del team Gresini, sia alle traiettorie da urlo di Stoner, che nel T4 fa la differenza, tagliando addirittura il cordolo dell'ultima curva con grande audacia. Il premio è il tempo di 2'02"020 che gli vale la quarta pole in sei gare.

Valentino Rossi, 31 anni, ha vinto 9 titoli mondiali. Epa
Valentino Rossi, 31 anni, ha vinto 9 titoli mondiali. Epa
valentino non perveuto — Imbarazzante prestazione di Valentino Rossi, che continua ad accusare distacchi abissali con la Ducati, finendo solo 13°. I 3"761 di ritardo, però, non si possono spiegare solo con la mancata conoscenza della pista, visto che il compagno Hayden con la stessa Ducati è 7°, e di ben un secondo e mezzo più veloce del pesarese. Per la gara è prevista pioggia e l'unica speranza per Rossi è che la Ducati, come intravisto a Jerez, con il bagnato possa soffrire di meno, ma la sensazione è che Vale non veda l'ora di mettersi alle spalle uno dei week end più difficili e frustranti della sua carriera.

Vinales precede in pista Terol: partono primo e secondo. Reuters
Vinales precede in pista Terol: partono primo e secondo. Reuters
prima pole vinales — Nella 125 la pole, la prima in carriera, va al giovane spagnolo Maverick Vinales (Aprilia Team Paris Hilton), che con il tempo di 2'14"684 precede Nico Terol, leader del mondiale e dominatore, fin qui della qualifiche con 4 partenze al palo su 5 gare. Alle spalle della coppia spagnola, c'è il francese Johann Zarco (Derbi), staccato di 582/1000, in terza posizione, poi Marc Vazquez a 6 decimi. Quinto l'italo tedesco Cortese, a 905/1000, 13. il primo degli italiani, Simone Grotzkyj con il tempo di 2'17"298.
marquez in moto2 — In Moto2 la pole va a Marc Marquez (Suter) con il tempo di 2'08"101. Lo spagnolo ha preceduto l'inglese Redding (Suter), staccato di 497/1000 e il tedesco Bradl (Kalex), il leader del mondiale, terzo a 517/1000. Il primo degli italiani è Simone Corsi (Ftr), 5° a 875/1000, 6° Pirro, 11° Corti e 15° De Rosa, che con la nuova scuderia Sag, e la moto Ftr, pare trovarsi meglio della Moriwaki del Team G22 da cui è stato scaricato.
Massimo Brizzi© RIPRODUZIONE RISERVATA

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FISICA

Cern, atomi di antimateria
"intrappolati" per 16 minuti

Dopo i risultati ottenuti a novembre sempre a Ginevra e ad aprile negli Usa, un altro passo avanti: anti-idrogeno catturato per il tempo record di mille secondi

ROMA - Si sta "stringendo il cerchio" intorno all'antimateria. Nel novembre scorso l'esperimento Alpha del Cern 1 di Ginevra aveva creato e catturato atomi di anti-idrogeno per 172 millesecondi; in aprile i laboratori statunitensi di Brookhaven hanno creato l'altro anti-elemento 2 prodotto al momento del Big Bang, l'anti-elio, anche se non sono riusciti a imprigionarlo. Ora, sempre con l'esperimento Alpha, il Cern è riuscito a creare e intrappolare circa 300 atomi di anti-idrogeno per il tempo record di 1.000 secondi (oltre 16 minuti): 5.000 volte più a lungo rispetto al tempo ottenuto dallo stesso esperimento a novembre.

Il risultato, pubblicato nell'edizione online della rivista Nature Physics, permette finalmente di osservare in modo diretto il comportamento dell'antimateria e di verificare se, come prevedono le attuali teorie della fisica, si comporta in modo simmetrico ma opposto rispetto alla materia, come una sorta di "specchio di Alice". Diventa cioè possibile sapere se materia e antimateria obbediscono alle stesse leggi della fisica. "E' un tempo abbastanza lungo per poter cominciare a studiarle", ha osservato il coordinatore dell'esperimento, Jeffrey Hangst, dell'università danese di Aarhus.

Riuscire a intrappolare l'antimateria e a "tenerla ferma" in un tempo sufficiente per studiarla da vicino non è stato affatto semplice: una volta creati, gli atomi di anti-idrogeno sono stati "congelati" e tenuti lontani dalle pareti della "scatola" dell'apparato sperimentale grazie a una trappola fatta di campi elettrici e campi magnetici. Questa gabbia è assolutamente necessaria in quanto è sufficiente un minimo contatto fra materia e antimateria perché queste si distruggano reciprocamente.

"Congratulazioni all'esperimento Alpha" dalla ricercatrice italiana Gemma Testera, alla guida di un altro esperimento del Cern che sta studiando l'antimateria, chiamato Aegis e finanziato dall'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn). "Aver catturato l'antimateria per un periodo così lungo è il punto di partenza per studiarne le proprietà", ha aggiunto commentando l'esperimento, del quale non fa parte nessun italiano. I risultati di queste osservazioni aiuteranno a comprendere meglio molti aspetti della cosmologia e le leggi fondamentali dell'universo. "Vogliamo studiare le proprietà della materia e dell'antimateria - ha detto ancora la ricercatrice - per verificare se si comportano o meno nello stesso modo. L'universo nel quale viviamo è fatto di materia e le attuali leggi della fisica suggeriscono che materia e antimateria sono simili".

Le teorie attuali suggeriscono che materia e antimateria sono state prodotte nella stessa quantità al momento del Big Bang e che si sono annichilite a vicenda. Tuttavia una parte di materia è sopravvissuta all'impatto ed è oggi alla base dell'universo che conosciamo. L'anti-idrogeno intrappolato al Cern adesso potrà aiutare a capire come mai la materia alla fine abbia vinto e che fine possa aver fatto l'antimateria.

Oltre ad Alpha, tre esperimenti del Cern puntano a "mettere alle strette" l'antimateria per rispondere alle domande fondamentali della fisica: l'esperimento Aegis, guidato come detto da Testera e finanziato dall'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn); Atrap (Antihydrogen Trap), a guida statunitense; Asacusa, coordinato dal Giappone. "Sono progetti fra loro in competizione scientifica, ma complementari", spiega Testera.

Obiettivo dell'esperimento Aegis è misurare gli effetti della forza di gravità sull'antimateria. Per riuscire in questo l'esperimento punta a produrre fasci di anti-idrogeno, seguendo la strada aperta dall'esperimento predecessore, Alpha. I primi dati potrebbero arrivare già in estate.

La 'trappola' per l'antimateria usata dall'esperimento Asacusa si chiama Cusp e funziona grazie a una combinazione di campi magnetici che costringono antiprotoni e positroni a stare insieme per formare atomi di anti-idrogeno. Gli anti-atomi così ottenuti vengono incanalati in un sorta di "corridoio" vuoto dove i piccoli fasci di anti-idrogeno creati in questo modo possono essere studiati "in volo".

Con un altro esperimento del Cern chiamato Athena, Atrap ha dimostrato la possibilità di produrre antiparticelle in grandi quantità, facendo il primo passo verso la possibilità di produrre, controllare e infine intrappolare un piccolo frammento dell'antimondo.

Tutti insieme, questi esperimenti contribuiranno a perfezionare le trappole magnetiche nelle quali, a temperature bassissime, diventerà possibile riuscire a rallentare a bloccare gli anti-atomi, fino a intrappolarli per alcune ore.
(05 giugno 2011)

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