giovedì 23 giugno 2011

hahahahhaah

Google, indaga l'antitrust Usa
E il colosso affonda in Borsa

La Federal Trade Commission starebbe per aprire un'inchiesta per capire se l'azienda di Mountain View abbia approfittato della sua posizione dominante a scapito dei concorrenti dal nostro inviato ANGELO AQUARO

NEW YORK - Digitate su Google le parole "Google" e "antitrust" e scoprirete che Google sta finendo sotto inchiesta. La notizia è uno schiaffo per il gigante di Mountain View che a Wall Street - in una giornata in cui tutti gli indici tendono al rosso - perde già il 2 per cento mentre dal quartiere generale nessuno vuole confermare. Ma la Federal Trade Commission, la commissione Usa che sovrintende al business e al commercio, avrebbe davvero aperto un'inchiesta in cui sospetta il motore di ricerca più famoso del mondo di approfittare della sua posizione dominante per incanalare sul suo network risorse destinate ai rivali.

Non è la prima volta che la creatura di Larry Page e Sergej Brin deve affrontare traversie giudiziarie. Ma stavolta a puntare il dito contro i giganti americani di internet non sono i sospettosissimi europei, che prima avevano sollevato le accuse di violazione della privacy e poi si erano avventurati 1, già nell'autunno scorso, nello scivolosissimo terreno dell'antitrust, con l'Unione europea scesa direttamente in campo. Questa volta la battaglia si gioca tutta in casa: e al livello più alto. L'inchiesta aperta, che secondo il Wall Street Journal dovrebbe essere formalizzata nei prossimi giorni, è la più seria che la compagnia miliardaria si appresterebbe ad affrontare negli Usa.

Google è già stata più volte nel mirino dell'Antitrust, anche in America: ma sotto esame erano quasi sempre finite le acquisizioni più o meno milionarie, come l'ultima appena un paio di mesi fa di ITA Software, una compagnia che avrebbe ulteriormente accresciuto la sua posizione dominante. Adesso però la casa di Mountain View rischia di finire alla sbarra proprio per quelle che vengono definite "questioni fondamentali" del suo business. Google rappresenta i due terzi delle ricerche su internet negli States e le ricerche, si sa, sono quelle che hanno trasformato il motore californiano in una macchina miliardaria, favorendo la pubblicità che ogni navigatore scorge accanto a ogni risultato, in una fascia separata e ben distinta. Ora i detective della FTC vogliono scoprire se oltre all'algoritmo dei misteri che ha fatto la fortuna del supermotore, Google abbia usato e usi "mezzi scorretti" per incanalare gli utenti sul suo network sempre più in espansione: ai danni ovviamente dei concorrenti.

L'indagine per la verità era nell'aria, o quantomeno nel web: Thomas Rosch, il commissario della Federal Trade Commmission, aveva annunciato qualche tempo fa di essere pronto a fare pulizia nel campo dell'industria della ricerca su internet, senza ovviamente specificare i nomi delle compagnie. Ma i nomi sono un segreto di Pulcinella: da una parte c'è Google, dall'altra lo sfidante Microsoft che con il suo Bing sta faticosamente cercando di guadagnare spazio nel campo praticamente monopolizzato. L'inchiesta, adesso, potrebbe allargarsi anche ad altre compagnie, e ai rapporti che hanno avuto appunto con Google. Un'indagine insomma che rischia di espandersi a ragnatela: che poi, si sa, in inglese si dice proprio web.
 
(23 giugno 2011)

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INCHIESTA P4

Intercettazioni, il Pdl all'attacco
Vietti: "Mai troppo tardi per una legge"

Cicchitto attacca il metodo che ha portato alla richiesta di arresto per il parlamentare Alfonso Papa: "E' necessario fermare il gioco al massacro". Il mezzo con cui farlo è ancora oggetto di dibattito, "ma per noi sarà un elemento di riflessione". Il Copasir chiede le "carte" sull'inchiesta. Alfano: "Irrilevanti e costose". Il procuratore di Napoli risponde: "Decidono magistrati e giudici"

ROMA - "Quello che sta avvenendo con la sistematica pubblicazione di intercettazioni che non hanno alcun rilievo penale, ma che riguardano la vicenda politica italiana, è semplicemente scadaloso, anche perché è una operazione mirata e a senso unico". Il capogruppo Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto, conferma l'intenzione della maggioranza di provare una nuova stretta sulle intercettazioni dopo il clamore e l'imbarazzo provocato dall'inchiesta P4 1.

Per Cicchitto, e dunque per il Pdl, resta "inaccettabile" che si possa procedere contro qualcuno passando attraverso "conversazioni private". "Nei mesi passati l'operazione è stata fatta su Arcore. Oggi attraverso Bisignani 2 sono stati intercettati alcuni ministri e altri uomini politici con l'evidente obiettivo di destabilizzare il Pdl. Queste operazioni di per sè assolutamente irregolari non vengono neanche fatte a 360 gradi. Ad esempio - ha aggiunto Cicchitto - ci immaginiamo quali effetti potrebbero esserci se fosse intercettato il maggior lobbista di Carlo De Benedetti, ma è evidente che in questo quadro egli può lavorare in assoluta tranquillità".

Il Pdl è al lavoro. Sta studiando un modo per fermare la pubblicazione di intercettazioni. Tema tornato alla ribalta 3 proprio grazie all'inchiesta nei confronti del loro parlamentare, Alfonso Papa. L'idea, avevano spiegato alcuni berlusconiani, è proprio quella di riuscire a fermare "l'abuso che si fa delle loro pubblicazioni sui giornali anche quando non hanno alcuna rilevanza penale".

VIDEO Mauro: "La nuova legge bavaglio" 4
I VERBALI 5

Sull'intenzione della maggioranza di intervenire con una legge o con un decreto sulle intercettazioni interviene Michele Vietti: se n'è già parlato nella scorsa legislatura, ricorda il vicepresidente del Csm, "senza mai far seguire alle parole i fatti. Comunque non è mai troppo tardi", aggiunge. Sull'ipotesi del ricorso a un decreto legge, Vietti non si sbilancia: "Questo riguarda il governo e il presidente della Repubblica".

Nel Pdl, hanno precisato, non si è mai smesso di parlare della necessità di un provvedimento di legge in questo senso, ma ora, dopo che sono finite su tutti i giornali "soprattutto vicende private", non si può più rimanere "con le mani in mano". L'importante, hanno aggiunto, è che ci sia un intervento al più presto per bloccare "questo abuso inaccettabile". Il mezzo con cui realizzarlo è ancora oggetto di dibattito. "Il problema c'è poi, come procedere, sarà un elemento di riflessione. Lo scandalo è la pubblicazione di intercettazioni che attendono perlopiù alla vita politica e privata di singoli individui. E' un gioco al massacro che va fermato", ha ribadito il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto. "Io dico solo - ha concluso - che se venissero intercettati tutti i vari lobbisti che sono in azione sulla scena politica nazionale, ci sarebbe senz'altro un panorama di informazioni più ampio...". E per il ministro della Giustizia, Angelino Alfano "le intercettazioni che leggiamo sui giornali che sono anche divertenti ma che non hanno niente di penalmente rilevante non sono gratis per il sistema. Il debito accertato nei confronti delle ditte e degli operatori telefonici è di un miliardo di euro".

Ad Alfano risponde direttamente il procuratore di Napoli, Giovandomenico Lepore: "La rilevanza o meno delle
intercettazioni va valutata dal magistrato requirente e dal giudice giudicante, cosa che è regolarmente avvenuta",
dice. E sui costi ribatte: "Nulla è gratis. Se il governo pensa che gravino troppo sul bilancio, le vieti. Sono certo - conclude il procuratore - che il ministro Alfano, persona intelligente e preparata, voleva solo rivolgere un invito a limitare le intercettazioni per la crisi economica, ma la crisi non può bloccare il lavoro dei magistrati".

Su Libertà e Giustizia oggi è apparso un amareggiato commento dal titolo 'Il clima che uccide ogni dialogo'. "Bavaglio per decreto: la notizia del nuovo provvedimento che il Governo prepara per rendere impossibile l'informazione sulle fabbriche del fango, domiciliate a Palazzo Chigi, distrugge ogni possibilità di tregua istituzionale con il Cavaliere". Non è in questo clima che è possibile sedersi allo stesso tavolo con la maggioranza. "Per metter mano con amore, competenza e disinteresse personale alla nostra Carta serve un clima costituente assai diverso da quello irrespirabile che pervade attualmente il Parlamento italiano", conclude il comunicato.

Le opposizioni però hanno contrattaccato. Un sistema che escluda dai fascicoli delle inchieste penali le intercettazioni irrilevanti è necessario, ha detto il responsabile giustizia del Pd, Andrea Orlando, ma non si deve fare a una legge che blocchi o limiti un "importante" strumento di indagine. Anche l'Udc riconosce la necessità di una riforma sulla disciplina delle intercettazioni, ma, ha spiegato Roberto Rao, "non la si può fare con questo Governo e questa maggioranza". Più netta la posizione dell'Idv che ha detto 'no' al "bavaglio" e chiesto una commissione d'inchiesta.

Nel frattempo l'inchiesta procede. E anche il Copasir vuole le "carte" sulla P4. Dopo la giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera (chiamata a deliberare circa la richiesta di arresti domiciliari avanzata nei confronti del deputato Pdl Alfonso Papa) anche il comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, presieduto da Massimo D'Alema, ha deliberato di chiedere alla procura di Napoli di trasmettere gli atti relativi all'inchiesta sulla P4 che potrebbero investire le attività del comitato. La discussione è stata introdotta dal presidente D'Alema che ha relazionato sulle "possibili implicazioni per le attività del comitato derivanti dalle indagini in corso presso la procura di Napoli". Durante l'incontro, durato due ore, dalle 8,30 alle 10,30, sull'argomento sono intervenuti proprio i deputati Cicchitto e Rosato.
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Vale in gara con Ducati GP 11.1
"Ho fiducia per nuova moto"

Ad Assen, si corre sabato, Rossi avrà una Desmosedici rinnovata, che ha il motore da 800 cc sulla ciclistica del 2012. "La pista mi piace e gli aggiornamenti sono molto promettenti anche se giovani, ma tutto il team è concentrato e motivato e io sono fiducioso"

Valentino Rossi, 31 anni, con la Ducati a Silverstone. LaPresse
Valentino Rossi, 31 anni, con la Ducati a Silverstone. LaPresse
MILANO, 20 giugno 2011 - Nel week end il motomondiale torna in pista, ad Assen, per il GP di Olanda che tradizionalmente si corre il sabato e Valentino Rossi avrà a disposizione una nuova Ducati. Al pesarese, infatti, è stata data la versione GP11.1 della Desmosedici, la cui progettazione è iniziata dopo i test di Sepang e la realizzazione dopo l'approvazione dei piloti della ciclistica della GP12 nei primi test a Jerez.
cosa cambia — La GP11.1 ha la caratteristica di avere il motore da 800 cc inserito nella ciclistica del 2012, su cui gli ingegneri Ducati stanno lavorando. La moto, poi, utilizzerà il nuovo cambio DST (Ducati Seamless Transmission), la cui progettazione era iniziata nel 2010.
rossi spera — Rossi guarda alla pista olandese con interesse e alla nuova moto con fiducia. Ad Assen Valentino era assente l'anno scorso per la frattura della gamba rimediata al Mugello, ma vi ha colto sette vittorie complessive, di cui 5 nella classe regina. "Assen è una delle piste che mi piacciono di più e dove ho fatto delle belle gare, in tutte le categorie - ha detto Rossi -. Cercheremo di fare tesoro del buon feeling su questo tracciato, visto che giovedì mattina debutteremo con degli aggiornamenti molto promettenti ma piuttosto 'giovani'. Tutta la squadra ha fatto un gran lavoro, che ci ha permesso di arrivare a un'altra tappa dello sviluppo della nostra moto". Nelle ultime settimane, però, Rossi si è dedicato esclusivamente alla GP12, la moto del prossimo anno. "Dopo Estoril - ha proseguito Vale - non abbiamo avuto la possibilità di provare ancora la 800, cose che faremo nei week-end di gara, costretti quindi a fare, in poco tempo, un doppio lavoro, per le novità tecniche e per la messa a punto in vista della gara di sabato. Sappiamo che può volerci un po' per arrivare sfruttare il potenziale di tutto il pacchetto ma siamo contenti e motivati dal lavoro che stiamo facendo".
preziosi e lo sviluppo — È speranzoso anche Filippo Preziosi, il progettista della Desmosedici: "Abbiamo deciso di realizzare la GP11.1, con il motore 800 cc inserito nella ciclistica della GP12, per avere sia la possibilità di accelerare lo sviluppo della moto per il prossimo anno e di fornire ai nostri piloti una base dal potenziale più elevato per il campionato in corso. Considerando che Valentino non ha ancora mai guidato la GP11.1, questa scelta potrebbe richiedere al team qualche gara per sfruttarne appieno il potenziale, ma l’abbiamo portata avanti perché la riteniamo un passo importante nel nostro processo di sviluppo".
anche hayden — Lo sviluppo in corsa vedrà impegnato anche l'americano Nicky Hayden, che proverà la GP11 equipaggiata con lo "step 2" del telaio, dalle rigidezze ulteriormente modificate rispetto alla versione introdotta nei test di Estoril. Da Laguna Seca, il 24 luglio, terminata la rotazione dei motori, anche Hayden guiderà la GP11.1.
Gasport© RIPRODUZIONE RISERVATA
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La Lega si spacca e Bossi attacca Maroni: “Non è soddisfatto? Peggio per lui”

All'indomani della riconferma di Marco Reguzzoni, fedelissimo del senatùr, a capogruppo del partito a Montecitorio, parte la resa dei conti nel Carroccio. Il leader: "E' la base che tiene sotto controllo la Lega, non il ministro dell'Interno". Domenica a Pontida lo striscione che inneggiava a "Maroni presidente del Consiglio"


Il capogruppo della Lega alla Camera, Marco Reguzzoni
Domenica, sul prato di Pontida, era arrivato il primo segno di scollamento, con quello striscione “Maroni presidente del Consiglio” che sembrava un messaggio chiaro a Bossi: dalla secessione alla successione. Neanche una settimana dopo la Lega Nord non è mai stata così in bilico. “Maroni non è soddisfatto? Peggio per lui”. Le parole del senatùr suonano come una vera e propria rottura con il ministro dell’Interno, dopo la battaglia per il rinnovo del capogruppo alla Camera, che ha visto la conferma di Marco Reguzzoni, fedelissimo del “cerchio magico” del leader.

Ogni ora che passa si allarga la frattura interna che vede opposti il ministro e il gruppo di Rosy Mauro, dello stesso Reguzzoni, di Federico Bricolo e di tutta la frangia più vicina a Bossi. Personaggi influenti, capaci di arrivare dritti al capo grazie soprattutto al sostegno della famiglia, con il figlio Renzo e la moglie Manuela Marrone a fare da garanti e consiglieri.

Le ragioni della spaccatura? Sicuramente due diverse vedute sul futuro del partito, forse l’aspirazione ad assumerne il controllo, magari anche la paura che il declino politico di Berlusconi trascini a fondo anche le bandiere verdi. Per anni la solidità e la tenuta del movimento celodurista sono stati considerati un vero e proprio dogma. E non è che non ci fossero divergenze interne, ma i panni sporchi la Lega se li è sempre lavati in casa.

Anche la storia del Carroccio è costellata di piccoli scismi, ma il cuore del partito, quello verde padano, che batteva solo in nome di Umberto Bossi ha sempre tenuto la barra dritta, seguendo la rotta indicata dal capo. Se qualcuno aveva da ridire veniva invitato a guadagnare l’uscita. Oggi evidentemente la rottura è più profonda, più lacerante. Così anche nella Lega si assiste a quel teatrino fatto di voci, di rumors, di dichiarazioni a mezza bocca, di frasi dette e suggerite. Piccole o grandi confidenze più utili a screditare l’avversario che al bene del partito. “Purtroppo il problema è Bossi”, sussurrano alcuni bene informati dall’interno del Carroccio: “Non è più quello di una volta, si fa ammaliare dalle sirene”.

Le sirene sono ovviamente quelle di Marco Reguzzoni, che dopo aver lanciato l’Opa ostile sulla segreteria nazionale di Giancarlo Giorgetti è riuscito a resistere al contrattacco dei maroniani, restando incollato alla poltrona di capogruppo con la benedizione di Bossi.

Nel braccio di ferro tra Bossi e il “delfino” Maroni, che voleva prendere il controllo del gruppo parlamentare più delicato mettendoci il lombardo Giacomo Stucchi, alla fine hanno vinto il vecchio leader e il suo “cerchio magico”. Almeno per ora.

“Ma la situazione nella Lega è sotto controllo?” chiedevano oggi i cronisti davanti a Montecitorio. E il Senatur a rispondere: “E’ sotto controllo la base, è la base che tiene sotto controllo la Lega, non Maroni”. Ma ieri ci sono state liti durante riunione dei deputati leghisti? “E’ andata benissimo. Non ci sono liti dove ci sono io”.

In realtà la situazione è ben diversa. Umberto Bossi ha spuntato la vittoria nel primo “scontro” con il ministro dell’Interno, ma la guerra è solo all’inizio, a cominciare proprio da quella base che il senatùr invoca, sempre più inquieta.

Intanto però il capo ha conservato il terreno. Con l’astuzia. O forse con il ricatto. Va benissimo sostituire il capogruppo dopo un anno, aveva detto Bossi in mattinata ai deputati in attesa di un suo pronunciamento, “ma poi Reguzzoni lo mando a fare il segretario nazionale della Lega Lombarda”. Un messaggio fin troppo chiaro per i fragili equilibri leghisti: a saltare sarebbe stato proprio Giancarlo Giorgetti, l’uomo più vicino a Maroni all’interno del Carroccio. Insomma, un siluro al “delfino” designato dal popolo degli striscioni di Pontida che non ha lasciato scampo. Alle sette e mezzo di sera, Marco Reguzzoni era di nuovo a capo del gruppo parlamentare, per acclamazione, con grande soddisfazione di Bossi: “Sì, sono proprio soddisfatto”. E Reguzzoni: “Sono anch’io soddisfatto, questo vuol dire che la Lega è unita, che c’è solo Bossi e io sono un bossiano di ferro”.

Maroni, dunque, esce sconfitto nella prima avanzata contro il “cerchio magico” bossiano che ancora una volta ha tenuto saldo in mano lo scettro del comando. E dire, però, che il ministro aveva studiato bene ogni mossa. Dopo la “conquista” del gruppo alla Camera, che gli avrebbe dato il comando diretto delle truppe leghiste nella tenuta della maggioranza, l’idea era quella di ripetere l’operazione anche al Senato. Nel mirino dei leghisti di rito maroniano di Palazzo Madama ci sarebbe stato Federico Bricolo, guarda caso esponente di spicco tra i bossiani del “cerchio”. La sostituzione di Bricolo sarebbe stato un colpo ancora più forte a Rosy Mauro, che al Senato è vicepresidente.

Al posto di Bricolo, i maroniani puntavano a mettere Massimo Garavaglia, anche lui lombardo, ma proprio per non schiacciare troppo i favoriti sulla sezione lombarda, alla fine era saltato fuori il nome del veneto Paolo Franco. Ovviamente l’operazione Senato sarebbe partita – seppur con qualche difficoltà in più – solo dopo la “conquista” del gruppo alla Camera. Che sarebbe finita così forse Maroni lo aveva capito fin da ieri (lui era assente giustificato al Senato per via della laurea della figlia) quando c’era stato un salace scambio di battute con Castelli sulla bocciatura dei pedaggi sul raccordo anulare. Tant’è che anche ieri mattina alla Camera, Maroni risultava assente nei banchi del governo e non si è visto per tutta la giornata.

Quindi, nel pomeriggio, il segnale, con Bossi che è uscito più volte dall’aula di Montecitorio accompagnato da Reguzzoni e, infine, il voto. Reguzzoni, sulla carta, dovrebbe lasciare definitivamente la guida del gruppo a dicembre, a meno che il Cavaliere non lo chiami al governo alle politiche comunitarie, con Anna Maria Bernini forse alla Giustizia, per quanto questo nome sia già stato bocciato una volta dal Quirinale. Se Reguzzoni dovesse diventare ministro, forse nella Lega potrebbe riaprirsi la lotta per la successione interna, ma per il momento il capitolo pare definitivamente archiviato. Nonostante Pontida.

ha collaborato Alessandro Madron

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