giovedì 17 febbraio 2011

.................................

APPLE

Stampa Usa: "Jobs sta male
ha solo sei settimane di vita"

Per il quotidiano americano National Enquirer, potrebbe trattarsi di una recrudescenza del cancro al pancreas diagnosticato la prima volta nel 2004. Il fondatore dell'azienda californiana un mese fa aveva annunciato la sua assenza temporanea per concentrarsi sulla sua salute

NEW YORK - Steve Jobs, che ha lasciato a gennaio la Apple per tornare a curarsi, starebbe molto peggio del previsto. Secondo lo statunitense National Inquirer, che ha pubblicato foto di uno Jobs scheletrico, il fondatore di Apple soffrirebe di una recrudescenza del cancro al pancreas, diagnosticato la prima volta nel 2004, e che ora gli lascerebbe solo 6 settimane di vita. L'ultima volta è stato fotografato l'8 febbraio ("aveva un look scheletrico", scrive il quotidiano Usa) fuori dal Centro Oncologico di Stanford, a Palo Alto, in California, dove si sottoponeva alla chemioterapia per il suo cancro al pancreas l'attore Patricl Swayze, scomparso di recente.

Il National Enquirer ha fatto commentare quella che definisce la foto più recente - in cui si vede Jobs salire sulla sua auto fuori dal centro tumori -dallo specialista di terapia intensiva Samuel Jacobson, il quale si è detto perplesso: "A giudicare dalle foto, Jobs è vicino alla fase terminale. Direi sei settimane". Il fondatore di Apple nel 2009 ha subito un trapianto di fegato.

Jobs, 55 anni, è alla sua terza assenza dal lavoro 1 per malattia in sette anni. L'aveva annunciata con una email ai suoi dipendenti, spiegando che avrebbe avuto il tempo per concentrarsi sulla sua salute e aggiungendo che avrebbe continuato a essere coinvolto, nel ruolo di CEO, nelle decisioni strategiche dell'azienda.
(17 febbraio 2011)
 
---------------- 
 
Tg1, Usigrai all’attacco: “Più pluralismo”
Corte dei Conti indaga su Minzolini
Nell'edizione delle 20 il conduttore legge un comunicato del sindacato approvato ieri all'unanimità: "Preoccupati per gli ascolti". Intanto i magistrati contabili aprono un'indagine sull'uso della carta di credito aziendale da parte del 'direttorissimo'
I giornalisti del Tg1 battono un colpo. Al termine dell’edizione delle 20 il conduttore legge il comunicato preparato ieri. Nel testo si lamenta il pesante calo di ascolti che due giorni fa ha portato il Tg5 a battere  il Tg1. “L’Usigrai intende sottolineare quel che l’assemblea del Tg1 ha votato approvando un documento all’unanimità, riporta il testo. I giornalisti della redazione sono molto preoccupati per il calo degli ascolti considerati anche una perdita economica per tutta l’azienda in un momento di crescente difficoltà che allarma”. Inoltre, “i giornalisti del Tg1 chiedono che il direttore indichi quali provvedimenti intenda prendere”. E ancora, ”l’assemblea ritiene che sia indispensabile l’assoluto rispetto del pluralismo, che sia data voce a tutte le posizioni e le parti politiche, sociali e culturali del paese e che sia garantita la completezza delle notizie”.

Segue a ruota la replica della direzione che rivendica lo share della serata di ieri (senza dire, tuttavia, che la serata era dopata dalla partenza del Festival di Sanremo) e accusa il sindacato di “atteggiamento strumentale”. “La direzione del Tg1 – è la replica di Augusto Minzolini – si è sempre impegnata per mantenere alla testata il primato degli ascolti, nonostante uno scenario televisivo in piena evoluzione. Non per nulla, nella serata di ieri il Tg1 ha dato un distacco di 6,2 punti di share ai diretti concorrenti. Può occasionalmente capitare, in questa competizione quotidiana, di perdere una volta, come è accaduto di recente, ma si tratta appunto di un’unica eccezione. L’attuale direzione, infatti, nella competizione con i propri concorrenti, ha ottenuto ottime performance”. “Ecco perché – prosegue la nota della direzione -, accogliendo l’invito dell’Usigrai all’impegno sugli ascolti e al rispetto di un pluralismo che ovviamente non è mai venuto meno, la direzione del Tg1 non può non cogliervi anche l’ombra di un pregiudizio politico e di un atteggiamento strumentale che poco si addice a un sindacato”.

Che al Tg1 ci sia maretta, lo testimonia un comunicato di Stefano Campagna, uno dei volti del Tg della rete ammiraglia e componente dell’esecutivo Usigrai in quota “l’Alternativa”: “Se questa sera durante il Tg1 verrà letto in diretta il documento sugli ascolti valuto seriamente le dimissioni dall’esecutivo dell’Usigrai”, ha scritto Campagna. “Ieri – ha raccontato il conduttore a un’agenzia di stampa, – c’erano 35 colleghi in assemblea e la riunione ha elaborato un documento in cui, in maniera abbastanza trasversale, si concordava sulla preoccupazione relativa agli ascolti del Tg1″. Preoccupazione confermata, “nonostante la consapevolezza del digitale terrestre che ha cambiato la distribuzione della platea” e a fronte della quale si chiedeva un incontro al direttore Minzolini per “conoscere le strategie messe in campo. Non si capisce poi – continua Campagna – come dal fisiologico diritto di critica di un’assemblea si sia passati oggi ad un ‘manifesto elettorale’, cioè alla decisione, assunta dal Cdr e dall’Usigrai senza un mandato esplicito dell’assemblea, di spiattellare un documento interno ad un Tg davanti a milioni di telespettatori favorendo in maniera autolesionistica la concorrenza”. Senza contare, aggiunge, che il documento di cui stiamo parlando non solo “è stato votato da 35 giornalisti su 163 in organico”, ma mirava a “limare le contrapposizioni interne”.

Per questo oggi Campagna ha abbandonato “in segno di protesta” la seduta dell’esecutivo Usigrai. “In un momento delicato per l’azienda – dice  - la lettura in video di un documento votato da 35 giornalisti, si traduce in un autogol per la Rai e per il sindacato e in un’azione denigratoria, strumentale e faziosa, quando nulla si dice invece sui telegiornali ‘amici’ che dedicano oltre la metà del sommario al Caso Ruby privilegiandolo al dramma egiziano”. Tutto questo è “scorretto e vergognoso”.

Insomma, la colpa della perdita degli ascolti sarebbe dovuta “al digitale terrestre che ha cambiato la distribuzione della platea”. Eppure, stando ai numeri, gli ascoltatori cambiano canale o spengono la televisione proprio in concomitanza con alcuni precisi servizi: l’intervista di 4 minuti a Silvio Berlusconi (2 febbraio) e l’intervento in studio di Giuliano Ferrara (10 febbraio) che parla per oltre 5 minuti lo stesso giorno in cui il direttore de Il Foglio intervista a sua volta il premier. Nel primo caso il giornalista Michele Renzulli inviato dal presidente del Consiglio confeziona “un’intervista in ginocchio”: siamo infatti nel pieno dello scandalo Ruby, ma il giornalista evita ogni domanda sul tema e parla solo di “rilancio economico dell’Italia”.

Ma sulla giornata del Tg1 e del suo direttore è caduta anche un’altra tegola. La Corte dei Conti ha aperto un’istruttoria sulla vicenda relativa all’uso della carta di credito aziendale da parte del direttore del Tg1 Augusto Minzolini. Lo ha comunicato il presidente della Rai, Paolo Garimberti, durante il Cda odierno, il presidente della Rai Paolo Garimberti. La magistratura contabile ha anche chiesto al presidente l’invio, entro 15 giorni, di tutti i documenti e le carte inerenti il caso. Per Minzolini si tratta di ”un atto dovuto” e dà la colpa al consigliere Nino Rizzo Nervo che, dice il direttore, “come è sua consuetudine, probabilmente deve aver fatto un esposto alla Corte dei Conti su fatti inconsistenti”.

In realtà la vicenda era emersa grazie a due articoli usciti sul Fatto Quotidiano a metà novembre. Il primo raccontava le spese pazze del ‘direttorissimo’ fatte con la carta di credito aziendale. Ben 64mila euro, dieci volte in più di Mario Orfeo del Tg2. Il secondo elencava i sei servizi che il Tg1 aveva fatto in pochi mesi sempre sulla stessa compagnia di navi da crociera, la Royal Caribbean.

Chiamato in causa il consigliere di minoranza Nino Rizzo Nervo replica a Minzolini: ”Purtroppo come sua consuetudine il direttore del Tg1 non verifica le notizie: non è mia abitudine presentare esposti alla Corte dei Conti”. Rizzo Nervo ricorda che “in cinque anni e mezzo da consigliere di amministrazione, mi è capitato una sola volta di presentare un esposto che non riguarda però il dottor Minzolini”. Sulla vicenda del direttore del Tg1, spiega ancora il consigliere, “mi sono limitato a valutare in Consiglio di amministrazione le informazioni trasmesse al Cda dal direttore generale e ho lamentato il fatto che non sia stata aperta un’audizione come di consueto avviene in casi del genere”.

ha collaborato Gisella Ruccia 

--------------
 
“Prove evidenti e pertinenti”
le motivazioni del gip di Censo Silvio Berlusconi operò “sicuramente con abuso della qualità di presidente del Consiglio, ma, altrettanto certamente, al di fuori di qualsiasi prerogativa istituzionale e funzionale propria del presidente del Consiglio dei ministri, al quale nessuna competenza spetta in materia di identificazione e affidamento dei minori e che, più in generale, non dispone di poteri di intervento gerarchico nei confronti dell’autorità della polizia di Stato ovvero della polizia giudiziaria, impegnata nell’espletamento di compiti d’istituto”. E ancora la telefonata ai vertici di via Fatebenefratelli, durante la quale spacciò la diciassettenne Ruby per nipote di Mubarak e ne chiese il rilascio, fu un “indebito intervento nei confronti del capo di gabinetto della questura Pietro Ostuni, il suo tramite di ulteriori funzionari”. Anche per questo, scrive il gip Cristina Di Censo,  la prova a carico di Silvio Berlusconi “appare evidente in ragione dei contenuti delle plurime e variegate fonti di prova tutte riferite e pertinenti ai capi d’imputazione”.

Il giorno dopo il loro deposito, diventano pubbliche le 27 pagine con cui il giudice ha mandato alla sbarra il presidente del Consiglio per concussione e prostituzione minorile. Così diventa chiaro perché secondo il gip il premier non deve essere processato dal tribunale dei ministri. E quali sono gli elementi sulla base dei quali ha disposto il processo con rito immediato. Il lungo elenco delle fonti di prova va da pagina 11 a pagina 27 del decreto. Comprende “gli accadimenti della notte tra il 27 e il 28 maggio 2010″ quando Berlusconi fece affidare Ruby alla consigliera regionale Nicole Minetti, che a sua volta la abbandonò nelle mani della prostituta Michelle Conceicao. E prosegue con i verbali “di assunzione informazioni” di Ruby e quelli che riguardano “persone in contatto con lei”; il “concorso ‘una ragazza per il cinema’ del 3 settembre 2009″, al quale partecipò come giurato anche Emilio Fede (e in quell’occasione la giovane marocchina dichiarò di essere minorenne), poi “la disponibilità di ingenti somme di denaro da parte di Ruby”; l’analisi delle “celle telefoniche delle presenze ad Arcore di Ruby dal 14 febbraio 2010 al 2 maggio 2010″; le intercettazioni telefoniche che dimostrano lo svolgimento di alcune serate ad Arcore, nel gennaio, nel luglio, nell’agosto e nel settembre 2010; la presenza della giovane prostituta Iris Berardi (la prima volta era minorenne) durante queste serate, il video del settimanale Oggi in cui si vedono alcune ragazze entrare senza essere sottoposte a controlli nella residenza del premier; la serata a Villa Campari del 4 settembre 2010; “i rapporti tra Lele Mora ed Emilio Fede per l’organizzazione delle serate testimoniate da conversazioni telefoniche” tra il 10 agosto e il 24 ottobre 2010; e una notazione “della polizia giudiziaria della Guardia di Finanza relativa all’esito degli accertamenti di movimentazioni di denaro tra Silvio Berlusconi, Giuseppe Spinelli, Lele Mora ed Emilio Fede”. Un documento dal quale traspare come davvero a Mora Berlusconi versò oltre un milione d i euro, 400mila dei quali dovevano essere girati al direttore del Tg4 che al premier aveva spiegato come la riservatezza dimostrata dall’impresario televisivo andasse in qualche modo ricompensata. Sempre tra le prove elencate dal gip c’è poi la ricostruzione completa della gestione degli appartamenti di via Olgettina da parte di Nicole Minetti e delle elargizioni di denaro alle ragazze arrivate “per il tramite di Giuseppe Spinelli, fiduciario di Sivio Berlusconi”.

E mentre oggi dall’ufficio del giudice delle indagini preliminari sono partite le notifiche del decreto che dispone il giudizio e della richiesta di giudizio immediato dei pm – un plico di poco meno di 800 pagine, recapitato al Presidente del Consiglio e ai suoi difensori e a Ruby, ai tre funzionari della Questura di Milano e, tramite l’avvocatura della Stato, al ministero dell’Interno – emergono nuove tessere del quadro accusatorio che hanno portato il gip a ritenere sussistente l’evidenza della prova a carico del capo del Governo. Da un lato, i magistrati sono prudenti sulle dichiarazioni contenute nei cinque verbali di Ruby (quello del 3 agosto scorso è stato redatto in due tempi), ritenute credibili a “segmenti” perché contraddittorie in più punti. Dall’altro però nelle carte ci sono anche una serie di intercettazioni che testimoniano non solo come i suoi genitori, M’Hamed El Mahrog e la moglie Naima, fossero “a conoscenza di fatti riguardanti la vita di Ruby” ed evidentemente le sue frequentazioni milanesi, ma come lei stessa avesse cercato di impedire che la madre li rivelasse alla polizia che si era recata a Letojanni (Messina) per sentire la donna.

Il 30 settembre il padre, alle 11.19, al telefono con la figlia, le riferisce che “questi sono usciti da me insieme a tua madre, erano in due donne e tre uomini” e che prevedevano “di fare fino alle 15.30”. L’uomo poi spiega a Ruby, di aver saputo dal personale di polizia giudiziaria che stavano “facendo delle indagini”, raccontando che “alla mamma (…) sono state fatte delle domande sulla storia della figlia da quando ha cominciato a frequentare le scuole”, cosa che serviva “per regolare la situazione in merito ai documenti della figlia”. A questo punto la giovane marocchina raccomanda al padre di “dire alla madre di alzarsi e dichiarare di non voler rispondere a nulla”. E lui replica: “la mamma sa quello che sta dicendo”.

Dalle telefonate risulta inoltre, come i rapporti tra Ruby e i suoi genitori siano ben diversi da come lei ha descritto più volte: non così tesi, evidentemente, se i due genitori conoscono la vita che la giovane figlia conduce tra Milano e Genova come ragazza ‘immagine’ nei locali notturni e nelle serate mondane. E nemmeno così conflittuali se il padre le chiede “di fare quello che può per sbloccare l’invio del denaro”, probabilmente un contributo economico da mandare alla famiglia, compresi i due fratelli più piccoli, quando la ragazza è in comunità in Liguria. Intanto, nel tardo pomeriggio di oggi Ruby si è recata da Genova a Milano per un colloquio con il suo nuovo probabile legale, Paola Boccardi, che domani dovrebbe depositare la nomina.

-------------

IL CASO

Caccia alle balenestop del Giappone

Ogni anno l'arcipelago pesca centinaia di balene in nome della 'ricerca scientifica' in Antartico, dove la caccia per scopi commerciali ai cetacei è vietata dal 1986. Gli ambientalisti: "E' la fine delle attività illegali giapponesi".

TOKYO - Il Giappone ha per ora sospeso il programma annuale di caccia alle balene nelle acque dell' Antartico a causa delle azioni di protesta degli ambientalisti 1, al punto che la flotta potrebbe anche ritornare a casa. "La nave Nisshin Maru ha sospeso le operazioni a partire dal 10 febbraio per motivi di sicurezza e stiamo studiando la situazione, non escludendo la possibilità di fermare la missione prematuramente", ha annunciato Tatsuya Nakaoku, un funzionario dell'Agenzia della pesca nipponica.

''Garantire la sicurezza è una priorità e per il momento le navi hanno sospeso la caccia a fini scientifici. Ora stiamo valutando cosa fare'', ha aggiunto il funzionario, secondo cui il rientro anticipato della flotta ''è un'opzione''. I tentativi da parte degli attivisti di Sea Shepherd, in particolare, sono diventati sempre più insistenti e hanno causato parecchio disappunto in Giappone, uno dei tre Paesi al mondo dove la caccia ai cetacei è ufficialmente permessa per la sua ''importante tradizione culturale''. La stessa Sea Shepherd, impegnata contro la mattanza dei cetacei, in un comunicato datato 11 febbraio e redatto dal capitano Alex Cornelissen aveva testimoniato come "le navi giapponesi si muovessero in maniera irrazionale, consumando grandi quantità di carburante". Che le navi nipponiche fossero in confusione e forse già a conoscenza della decisione di fermare la caccia  non ci è dato saperlo ma il dubbio è concesso. Intanto dalla  Sea Shepherd fanno sapere che "questa dello stop è la notizia che aspettavamo da anni" aggiungendo come " tutto sia stato possibile grazie alle nostre navi e ai nostri uomini che hanno sfidato la marina giapponese da soli, senza l'aiuto di nessuno". Una critica anche alle altre associazioni ambientaliste "con budget enormemente più grassi - si legge nel comunicato - con contatti politici nelle stanze del potere, con un'immagine pubblica piena di colori e promesse, non c'erano. Semplicemente non si sono fatte vedere".


Il Sol Levante ha introdotto il concetto di ''caccia ai fini scientifici'' per aggirare la moratoria internazionale del 1986, sostenendo di aver diritto a valutare l'impatto delle balene sull'industria della pesca. La flotta nell'Antartico, composta da un equipaggio di 180 persone su quattro navi, ha lasciato il Giappone lo scorso anno con il proposito di catturare 850 balenottere entro fine marzo.

 Nello stesso periodo del 2010, tuttavia, il target raggiunto era di appena 506 unità, a causa di difficoltà nelle attività anche per gli scontri diplomatici nati con Australia e Nuova Zelanda. Canberra, in particolare, ha alzato il livello dello scontro con la presentazione della denuncia contro il Giappone al tribunale mondiale dell'Aia per fermare la caccia nell' Antartico. Un attivista neozelandese di Sea Shepherd, inoltre, è stato condannato al carcere con la sospensione di due anni della pena per un'azione di disturbo e 'l'assalto' contro una delle baleniere.
 
(16 febbraio 2011)
 

Nessun commento:

Posta un commento