mercoledì 23 febbraio 2011

mitico.....

“Senza contratto per scansare le censure Rai” 
 
Luca Bizzarri svela l'accordo firmato con la tv pubblica per il Festival di Sanremo e racconta la satira ai tempi di Berlusconi. E su Masi in platea dice: "Rosicava da pazzi, ma rideva alle battute perché aveva paura che lo inquadrassero"
Basta giurare che l’intervista non assomiglierà a quella Canalis-De Niro. Sollievo. Sospiro. Sanremo. Luca Bizzarri saluta il Festival.

Partiamo dal paraculismo. Accusa fondata?
Essere paraculi vuol dire cercare di acquistare i favori di qualcuno. Non ne abbiamo bisogno. Non dobbiamo convincere nessuno: abbiamo un contratto di sei anni con Mediaset.

Ecco, dicono anche: sputano nel piatto in cui mangiano.
La risposta gliela diamo mercoledì sera, dallo studio delle Iene. Ci hanno chiamato in tanti da Mediaset per dirci “bravi”, non credo si sentano “sputati”.

Alla fine di “Ti sputtanerò”, la sera del debutto, hai fatto roteare il microfono in aria. Poi guardando in camera, un gran sorriso: “ce l’abbiamo fatta” o “ve l’abbiamo fatta”?
Entrambe. Avevo capito che faceva ridere, il pubblico applaudiva calorosamente. Molta gente che lavora con noi ci aveva sconsigliato: “Non andate”. Potevamo scegliere una strada più serena.

Invece ne se siete usciti vivi. E anche di più.
La prima tv veramente nazional-popolare che abbiamo fatto è stata Sanremo: siamo partiti dal gradino più alto. Io ho pensato solo al Festival per sei mesi. Mi rendo conto che ci sono altri problemi nella vita, ma per uno che fa il mio mestiere non è dato sbagliare all’Ariston. Potevamo bruciarci. Ho perso 5 chili. Ho pianto 10 ore, dopo.

Che differenza c’è tra la Rai in mano alla politica e Mediaset in mano al padrone della politica?
L’abbiamo detto dal palco la prima sera. A Mediaset c’è un editore che ha delle esigenze, contro cui combatti in maniera diretta. In Rai ci sono mille persone fra te e l’editore. Poi per fortuna ci sono i Mazza.

Il Giornale ti ha dato uno in pagella per il bacio a Morandi. Il bacio di Giuda. Si saranno offesi per la citazione in “Ti sputtanerò”?
Ma no…Era ironico il loro uno come il mio bacio.

La Rai vi ha censurato qualcosa?
Mai, però di un pezzo ci è stato detto: “questo non lo potrete mai fare”.

Quale?
Saviano. Nel nostro team c’era chi aveva dubbi.

Perché?
Bisognerebbe chiederlo a chi non fa l’imitazione di Saviano. Lui è un personaggio molto positivo, ma a me fanno paura le beatificazioni, soprattutto in questo Paese che in un attimo ti santifica e un secondo dopo ti crocifigge. E poi essere presi in giro fa bene.

Beppe Caschetto, il vostro manager, ha definito “faticoso” l’accordo con la Rai.
Il punto di frizione riguarda l’approvazione dei testi.

Siete andati all’Ariston senza contratto?
Diciamo che il nostro agente ha trovato una soluzione transitoria per andare in onda garantendoci autonomia editoriale.

È vero che il centone della prima sera s’intitolava “Ti processerò”?
No, è stata cambiata solo l’ultima strofa. Prima finiva così: “Ti sputtanerò e continuerò, tanto il mio paese si è sputtanato già”. Al mattino abbiamo letto i giornali e abbiamo aggiunto la frase sul 6 aprile. Mentre cantavamo i centoni di Morandi, dietro il palco c’era Martino, uno dei nostri autori, con il testo. E Gianni sbirciava per controllare che non sbagliassimo la metrica.

Avete fatto un pezzo sul qualunquismo. Peggio quello o lo sdegno democratico?
C’erano tutte e due le cose. Qualcuno ha scritto che abbiamo assolto Berlusconi. Ovviamente non è così. Era un dialogo da bar.

Possibile che non ci si possa liberare dei riti della politica incartapecorita? Voto alle facce della prima fila, con i dirigenti e mezzo cda Rai.
Il più alto a Masi, rosicava da pazzi ma rideva perché aveva paura che lo inquadrassero.

Il consigliere Verro ha detto che la direzione artistica non era “in linea con i valori del servizio pubblico”. Quali sono i valori del servizio pubblico?
La domanda andrebbe girata a Verro. Ma credo parli a nuora perché suocera intenda.

Ancora Verro: “un umorismo che divide”.
Sono sciocchezze. Se qualcuno si fa dividere da Luca e Paolo stiamo a posto. Mi pare che abbia diviso più Verro. Sabato sera un consigliere Rai, che stava vicino a Verro, uno di una certa età, è venuto a farmi i complimenti.
Mi è sembrata una bella cosa.

La questione satira a Sanremo, assicura Masi, sarà portata in Cda già giovedì: nemmeno i super ascolti bastano?
Ci si occupa di tutto tranne che del Festival. Si usa il festival per parlar d’altro. Sanremo è una trasmissione televisiva di canzoni che fanno una gara.

Gramsci sul primo canale: eversivo?
Per niente.

Garimberti ha detto che quando è apparsa l’immagine del fondatore dell’Unità a qualcuno è venuto lo sturbo. Visto qualcosa dal palco?
Non mi pare. Però prima che apparisse in grafica l’autore del testo, vedevo grandi segni d’assenso. Forse non hanno letto abbastanza Gramsci.

Era un atto d’accusa contro l’indifferenza degli italiani?
Certo: c’è molta preoccupazione, più che giustificata, per il momento difficilissimo che il Paese sta attraversando.

Quando avete saputo che Benigni avrebbe partecipato, avete detto: “Non faremo un pezzo comico. Sarebbe come fare un film porno dopo Rocco Siffredi. Non vorremmo che le nostre misure fossero paragonate a quelle di un grande maestro”.
Il monologo di Benigni mi ha stupito, perché prima guardavo alla serata dell’Unità in maniera diversa. Dopo, mi è sembrata molto più importante. È stato bravissimo: ha convinto me, uno che pensava fosse una pomposa vaccata. E con me, immagino, moltissimi altri.

“Credo che vivere voglia dire essere partigiani”, Antonio Gramsci. E tu?
Io direi anche “Libertà è partecipazione”. Conosco meglio Gaber di Gramsci.

Ti sei sottratto soprattutto all’idea di essere etichettato politicamente. Anarchico va bene?
No. Perché anche quella è una categoria. Ho delle idee, non le nascondo. Poi il filtro della comicità le fa venir fuori. Facendo ridere le persone di se stesse, non di Berlusconi. Io sono solo un cittadino che crede nelle istituzioni. Per questo vado a votare.

Dal palco, la sera dei 150 anni, avete fatto un appello alla responsabilità civile. Convinci uno che al seggio non ci va.
Sono vent’anni che cerco di convincere mio fratello a votare e non ci riesco. Temo di non essere molto bravo. Ma a me sembra così giusto, così bello, votare. Io sono diffidente verso le manifestazioni di piazza, hanno veramente significato solo nei regimi. L’Italia non è l’Egitto o la Libia. E poi, dal ’94 a oggi, le manifestazioni contro Berlusconi non sono servite a nulla. Il voto invece sì, eccome, se serve.

da Il Fatto quotidiano del 22 febbraio 2011

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INCHIESTA

La rivincita dei nerd
secchioni al potere

Da ragazzi erano timidi, asociali e malati di pc. Ora, con invenzioni come iPhone e WikiLeaks, hanno rivoluzionato il modo di comunicare dal nostro inviato ANGELO AQUARO

NEW YORK - E così alla fine hanno vinto loro, i ragazzi con gli occhiali, i primi della classe tenuti alla larga da tutti, quelli che stasera non esco e neppure domani e neppure domani l'altro, perché il mondo sta tutto nella mia cameretta, nel personal computer, nell'iPad, nel cloud, in quella nuvoletta che adesso tutti ci unisce nel mondo virtuale del web. Ci ha messo mezzo secolo, quella parola - nerd - apparsa per la prima volta proprio nel 1951, qui in America su Newsweek, per fare il giro del mondo e del significato: trasformandosi da "sfigato" in "figo". Ma mica è solo una questione di slang, di linguaggi. L'ultima generazione - la "evoluzione dei nerd", come la chiamano gli esperti - è pronta a cambiare letteralmente il mondo: con quelle nuovissime, pacifiche ma micidialissime bombe atomiche chiamate, per esempio, Facebook e WikiLeaks.

Prendete quella foto scattata nella Silicon Valley l'altro giorno: dice tutto. C'è lui, Barack Obama, il Comandante in capo del mondo occidentale, il presidente - piaccia o non piaccia - più seducente del pianeta, che alza il bicchiere e rende omaggio a quella tavolata di nerd e di ex nerd. Alla sua sinistra Steve Jobs, il mago di Apple oggi stremato dalla malattia, e alla destra il suo giovanissimo erede nel regno dei "techies", i re del web e dell'hitech, cioè Mark Zuckerberg. Mancava soltanto Bill Gates, il fondatore di Microsoft ormai uscito fuori scena, il primo ragazzo con gli occhiali a conquistare il mondo.

E
naturalmente, non poteva esserci il nemico pubblico numero, ricercatissimo in tutto il pianeta, quel signore che agli occhi dell'amministrazione Usa è il nerd cattivo, l'angelo caduto: Julian Assange.

Siete pronti? La rivincita dei nerd è appena iniziata. Tra qualche notte anche Hollywood circonderà di Oscar quel
The Social Network che racconta, appunto, la straordinaria avventura di Zuckerberg e del suo Facebook. L'ennesimo segno dei tempi. Il regista, David Fincher, è lo stesso di Fight Club, il film che celebrò negli anni Novanta la ribellione fisica dell'America uscita dallo yuppismo, tutta muscoli e palestra. L'esatto contrario, cioè, dell'universo nerd.

Ma chi sono davvero questi nerd e perché non possiamo più fare a meno di loro? Intendiamoci: i nerd duri, si fa per dire, e puri sono altri. Quelli che invece dei cartoon made in Usa vanno a caccia di anime giapponesi. Quelli che al vecchio rock rumoroso preferiscono le sperimentazioni tecno-sentimentali dei Radiohead - oppure il folk alternativo e colto dei Decemberists. Quelli che impazziscono per la fantasy e la fantascienza, dal Signore degli Anelli a Blade Runner, ma anche per la saghe cyborg di William Gibson. Quelli che in America chiamano geek e noi chiameremmo invece "smanettoni": dal computer al cellulare tutto ciò che è tecno, per loro, non ha mai segreti.

Ma questa così disegnata sarebbe una tribù metropolitana come un altra. Un mondo a parte che si nutre di miti in continuo aggiornamento: in continui updates, come si dice nel linguaggio del web e delle applicazioni dei telefonini. Invece oggi nerd sono i personaggi che Ben Stiller e Adam Sandler portano sul grande schermo in quelle commedie - vedi ora Just Go With It - che attualizzano (up to date, appunto) l'americanone svampito alla Cary Grant. Nerd sono le tecniche di seduzione che innumerevoli libri e applicazioni pubblicizzano: perché "da ragazzino ero un tipo difficile" è diventato un modo per provarci - e con un certo successo, anche. E nerd sono gli occhiali alla moda che per primo negli anni '80 Elvis Costello rilanciò (copiandoli da Buddy Holly) e oggi sono invece il segno distintivo dei "falsi nerd": quelli cioè che si atteggiano a finti secchioni soltanto perché è un'immagine alternativa all'imperativo maschile e machista dominante - come ieri sarebbe stato portare baffoni e capelloni.

Proprio la comparsa del "falso" è - Jean Baudrillard docet - il segno del successo della categoria. Ma questo non vuol dire che i veri nerd siano scomparsi. Anzi. C'è perfino chi ci scorge un'origine genetica. Nel suo Storia naturale del Nerd (che negli Usa ha il titolo più localistico di American Nerd: storia della mia gente) Benjamin Nugent si spinge fino a sottolineare la contiguità dei veri nerd con i portatori della sindrome di Aspergers. Cioè quella forma di autismo che avrebbe colpito innumerevoli geni: da Wolfgang Amadeus Mozart fino al solito Bill Gates, arruolato nella categoria dalle orgogliosissime associazioni di Aspies, come li chiamano affettuosamente qui. Difficoltà di relazionarsi socialmente, interessi focalizzati, vere e proprie distrazioni: i sintomi ci sono tutti. Prima della cultura, insomma, verrebbe la natura?

Qui il tema si fa più delicato. Ma la vera domanda da porsi - sindrome o meno - è un'altra: com'è possibile che questi campioni dell'asocialità siano diventati nel giro di qualche decennio i campioni del mondo intero? Quando Nugent ha scritto la sua storia, quattro anni fa, Zuckerberg doveva ancora cominciare la sua avventura che lo avrebbe portato a fare di Facebook il club di 600 milioni di umani: uno stato virtuale grande tre volte gli Usa. E soprattutto era ancora un hacker felice e sconosciuto l'uomo che con la sua invenzione ha stravolto il mondo dell'informazione: Julian Assange. Anche lui nerd?

Quando glielo chiedi, Nugent si accende: "Zuckerberg e Assange sono entrambi molto, molto nerd. Nella loro incapacità di apparire, entrambi, come leader carismatici: ma anche negli straordinari effetti che le loro tecnologie hanno avuto sul mondo". C'è però una differenza fondamentale tra i due e, per esempio, Bill Gates. "Gates è stato importantissimo perché ha cambiato l'immagine del miliardario ed è stato il primo nerd a imporsi come un gigante. Ma sarebbe stata capace di suscitare con Windows una rivoluzione politica da qualche parte nel mondo? Credo di no. Quello era solo un prodotto. Facebook e WikiLeaks, invece, l'hanno fatto". E come? Nel passato, spiega Nugent "la capacità di una persona di fomentare una rivoluzione era inseparabile dalle sue parole e dalla sua presenza. Magari attraverso i libri, come fece Karl Marx. O attraverso l'esempio, come ci insegnò il Mahatma Gandhi". Zuckerberg e Assange, nel loro piccolo, non sono dei grandi oratori: al contrario. "Entrambi si sono limitati a creare "soltanto" i mezzi tecnologici con cui altri hanno iniziato una rivoluzione. Creare una macchina più importante di quello che tu rappresenti: questo sì che è un atteggiamento nerd". Che viene da lontanissimo. "È il vecchio mito di Frankstein: tu crei il mostro e non puoi più fermarlo".

Eccola l'evoluzione del nerd. Il ragazzino con gli occhiali Peter Parker oggi per cambiare il mondo non ha più bisogno di trasformarsi in Spiderman - proprio adesso fra l'altro celebrato a Broadway dal semi-nerd Bono. Sì, il mondo è già cambiato grazie alla rivoluzione dei nerd. Senza scomodare i coraggiosi ragazzi del muro arabo, qui in Occidente ormai parliamo tutti come loro: con gli sms e con le mail. "Solo che loro comunicavano così già dagli inizi degli anni '80 - conclude Nugent - mentre noi li abbiamo raggiunti soltanto adesso". Gia, c'è voluto mezzo secolo per riscoprirci tutti ragazzini con gli occhiali. 
(23 febbraio 2011)
 
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Alonso: "Renault, che sorpresa
Vettel vuole la rossa? Normale"

Lo spagnolo della Ferrari è fiducioso: "Nei test siamo andati molto bene, ma la concorrenza è forte e dobbiamo continuare a crescere. Sebastian sogna di correre a Maranello? Tutti hanno questa aspirazione"

Fernando Alonso durante i test al Montmelò. Reuters
Fernando Alonso durante i test al Montmelò. Reuters
MILANO, 22 febbraio 2011 - "Vettel sogna la Ferrari? Tutti i piloti la sognano. Qualcuno lo dice, ma tutti lo pensano". Fernando Alonso risponde così in un'intervista al Tg1. "Siamo in una buona posizione, sappiamo che dobbiamo migliorare perché la concorrenza è forte, ma siamo lì", dice il pilota spagnolo del Cavallino facendo il punto sullo sviluppo della F150. Finora, nei test Alonso è rimasto sorpreso in particolare da una scuderia. "La Renault si sta mostrando molto più competitiva di quanto fosse lo scorso anno".
OTTIMISMO — "Tutti i test - prosegue Alonso - con la F150 sono andati bene, siamo molto ottimisti in vista della partenza della stagione in Australia. Da quanto abbiamo visto finora, siamo in buona posizione. Ma dobbiamo crescere ancora perché gli altri team saranno competitivi. Siamo fiduciosi, tutto procede bene".
Gasport© RIPRODUZIONE RISERVATA

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