martedì 29 marzo 2011

già.....

L'Huffington sbarca in Europa
il NYT combatte con il paywall

La testata da poco acquisita da Aol ha annunciato un'edizione per il Regno Unito. Il quotidiano newyorkese ha lanciato il suo programma di pagamento. Le news online di fronte alla necessità di monetizzare i contatti di MAURO MUNAFO'

LE NUOVE testate digitali si espandono, quelle tradizionali fanno i conti con la Rete. Meno di due mesi dopo l'acquisizione da parte di America On Line (Aol) 1, l'Huffington Post di Arianna Huffington ha annunciato l'intenzione di inaugurare un'edizione del sito per il Regno Unito, con l'obiettivo di riproporre anche in Europa la sua formula di successo. Mentre il "superblog" progetta la conquista del Vecchio continente, il New York Times si scontra con la difficoltà di monetizzare i suoi visitatori online e raccoglie critiche da ogni parte della Rete per le tariffe imposte dal suo nuovo "paywall". Post e Times sono due dei principali siti di informazione negli States, con il quotidiano di New York che può contare su un milione di visite al mese in più rispetto all'aggregatore, secondo i dati Comscore: una differenza che si è ridotta in maniera sensibile rispetto ai sei milioni di visitatori di un anno fa.

Huffington in Europa. Acquistato per la cifra di 315 milioni di dollari lo scorso febbraio dal provider Aol 2, il sito di informazione e aggregatore di contenuti Huffington Post sbarcherà in estate anche nel Regno Unito. La comunicazione è arrivata direttamente da Arianna Huffington durante il MediaGuardian
Changing Media Summit. La formula che ha decretato il successo del sito resterà la stessa, con un gruppo di giornalisti pagati e un ampio numero di collaboratori e blogger che popoleranno la piattaforma solo per ottenere visibilità. Nessuna correzione di rotta insomma per la Huffington, neppure in seguito alle polemiche scatenate dai blogger 3 stufi di lavorare gratis e di non aver ricevuto un dollaro dei soldi di Aol. "Scrivere per il Post equivale ad andare in tv in un talk show di grande popolarità. Vuol dire visibilità massima. E se qualcuno decide di andarsene, sono in tanti pronti ad occupare quegli spazi", aveva dichiarato la Huffington rispondendo alle minacce di sciopero dei suoi blogger. Nuove occasioni di visibilità si aprono quindi nel Regno Unito, grazie ai fondi adesso a disposizione della Huffington.

Difficile dire oggi se l'esperimento potrà avere successo, vista la profonda differenza tra il mercato americano e quello britannico, sia in termini di audience che editoriali. Non c'è quindi da stupirsi se poche ore dopo l'annuncio diversi commentatori scommettevano già sul flop 4 dell'iniziativa.

Muri per le notizie. Se le nuove testate ridono, quelle blasonate si confrontano con la necessità di trasformare i visitatori dei loro siti in dollari (o euro) di ricavi. Il New York Times ha da poco lanciato 5 il suo paywall, il programma di pagamento per la consultazione degli articoli online. Finora gli unici a dover pagare erano i canadesi, ma dal 28 marzo il "muro" si alza per tutti.

Per il quotidiano della Grande Mela si tratta di un ritorno al passato, visto che nel 2005 era stato già inaugurato Times Select, la sua versione a pagamento, chiusa nel 2007 nonostante gli oltre duecentomila sottoscrittori. All'epoca la cancellazione del paywall fu giustificata con l'argomento che la vendita di pubblicità sulle pagine accessibili a tutti avrebbe fatto guadagnare di più rispetto all'abbonamento. Sono bastati pochi anni, e una crisi economica senza precedenti per la stampa americana, per rivedere queste scelte.

A cambiare rispetto al 2007 sono state però anche le tariffe, il peso dell'internet mobile e la consultazione tramite tablet e smartphone. Se il vecchio Times Select costava 50 dollari l'anno, l'accesso completo e da tutte le piattaforme al New York Times costerà dal 28 marzo 455 dollari, oltre nove volte di più. Una cifra che non ha precedenti nella storia dei paywall, di gran lunga superiore anche al Wall Street Journal, che ha scatenato le critiche della rete nei confronti del quotidiano. La politica del New York Times si è rivelata però molto più morbida rispetto a quella di altri siti, e sarà concessa la consultazione di 20 articoli gratuiti al mese, o anche di più per chi segue i link da Twitter e Facebook. Esistono poi diversi "tagli" di abbonamento a disposizione di chi legge il sito solo da iPad o da cellulare.

Il muro non sembra però esattamente invalicabile, e sul web si possono già trovare diversi programmi ed estensioni per browser per consultare il New York Times senza pagare. Nasce il sospetto che non sia colpa di un bug ma di una precisa decisione di tenere qualche breccia aperta. La scelta di un paywall soft, con la consultazione gratuita di venti articoli al mese, segnala poi che il New York Times non vuole ripetere l'esperienza del Times di Londra. La testata inglese di Murdoch ha infatti lanciato nel giugno scorso 6 il suo paywall cambiando addirittura sito e vedendo crollare le visite di circa il 90%.

Il modello delle news a pagamento sconta però una lunga tradizione di insuccessi. A parte gli esempi felici dei quotidiani economici come Wall Street Journal e Financial Times, gli altri esperimenti si sono nel tempo rivelati fallimentari o poco più. L'arrivo sul web delle testate cartacee negli anni '90 è stata la prima occasione di vedere i modelli a pagamento scavalcati dalle soluzioni free, mentre la nuova ondata di paywall è un fenomeno recente che già registra qualche delusione. Il flop del quotidiano di Long Island Newsday, capace di raccogliere in un anno solo 35 sottoscrittori online, resta forse l'esempio più evidente della difficoltà di far pagare per le notizie sui nuovi media, ma non ha impedito ad altri di tentare la via delle news a pagamento.
(27 marzo 2011)
 
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Agcom boccia il bavaglio di Pdl e Lega
“Regole talk distinte da tribune politiche”
Niente bavaglio elettorale per le televisioni private. Nell’emanare il regolamento per le prossime elezioni amministrative Agcom ha bocciato la norma varata da Pdl e Lega: “Le regole per la par condicio nei talk show e quelle delle tribune politiche restino distinte”, ha sentenziato l’authority. Esattamente il contrario da quanto previsto dalla nuova norma (che è la fotocopia di quella dello scorso anno).

L’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni ha così approvato il regolamento per le emittenti private in vista delle amministrative del 15 e 16 maggio. La soluzione, spiega l’Agcom in una nota, è legata alla pronuncia del Tar del 2010 che aveva ribadito “la distinzione tra “programmi di informazione” e “comunicazione politica radiotelevisiva” e la conseguente illegittimità dell’applicazione ai primi della disciplina sulla par condicio prevista per la comunicazione politica”.

“I regolamenti – si legge in una nota – sono analoghi a quelli adottati dall’Autorità in occasione della tornata elettorale del 2010 nella versione approvata dopo che il Tar del Lazio, con propria ordinanza, aveva ribadito – alla luce della lettura data dalla Corte Costituzionale – la distinzione tra programmi di informazione e comunicazione politica radiotelevisiva e la conseguente illegittimità dell’applicazione ai primi della disciplina sulla par condicio prevista per la comunicazione politica. I regolamenti sono stati varati oggi, dopo aver svolto le consultazioni previste dalla legge con la commissione parlamentare di Vigilanza – conclude l’Agcom – in considerazione della necessità della loro pubblicazione nella Gazzetta ufficiale in tempo utile per entrare in vigore il prossimo 31 marzo, data di indizione dei comizi elettorali”.

Ora la palla passa nelle mani di Sergio Zavoli, che dovrà decidere se, come accadde l’anno scorso, Pdl e Lega riusciranno a imbavagliare il servizio pubblico. La commissione di Vigilanza deve ancora votare il regolamento per le prossime amministrative e il peso della decisione dell’Agcom non può non contare nella scelta. Zavoli conosce la televisione come pochi. E oggi, in queste ore, nel ruolo di presidente della commissione ha una grossa responsabilità che è anche un’opportunità: può rispedire al mittente l’emendamento di Pdl e Lega – non mettendolo ai voti – che vuole imporre la par condicio ai programmi di informazione, come fossero tribune elettorali, per farli chiudere. Zavoli può dimostrare che la legge è uguale per tutti, ancora di più nella commissione Rai del parlamento italiano.

Le sentenze del Tar e la Corte costituzionale hanno spiegato che la comunicazione politica è diversa dall’informazione giornalistica. E dunque l’emendamento di Pdl e Lega è contro una legge italiana, la 28 del 2000 sulla par condicio. E l’ha ricordato proprio oggi l’Autorità di garanzia nelle comunicazione, l’Agcom, l’unico organo di controllo che può sanzionare la Rai.

L’anno scorso il bavaglio fu identico e le modalità le stesse, ma la censura colpì soltanto il servizio pubblico perché le private, compresa Mediaset, ricorsero al Tar e vinsero. Certo, se Zavoli decidesse di non mettere ai voti l’emendamendo di Pdl e Lega (in  qualsiasi altro caso l’emendamento passerebbe), sarebbe vittima dell’offensiva politica e mediatica del Pdl. Ma due mesi d’informazione per gli italiani, in un momento delicato per il Paese e per il mondo, valgono un sacrificio.

A chiedere una presa di posizione di Zavoli sono anche le opposizioni. Pd, Idv e Udc, compatti, chiedono al presidente della Commissione di Vigilanza Rai di valutare l’inammissibilità degli emendamenti presentati dalla maggioranza al regolamento sulla par condicio.

Ma il Pdl e la Lega non intendono cedere di un millimetro e quindi non hanno intenzione di ritirare gli emendamenti. La plenaria della Commissione di Vigilanza si riunirà nuovamente alle ore 20 per proseguire la discussione sulle proposte emendative al regolamento.

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Energia, la lezione dei comuni
"Siamo verdi e autosufficienti"

Presentato il dossier di Legambiente sulla diffusione delle rinnovabili nei municipi. Quelli che riescono a fare da soli con vento, sole e biomasse sono quasi mille, e il numero è in continua crescita. "Altro che contributo marginale" di VALERIO GUALERZI

ROMA - Un comune su otto in Italia è autosufficiente dal punto di vista elettrico grazie a sole, vento, biomasse e geotermia; a Lecce si produce più elettricità verde di Friburgo, la celebrata capitale tedesca del fotovoltaico; nel 94% dei municipi italiani è presente ormai almeno un impianto rinnovabile. Accusate di essere troppo costose, marginali e inaffidabili, le fonti verdi si prendono la loro rivincita e lo fanno con "Comuni Rinnovabili 2011", il dossier di Legambiente che fotografa la diffusione delle micro centrali ad energia alternativa sul territorio nazionale.

Giunto alla sua sesta edizione, il rapporto illustrato oggi a Roma è "la migliore risposta a chi continua a sostenere che il contributo delle fonti rinnovabili sarà comunque marginale nel futuro del Paese". Una presentazione che ha molto il sapore di un "pride". "Per capire come stanno davvero le cose - spiega il curatore del rapporto Edoardo Zanchini - occorre guardarle nella giusta prospettiva. Se continuiamo a raccontare la questione energetica partendo dalle potenzialità d'installazione delle fossili è chiaro che non c'è gara, ma se scendiamo sul territorio per capire come le comunità rispondono alle esigenze locali allora i numeri ci danno ragione e ci rendiamo conto che gli obiettivi fissati dall'Unione Europea sono raggiungibili con incredibili vantaggi per tutti".

GUARDA L'INTERATTIVO 1 - IL RAPPORTO COMPLETO IN PDF 2

"Grazie a questi impianti - si legge nella premessa del documento - si sono creati nuovi posti di lavoro, portati servizi, riqualificati edifici e creato nuove prospettive di ricerca applicata, oltre, naturalmente, a una migliore qualità della vita... senza dimenticare bollette meno salate". Le cifre di questa rivoluzione che ci sta avvolgendo silenziosamente sono eloquenti. Il rapporto "racconta un salto impressionante nella crescita degli impianti installati nel territorio italiano. Sono 7.661 i Comuni in Italia dove si trova almeno un impianto. Erano 6.993 lo scorso anno 3, 5.580 nel 2009. In pratica, le fonti pulite che fino a 10 anni fa interessavano con il grande idroelettrico e la geotermia le aree più interne, e comunque una porzione limitata del territorio italiano, oggi sono presenti nel 94% dei Comuni. Ed è significativo che cresca la diffusione per tutte le fonti, dal solare fotovoltaico a quello termico, dall'idroelettrico alla geotermia ad alta e bassa entalpia, agli impianti a biomasse e biogas integrati con reti di teleriscaldamento e pompe di calore".

Una forza tanto irresistibile quanto discreta che, denuncia ancora Zanchini, "finisce quasi sempre per essere sottorappresentata". Come testimonia il caso di Tocco da Casauria 4, municipio premiato lo scorso anno dal Rapporto, ignorato in Italia, e innalzato a esempio virtuoso per il mondo intero dalla prima pagina del New York Times. Le esperienze raccontate e catalogate nel Rapporto, si legge ancora nella premessa, "mettono il nostro paese senza che ve ne sia la consapevolezza, nel gruppo di punta della ricerca internazionale". Zanchini, oltre a Friburgo, cita quindi il caso di Samso 5, l'isola danese a emissioni zero. "Lì - spiega - la vocazione alla sostenibilità pubblicizzata globalmente è divenuta motivo di attrazione turistica, ma in Italia la percentuale di realtà simili è altissima e in continua crescita".

Il Rapporto 2011 esalta in particolare i comuni alpini di Morgex e Brunico per la loro capacità di diventare 100% rinnovabili, non solo per i consumi elettrici ma anche per quelli termici (riscaldamento e acqua calda), attraverso un mix di fonti diverse. Un contributo decisivo, così come avviene per gli altri 18 municipi italiani che possono vantarsi  di essere completamente autosufficienti, arriva in particolare dagli impianti di teleriscaldamento a biomasse. Il bacino delle realtà locali virtuose si allarga poi massicciamente se ci si limita a prendere in considerazione l'indipendenza elettrica. In questo caso il numero di municipi 100% rinnovabili balza a quota 964. Importante, per capire davvero la portata del fenomeno, il fatto che nella classifica dei migliori accanto alle "solite" piccole comunità di montagna inizino ad affacciarsi anche delle vere e proprie città e località del meridione. Un capoluogo di provincia come Treviso riesce ad esempio a coprire il 100% del fabbisogno elettrico dei residenti, mentre tra i comuni che raggiungono l'autosufficienza ci sono anche Isernia, Agrigento e Lecce.

"Anche il Sud  comincia a muoversi - conclude soddisfatto Zanchini - ma per dare continuità a questa straordinaria rivoluzione occorre semplificare le normative d'autorizzazione, dare certezze agli investimenti, avviare serie politiche di efficienza energetica e iniziare gli indispensabili interventi di adeguamento della rete alle nuove caratteristiche della microgenerazione distribuita". In altre parole occorre che veda finalmente la luce il Piano energetico nazionale atteso ormai da anni e che sia un piano orientato alla sostenibilità.
(29 marzo 2011)

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