mercoledì 9 marzo 2011

http://www.youtube.com/watch?v=3rBL5_OLHeg&feature=fvsr

IL CASO

Criminalità e affari, l'allarme della Dna
"La 'ndrangheta colonizza la Lombardia"

"Molteplici proiezioni" dell'organizzazione criminale: è la regione più contagiata dopo la Calabria
Si tratta di uno dei punti chiave della relazione annuale diffusa della Direzione nazionale antimafia
 

La 'ndrangheta ha "molteplici proiezioni" al di fuori del territorio calabrese: la più importante è la Lombardia, secondo il modello della "colonizzazione". E' l'allarme lanciato nella relazione annuale della Direzione nazionale antimafia, 1.110 pagine di dati e analisi sulla criminalità organizzata made in Italy. "In Lombardia", chiariscono gli analisti, "la 'ndrangheta si è diffusa non attraverso un modello di imitazione, nel quale gruppi delinquenziali autoctoni riproducono modelli di azione dei gruppi mafiosi, ma attraverso un vero e proprio fenomeno di 'colonizzazione', cioè di espansione su di un nuovo territorio, organizzandone il controllo e gestendone i traffici illeciti, conducendo alla formazione di uno stabile insediamento mafioso.

"Qui - è la tesi degli investigatori - la 'ndrangheta ha messo radicì, divenendo col tempo un'associazione dotata di un certo grado di indipendenza dalla 'casa madre', con la quale però comunque continua a intrattenere rapporti molto stretti e dalla quale dipende per le più rilevanti scelte strategiche". 'La Lombardia, così come osservato dalla Dia in sede di relazione semestrale, si conferma la regione del Nord che registra il maggiore indice di penetrazione nel sistema economico legale dei sodalizi criminali della 'ndrangheta.

La 'ndrangheta - prosegue il rapporto della Dna - è presente in Piemonte, tradizionale territorio di insediamento di numerose cosche calabresi; in Liguria, che assieme al Piemonte e alla Lombardia fa parte dell'area più produttiva dell'intero Paese; in Toscana, dove è confermata la presenza di ramificazioni dei sodalizi calabresi attivi nelle province di Reggio Calabria, Catanzaro, Crotone e Vibo Valentia; nel Lazio e in particolare a Roma e nel basso Lazio; in Abruzzo, dove sono emersi inquietanti interessi della ndrangheta, negli appalti per la ricostruzione dopo il sisma che ha colpito il capoluogo nell'aprile 2009; in Umbria ed Emilia Romagna, dove risultano insediate strutture 'ndranghetistiche".

"Per quanto attiene ai rapporti sul territorio, la 'ndrangheta è oggi l'assoluta dominatrice della scena criminale, tanto da rendere sostanzialmente irrilevante, e comunque, in posizione subordinata - viene rilevato-  ogni altra presenza mafiosa di origine straniera".
 
(09 marzo 2011)
 
--------------- 
 
 “Troppi meridionali negli Alpini”
La Lega chiede le quote verdi Ogni tanto, nei meandri dei corridoi romani, il senatùr ci prova a indossare lo smoking. Memorabile quando si autoproclama mediatore delle tensioni interne al governo. Ma Umberto Bossi si veste in scuro anche quando affronta – poche volte – problemi di politica internazionale oppure quando dice di non volere la secessione, ma solo il federalismo. Ma se lui gioca a fare l’uomo di governo, i suoi non smettono di rispolverare periodicamente la vecchia canotta e sbraitare. E l’ultima trovata in questo stile arriva dal Veneto con uno dei più classici slogan storici: “Fuori i terroni”. Dall’Italia? No, per ora “solo” dal corpo degli Alpini. Un gruppo di parlamentari del Carroccio, primo firmatario il bellunese Franco Gidoni, ha presentato una legge per reclutare gli Alpini al nord. Troppi i meridionali tra le penne nere, sarebbe opportuno inserire le quote verdi.

Chi pensasse a uno scherzo, sappia che la proposta è materia di discussione in parlamento. La legge ha già superato tutte le commissioni e arriverà al voto alla Camera nelle prossime ore. Un traguardo quasi raggiunto. Dicono. Sperano, visto che l’esito non è per niente scontato con l’aria che tira a Montecitorio negli ultimi mesi. E comunque non è un pesce d’aprile anticipato.

Lo spirito della proposta la spiega al fattoquotidiano .it lo stesso Gidoni, il parlamentare che più di tutti si è impegnato per riportare il nord negli alpini: “Inutile mettere in un bel barattolo la pummarola fatta in Cina. Sbaglio? Bene, come la pummarola sta a Napoli, l’alpino sta alle nostre montagne, quelle del Veneto, del Friuli, Lombardia, Piemonte e, solo in parte, l’appennino tosco emiliano e i rilievi dell’Abruzzo. Il resto – e oggi sono la maggioranza – con le penne nere c’entra poco. Ben vengano, passatemi la battuta, i Salvatore Carmelo, ma la tradizione alpina sta da un’altra parte”.

Il metodo scelto è l’incentivo. Oggi alla divisa si arriva per concorso e il dato anagrafico sulla nascita inciderà sull’aumento del punteggio. Chi è nato a Feltre partirà avvantaggiato rispetto a chi è partito, sacco in spalla, da Ragusa. Bisognerà però vedere se la norma sarà compatibile con la Costituzione italiana.

“Non avevamo altra scelta. Oggi su 47.000 solo 5.000 provengono da zone a tradizione alpina. E non può essere tollerato. Anche perché il corpo ha sempre più una funzione di protezione civile e chi è nato in montagna sa arrampicarsi su una parete meglio di chi proviene da una località di mare, questo credo sia oggettivo. Poi c’è una tradizione da rispettare, c’è gente che da quattro, cinque generazioni veste quella divisa e deve continuare a portarla con orgoglio. Se basterà aumentare il punteggio nel concorso? Non credo, ma noi inviteremo i nostri Comuni, le Province e le Regioni anche a mettere in pratica altri tipi di provvedimento, più strettamente economici. Come sgravi fiscali per le reclute del nord o altri provvedimenti di competenza degli enti locali”.

Gidoni, sulla sua strada, di alleati ne ha trovati. A sorpresa ha aderito alla proposta anche Edmondo CirielliSalerno. Ma il gruppo Gidoni trova un inaspettato nemico sulla sua strada, l’ultra leghista Giancarlo Gentilini, il ‘vecio’, lo sceriffo della Lega, quello che a Treviso (era sindaco, oggi è vice perché non poteva essere rieletto) toglieva le panchine dalle piazze per far sloggiare gli extracomunitari. Intollerante ai limiti della legalità: ” Io gli immigrati li schederei a uno a uno – una delle sue frasi tristemente celebri -. Purtroppo la legge non lo consente. Errore: portano ogni tipo di malattia: tbc, aids, scabbia, epatite…”. Bene Gentilini, che è anche un ex alpino, è contrario alla legge. “No cari miei – spiega al fattoquotidiano.it al termine di una festa di carnevale tra la sua gente – la strada non è questa. C’è un solo modo. Il ripristino della naja. I giovani hanno bisogno di disciplina, devono tornare a obbedire. Il servizio militare era una scuola di vita. E poi era un controllo sanitario importante, si prevenivano le malattie”. Niente alpini veneti? “Certo che sì, ma una legge così non servirà a niente. L’idea vincente è la mia”
 
---------------

LA RICERCA

Politici nel mondo di Facebook
Tanti bocciati, pochi si salvano

Solo il 29% dei parlamentari ha un profilo, i sindaci si fermano al 33%. Nichi Vendola e Matteo Renzi fra i più attivi. Meglio i rappresentanti del centro Italia rispetto a quelli del nord e del sud di JAIME D'ALESSANDRO


ROMA - Meglio Silvio Berlusconi di Antonio Di Pietro, meglio il sindaco di Firenze Matteo Renzi di Rosy Bindi, meglio Dario Fanceschini di Piero Fassino. Meglio di tutti, senza eccezioni, Nichi Vendola. Il ritratto dei politici italiani al tempo di Facebook regala alcune sorprese e parecchie conferme. Iniziando dalla classifica dei parlamentari, sindaci e amministratori locali con più seguaci sul social network, che vede in testa il presidente della regione Puglia davanti al premier, a Di Pietro e al suo compagno di partito Luigi De Magistris. E nomi importanti che vanno da Antonio Alfano a Giorgia Meloni relegati invece agli ultimi posti. In generale fra i parlamentari è più avanti la sinistra, mentre fra i sindaci è più attiva la destra. In entrambi i casi, altra sorpresa, chi viene dal centro Italia ha capito di meglio l'importanza di questo strumento rispetto ai colleghi del nord e del sud. Ma niente illusioni: i nostri politici di social network e Web 2.0 sembrano non essersene proprio accorti. E qui invece siamo purtroppo alle conferme. 

Realizzata da Stefano Epifani - che insegna alla facoltà di Scienze della Comunicazione presso la Sapienza di Roma - e condotta per conto dell'Istituto Superiore di Studi Politici San Pio V, questa ricerca parla chiaro. Solo il 29% di chi siede alla Camera o al Senato ha aperto un profilo sul social network fondato da Mark Zuckerberg, il 33% fra chi guida un capoluogo. Promossi, ma se così non fosse si tratterebbe di un paradosso, gli amministratori
locali sotto in trent'anni che arrivano al 66%. Grosso modo in linea con la media nazionale. "E' il secondo anno che monitoriamo il rapporto fra politica e Web 2.0", spiega Epifani. "E in questo periodo Facebook è cresciuto enormemente. Di qui l'idea di concentrarsi solo su questo aspetto, visto che ha cannibalizzato molti degli altri strumenti di comunicazione sulla Rete, blog in primis".

E' stata presa in esame la totalità dei parlamentari, tutti i sindaci di capoluogo e un campione rappresentativo degli amministratori locali sotto in trent'anni. Poco più di 700 persone fra i circa 20 mila assessori e consiglieri comunali. "La cosa incredibile  - continua Epifani - non è solo che la maggioranza di parlamentari e sindaci non ha alcuna attività in Rete, ma che i primi sono molto più attivi dei secondi". Passando dalla quantità alla qualità, dal conteggio di chi è presente e quanti fan possiede all'uso che viene fatto di Facebook, il quadro infatti peggiora. Molti sindaci, il 46%, non aggiornano il proprio profilo dal 2009. Sono pagine congelate il giorno successivo le elezioni. "Avendo un rapporto con il territorio ed essendo eletti in maniera diretta, avrebbero invece tutto l'interesse a sfruttare Facebook come fa invece Renzi", commenta Stefano Epifani. "Anche perché ormai certe proteste locali, vedi quella in Sardegna contro l'apertura della centrale a biomasse targata Agripower, vengono organizzate proprio attraverso i social network".

Del resto aprire un profilo personale è semplicissimo, ma comunicare con gli elettori in maniera continuativa è tutt'altra storia. E i politici che sanno farlo sono pochi. Nichi Vendola e Matteo Renzi primeggiano la loro naturalezza nel dialogare via Facebook. Vendola invia messaggi dallo smartphone, Renzi risponde agli elettori, Di Pietro non è da meno e anche Mara Carfagna, ministro per le Pari Opportunità, interviene direttamente. Insomma, non si limitano ai comunicati stampa e ai link video di passaggi televisivi nei talk show e nei telegiornali. Come invece fanno tutti gli altri, che sfruttano il Web come fosse un mezzo di comunicazione a senso unico. Solo il 55% dei parlamentari presenti su Facebook ha interagito negli ultimi mesi in una qualche maniera attraverso la propria pagina personale, il 53% dei sindaci, il 68% degli amministratori locali.

Fortuna, per tutti gli altri, che Stefano Epifani assieme a Roberto Lippi (politologo), Alessio Jacona e Marta Paolillo (esperti di comunicazione online), ha scritto un libro in uscita in questi giorni. Si intitola Manuale di Comunicazione in Rete, costruire il consenso nell'era del Web 2.0. Uno strumento a disposizione degli amministratori per capire e usare adeguatamente Internet e social network. Raccoglie, fra le altre cose, sia i dati che trovate nella ricerca su politici e Facebook sia il frutto di altre indagini condotte per più di due anni. Il saggio non solo è reperibile nelle librerie, 278 pagine a 10 euro per l'Editrice Apes, ma è scaricabile gratuitamente da questo sito (www.info.it 1) sotto forma di eBook.
(09 marzo 2011)
 


Nessun commento:

Posta un commento